1967, l’artista genovese Giulio Paolini scatta una fotografia al dipinto di Lorenzo Lotto, “Ritratto di giovane”, esposto alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
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Da sinistra a destra: Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane - Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto |
Lo
scatto riprende il dipinto del pittore veneziano e lo riproduce mantenendo le
misure originali.
Decide
cosi di esporre la fotografia con un titolo preciso “Giovane che guarda Lorenzo
Lotto”.
Emerge
cosi, con estrema dirompenza, il tema del punto di vista, tema che lo stesso Paolini
elaborerà ulteriormente nel 1981 sostituendo gli occhi del giovane con i propri,
a questo punto non solo abbiamo il ribaltamento dl principio soggetto-opera-artista
ma è l’artista che quasi cinque secoli dopo utilizza il dipinto per
trasportarsi indietro nel tempo e porsi di fronte al Lotto.
Chi
guarda chi, lo stesso Paolini ha sempre sostenuto che l’opera non guarda l’osservatore,
non è minimamente interessata a ciò che pensiamo, a quello che intuiamo,
ovunque la nostra interpretazione sia diretta al quadro non può fregare di meno.
Siamo
sempre noi dunque, autori e fruitori dell’opera d’arte, alla continua ricerca
di un senso (se vogliamo a tutti i costi darne uno) o di un percorso, spesso puramente
filosofico, che ci conduca in un luogo che nemmeno immaginiamo esista, l’idea
che la destinazione non sia totalmente preclusa basta e avanza per cercarne l’ubicazione.
Se
ci lasciamo influenzare dal concetto di Paolini possiamo andare oltre, il
giovane guarda Lorenzo Lotto, e questo è oggettivo, ma potrebbe anche
concentrarsi sull’osservatore che ne ammira le fattezze.
E
se la fotografia si fosse intitolata “Giovane, ritratto da Lorenzo Lotto, che
guarda il fotografo”?