martedì 29 dicembre 2020

la resistenza dell'arte nell'anno più difficile.

Artribune, la nota rivista dedicata all’arte e alla cultura contemporanea, come di consueto alla fine di ogni anno, pubblica il suo "Best of" premiando tutto ciò che ha dato un contributo importante all'evoluzione dell'arte.

Tra le varie voci (artista emergente, artista affermato, miglior fotografo ecc.) ha catturato la mia attenzione il miglior nuovo museo, il riconoscimento è andato al PART (nuovo museo d'arte moderna e contemporanea) di Rimini.

Mi ha colpito perché, in un anno complicato per tutti e di conseguenza per il mondo dell'arte, il museo riminese ha dovuto affrontare, sconfiggendole, le difficoltà di chi vuole iniziare un percorso ma che già prima dell'inaugurazione si deve fermare.

Rinviata appunto l'inaugurazione prevista in primavera, a settembre è riuscita a prendere il via per poi frenare a novembre per i problemi che purtroppo conosciamo tutti.

Nonostante questo l'impatto del museo sul mondo dell'arte contemporanea (Rimini ha un bagaglio storico-artistico immenso e un centro d'arte moderna e contemporanea era ciò che mancava per chiudere il cerchio) è stato fondamentale.

Ora non ci resta che aspettare che le opere donate dalla collezione della Fondazione San Patrignano tornino alla libera "visualizzazione" del pubblico.


domenica 27 dicembre 2020

Perché?

Spero di non essere frainteso ma c’è una cosa che mi lascia particolarmente perplesso: faccio fatica a comprendere come un pittore come Van Gogh susciti tanto interesse e ammirazione anche in chi non è appassionato d’arte.

Con questo non voglio sminuire l’artista olandese anzi, sono convinto che si tratti di uno dei più “alti” livelli raggiunti dalla pittura nel novecento e non solo.


Vincent Van Gogh – Notte stellata, 1889 - Olio su tela, cm. 73,7 x 92,1 - Museum of Modern Art (MoMA) New York


Normalmente chi non è un amante dell’arte tende ad appassionarsi a dipinti esteticamente gradevoli dove l’equilibrio dei colori e delle forme crea un’armonia capace di trasmettere un benefico senso di serenità, oppure dove la tecnica eccelsa trasmette emozioni che l’osservatore sente proprie (un esempio il “Bacio” di Hyez).

Un placido e rassicurante senso estetico non è certamente il bagaglio principale delle opere di Van Gogh, se ignoriamo la “profondità” concettuale è difficile considerare semplicemente belle le sue opere.

E’ innegabile che le “mode” influiscono e non poco ( la “Monna Lisa” ne è l’esempio più lampante,  ma lo stesso discorso potrebbe valere per Klimt anche se si limita prevalentemente ad un solo dipinto) e spesso convogliano, più o meno consciamente, i gusti della gente.

Le opere di Van Gogh sono qualcosa di più grande dell’essere semplici quadri, sono la testimonianza di un percorso di vita, sono lo specchio dell’anima, sono il buco nero che “divora” tutto ciò che ci è più caro. Spesso sono considerate semplici decorazioni, oggetti che completano l’arredamento, è questo che mi lascia perplesso, cosa c’è di “decorativo” nelle opere del grande Vincent?

Il fatto che siano cosi amati, cosi ricercati, mi fa molto piacere, significa che lo sguardo va oltre l'esteriorità, ma in un’epoca dove prevale l’estetica a scapito dell’approfondimento tutto ciò mi disorienta.

“Notte stellata” per molti è semplicemente bello ma quanti si fermano a chiedere e a chiedersi cosa siano quelle “onde” spiraleggianti”, cosa rappresentano gli incandescenti globi che tutti noi interpretiamo come semplici stelle.

La “forma” scura che dal basso striscia verso il cielo viene semplicemente considerata un albero, il paesaggio illuminato dalla luna appare placidamente e serenamente addormentato … appare appunto.

Il male oscuro che si insinua nel cuore e nella mente di Van Gogh è il protagonista del dipinto, l’incubo interiore esce e al contempo penetra la tela, difficile considerare quest’opera solo esteticamente bella.

Se confrontiamo i ritratti, i paesaggi, i fiori, di Van Gogh con altre opere con gli stessi soggetti ci accorgiamo che la bellezza “esteriore” è più evidente in altri quadri.

Ci tengo a sottolineare il termine “esteriore” perché l’apparire da sempre domina sull’essere, a maggior ragione negli anni duemila dove apparire è fondamentale, quasi l’unica cosa che conta veramente.

Il mio ragionamento, che sa di presunzione, parte proprio da questo dato di fatto, l’aspetto esteriore cancella ogni altra peculiarità, nell’epoca dei selfie “ritoccati” quello che siamo dentro non interessa a nessuno.

Da qui nasce la mia perplessità riguardo al successo di Van Gogh, naturalmente ho chiesto in giro “perché vi piacciono le opere del pittore olandese considerando che l’arte in generale non vi interessa”? La risposta è: “perché sono belle”.

Non voglio affermare che le risposte ricevute non siano veritiere, ma, proprio perché dicono la verità continuo a non capire …


sabato 19 dicembre 2020

Lo scontro e l'incontro, Robert Motherwell

 

Autore:   Robert Motherwell

(Aberdeen Washinton, 1915 – Cape Cod, 1991) 

Titolo dell’opera: Elegia per la repubblica spagnola 110, 1971

Tecnica: Acrilico, grafite, carbone su tela

Dimensioni: 208,3 cm x 289,6 cm

Ubicazione attuale:  Solomon R. Guggenheim Museum, New York




Violento, disarmonico, sgraziato, il dipinto colpisce con rara intensità, un pugno nello stomaco, ci scuote e ci lascia disorientati.

Questa grande opera fa parte di una lunga serie che ricorda costantemente la morte presente nei sanguinosi anni della repubblica spagnola.

Motherwell non ha mai preso una posizione politica, si limita a sottolineare “ il mio privato insistere sulla morte che accade e non può essere dimenticata”.

Le interpretazioni nel corso degli anni si sono sbizzarrite passando dagli immancabili “riferimenti sessuali” (sembra che certa critica non riesca ad andare oltre) o ad un più interessante accostamento allo scorrere delle note musicali.

Il titolo, dato dall’autore, non lascia molto spazio alle eventuali interpretazioni, resta aperto, per l’osservatore, il piano emotivo, oltre l’estetica c’è la presenza psicologica.

Pur non ignorando l’intenzione del pittore americano torniamo al punto di partenza, davanti a questo quadro come ci poniamo? E’ difficile affrontarlo con serenità, con un piacevole sguardo d’insieme, ne veniamo investiti, travolti, la reazione è di difesa, si va dalla fuga ad un attacco verbale che però ne sminuisce il valore concettuale che a sua volta ne limita il puro aspetto esteriore.

Ma se riusciamo a resistere al desiderio immediato di fuggire dinnanzi al dipinto ecco che ne riceviamo la forza, quella che ci sembrava un’aggressione “visiva” può, se abbiamo la voglia di confrontarci, trasformarsi in uno scambio di “idee”.

Cercando un appiglio più “realista” ecco che la sequenza si mette in moto, ciò che non riusciamo a comprendere inizia un lento ma inesorabile movimento, se lasciamo che il flusso segua il proprio percorso il movimento si farà via via più veloce, se al contrario blocchiamo lo sguardo focalizzando l’attenzione sul particolare, inseguendo un immaginario messaggio criptato, tutto si cristallizza, la migrazione si interrompe e l’opera ci frana addosso riproponendo la sensazione iniziale, lo smarrimento davanti all’assenza, apparente, di grazia e armonia.  

sabato 12 dicembre 2020

Gli albori del mito, Amedeo Modigliani

Si tratta di uno dei primi lavori di Amedeo Modigliani giunti fino a noi, la tela è dipinta su entrambi i lati (le ristrettezze economiche spingevano spesso i pittori ad utilizzare entrambe le facciate della tela).



Poco più che ventenne Modigliani era giunto a Parigi da un anno e realizza questi dipinti attorno al 1907-08.

La parte anteriore del quadro ci propone “Busto di donna nuda”, che evidenzia l’incontro con le opere di Toulouse-Lautrec, l’interpretazione del soggetto ci riporta alle figure meste e trascurate del pittore francese.

Il volto spigoloso, il trucco pesante, l’aria di trasandata rassegnazione contrastano e al contempo vengono messe in risalti dal rosso accesso del rossetto e dalle palpebre viola.

Le spalle cadenti e il pallore del busto completano una scena che gli artisti parigini dell’epoca avevano già raccontato, in particolare riferendosi alle “case d’amore”  molto frequentate da molti uomini, artisti e non.

Modì non aveva dato un titolo al dipinto e alla prima catalogazione venne nominato “Nudo di donna con cappello”, ma attente osservazioni hanno fatto notare che il presunto copricapo non era tale, sembra invece più verosimile un tentativo del pittore livornese di modificare lo sfondo, dal grigio azzurro dell’intero quadro ad un grigio e nero, cosa abbia fermato Modigliani non lo sappiamo.

Il lato posteriore del quadro cambia completamente la visione del soggetto, il ritratto ha un nome, si tratta di Maud Abrantès, la giovane donna che accompagnava Modigliani nel 1907, definita da Paul Alexandre, il medico che sostenne artisticamente e materialmente Modigliani nei primi difficili anni parigini, “Donna di estrema eleganza”, buona disegnatrice che apprezzava particolarmente le discussioni di letteratura, poesia e arte che si tenevano nei frequenti incontri tra gli artisti emergenti dell’epoca.

Il ritratto però ci racconta di una donna profondamente infelice, ferita, gli occhi si perdono  lontano, ad emergere una sensazione di malinconica sconfitta, di rassegnazione.

Un’idea possiamo farcela ricostruendo un episodio che in fondo potrebbe svelarci la profonda inquietudine del volto nel dipinto ma che potrebbe essere la stessa sensazione provata dal pittore.

Nel 1908 Maud, in attesa di un figlio, probabilmente dello stesso Modigliani, si imbarca su un transatlantico diretto negli Stati Uniti, prima dell’arrivo in America manda un breve messaggio a Paul Alexandre: “Domani arriviamo. Leggete ancora Mallarmé? Non so dirvi quanto mi mancano le incantevoli serate che abbiamo trascorso insieme, attorno al vostro caminetto. Che bel periodo!”.

Da quel momento di Maude Abrantès non si seppe più nulla.

Il quadro (olio su tela di cm. 80,6 x 50,1) è custodito all’università di Haifa all’interno del Reuben and Edit Echt Museum.

sabato 5 dicembre 2020

Il ritratto moderno, Philippe Parreno, Douglas Gordon

Spaziando tra le opere di Philippe Parreno e la mia attenzione ci concentra su un ritratto che esula da ciò che noi intendiamo come ritratto nell’arte.

Parreno, artista francese che sviluppa la propria idea artistica svariando dal disegno alle performance, da gigantesche installazioni a realizzazioni video, con Douglas Gordon, acclamato vidoartist , realizzano un’opera che non è totalmente originale (una cosa simile venne fatta nel 1970 dal regista tedesco Hellmuth Costard con finalità diverse) ma che è unica in quanto opera d’arte.

Il film, dal titolo “Zidane, un ritratto del 21˚secolo”, ci mostra l’eroe moderno per eccellenza, il calciatore in azione durante un incontro di calcio.

Siamo nell’aprile del 2006, lo stadio Santiago Bernabeu di Madrid vede in campo la squadra di casa, il Real Madrid e il Villareal, l’obbiettivo dei due artisti è la stella madridista  Zinedine Zidane.

7 telecamere ad alta definizione seguono per l’intera durata dell’incontro il giocatore francese, si svaria tra primi piani del viso, delle gambe, delle scarpe, ad inquadrature più o meno particolareggiate, la panoramica dell’azione quando Zidane è in possesso della palla alle smorfie di dolore, agli sguardi concentrati fino alle gocce di sudore che ne imperlano la fronte.

Perché questo film è diverso da quello che 36 anni prima realizza Costard?

Allora l’idea del regista tedesco era quella di seguire per novanta minuti il calciatore del Mancester United George Best, la differenza sta nel fatto che Costard realizza il video con un’intenzione puramente giornalistica, voleva (per quel tempo si tratta di qualcosa di rivoluzionario) raccontare le gesta tecniche del fuoriclasse inglese.

Parreno e Douglas hanno un obbittivo diverso, ne fanno a tutti gli efetti un’opera d’arte, un ritratto, in un’epoca entrata nell’era del “grande fratello” i due vogliono andare oltre la raffigurazione statica del calciatore (tipica del ritratto) ma vanno ulteriormente al di là anche da mero aspetto tecnico, cercano un insieme unendo l’atleta, l’uomo e l’eroe moderno.

Il video è stato proiettato in molti musei in tutto il mondo, un esempio la Tate Modern nel 2018,consacrandolo come creazione artistica scollegata dall’arte cinematografica (particolare che pare insignificante ma che fa la differenza, non tanto in materia di merito ma come definizione artistica).

Il risultato, al di là dei gusti personali, è interessante, il confine su cui è poggiato vede da una parte la semplice (con gli occhi di oggi) telecamera personalizzata, cosa per altro comune nel 2020, dall’altra un’opera creativa che possiamo definire d’arte per due concetti precisi, naturalmente il ritratto, seppur visto con lo sguardo della contemporaneità e l’opera d’arte in quanto decisa dall’artista.

Quest’ultimo è un pensiero nato più di un secolo fa, ma questa è un’altra storia.