sabato 25 luglio 2020

Le svolte epocali dell'arte

Non vuole essere un accostamento dei soggetti (il che potrebbe apparire offensivo) ma una constatazione che può sembrare artisticamente blasfema ma che va ben oltre l'ipotetica provocazione.



Giotto e Duchamp sono i veri e unici "creatori" di un pensiero artistico rivoluzionario, l'arte dopo Giotto ha preso una strada assolutamente nuova, un modo di vedere e vivere e pensare fino ad allora inimmaginabile.

La stessa cosa succede nella seconda decade del novecento, Duchamp da vita ad un'idea dell'arte che ribalta i canoni e indirizza la società verso un futuro sconosciuto. 

Il mondo, come lo conosciamo, è figlio delle idee "duchampiane" che a sua volta si ribella a quelle "giottesche", che pure ne hanno influenzato il pensiero. 

Da Giotto al pre Duchamp si sono alternate infinite realtà rivoluzionarie ma solo con l'avvento del discusso autore dei "ready-made" la svolta diviene definitiva. 

So che ai più questa "visione" può sembrare assurda (e forse lo è) ma è innegabile che tra i tanti "prima e dopo" questi due segnano un cambiamento mai visto in altre occasioni. 


sabato 18 luglio 2020

La lunga strada della civiltà, Judy Chicago

Un’opera definita epocale, viene considerata la prima opera d’arte femminista, il titolo è “The Dinner Party”, l’autrice è Judy Chicago, è esposta permanentemente al Brooklyn Museum di New York.

L’installazione è composta da tre tavoli disposti a formare un triangolo, ogni tavolo è apparecchiato per tredici persone (in riferimento all’ultima cena dove Gesù sedeva circondato dai dodici apostoli).

Ogni posto è assegnato ad una donna che, secondo la Chicago, ha scritto “pagine” indelebili nella storia, donne che sono cadute quasi sempre nel dimenticatoio, ad ogni posto troviamo un telo ricamato con il nome della donna accompagnato da simboli che la ricordano, oltre alle posate e a un calice vediamo un piatto di ceramica dalle diverse raffigurazioni, alcune legate al vissuto delle donne stesse altre raffigurano farfalle e fiori, questi ultimi sono spesso un evidente riferimento alla sessualità femminile.

La struttura poggia su una base costituita da centinaia di piastrelle dove sono scritti i nomi di altre 999 donne dal vissuto altrettanto fondamentale e che sono correlate alle 39 commensali.

I tre tavoli comprendono ognuno un differente periodo storico, il primo tavolo va “Dalla preistoria all’impero Romano” e ospita nomi come La dea della fertilità, Giuditta, Saffo e Ipazia, il secondo “Dagli inizi del cristianesimo alla Riforma” tra i nomi troviamo Santa Brigida, Isabella d’Este e Artemisia Gentileschi, il terzo tavolo “Dalla Rivoluzione americana al femminismo” ospita figure come Sojourner Truth, Emily Dickinson, Virginia Woolf e Georgia O’Keeffe.

Realizzata tra il 1974 e il 1979 quest’opera com'era naturale, ha fatto molto discutere. Se possiamo metterne in discussione il lato puramente estetico è più difficile ignorare ciò che ha dato vita all’idea, riportare alla luce la figura femminile volontariamente ignorata dalla storia.

Quando si cerca di rappresentare qualcosa di universalmente “elevato” succede che ci si dimentichi di qualcuno, la Chicago ha premesso di essersi concentrata sulle donne della cultura occidentale, questo fa da scudo alle critiche di chi chiede il perché dell’assenza quasi totale delle donne non bianche e non europee.

Altre discussioni sono nate naturalmente per i piatti in porcellana che alluderebbero, nemmeno troppo velatamente, al sesso femminile, il contesto storico deve però essere sottolineato, siamo nel periodo del movimento femminista che negli anni settanta ha messo al centro il corpo femminile e la sua sacralità.

Dopo quarant’anni vediamo l’insieme con un occhio diverso da quello di allora, siamo ormai abituati alle installazioni, ad una forma d'arte che in quel periodo era solo agli inizi, cosi come siamo abituati al concetto di corpo femminile anche se sembra che in quest’ultimo caso la visione appaia spesso distorta.

L’idea di base di Judy Chicago è oggi attualissima, lo sguardo verso un futuro più “rosa” era ed è rimasto prerogativa di pochi, c’è sempre tempo per imparare a guardare avanti, ma per farlo dobbiamo volerlo.


sabato 11 luglio 2020

L'estasi e il legame con la terra, Pietro Perugino

Autore:  Pietro Perugino (Pietro di Cristoforo Vannucchi)

(Città della Pieve, 1448 ca. – Fontignano, 1523)

Titolo dell’opera: Santa Maria Maddalena– 1500 ca. 

Tecnica: Olio su tavola 

Dimensioni: 47,2 cm x 34,3 cm

Ubicazione attuale:  Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze




L’iscrizione sul bordo della veste elimina qualsiasi dubbio sull’identificazione del soggetto, curiosamente sono assenti tutti i simboli che riconducono a questo personaggio, il teschio, l’urna contenente olio aromatico o gli atteggiamenti che la raffigurano nell’atto di pentirsi o in estasi. Anche i capelli rossi, che individuano la Maddalena in molti dipinti, non sono rappresentati.

Attribuita prima a Leonardo, in seguito a Raffaello fino al definitivo riconoscimento della paternità a Perugino, questa tavola riassume i canoni ritrattistici del tempo.

La modella che da vita alla Santa è Chiara Fancelli, moglie del Perugino, che spesso ha posato anche per Raffaello, se aggiungiamo che il pittore di Urbino è stato allievo dello stesso Perugino comprendiamo le difficoltà nell’attribuzione.

La bellezza del soggetto, la perfezione tecnica e fisiognomica sono tipiche dello “stile” del Perugino, cosi come la forma delle labbra, la testa leggermente inclinata e lo sguardo che si perde al di fuori del dipinto, tutto è costruito per proiettare l’insieme fuori dal tempo.

Lo sfondo scuro risalta ulteriormente la luce che illumina il perfetto ovale del viso e del collo, il risultato è decisamente eccelso, l’irreale e il reale si fondono trasmettendo una sensazione di profondo misticismo.

Oltre al viso e al collo la luce si posa sulle mani, una descrizione accurata, riprodotte con estrema precisione fino alle unghie lucide che riflettono la “psicologia” del personaggio, cosa rimasta celata nell’espressione estatica del volto.


sabato 4 luglio 2020

Il valore del contesto architettonico

Eike Schmidt, direttore degli Uffizi a Firenze, fa un appello che ha una base logica e apre un interessante dibattito: restituire alle chiese, per cui furono realizzati, i numerosi dipinti finiti nelle sale dei musei di tutta Italia.

 

Per il direttore è giunto il momento di rimettere al loro posto pale d’altare, tavole e dipinti che trovano il loro compimento nelle sedi originarie.



Schmidt fa riferimento in particolare alla nota “Pala Rucellai”, opera di Duccio di Buoninsegna, che venne portata via dalla Basilica di Santa Novella nel 1948, da allora è esposta nel principale museo fiorentino senza però che l’opera sia entrata legalmente a far parte della proprietà del museo stesso.

 

Naturalmente non ci si riferisce alle opere che sono state regolarmente acquistate ma di quei dipinti che furono prestati dalle chiese e cappelle per esposizioni temporanee ma che non vennero mai restituiti.

 

Un dipinto realizzato per un preciso luogo solo in quel contesto riesce a trasmettere tutta la propria essenza, lo spazio, materiale e spirituale è unico,  l’opera portata in un altro luogo, anche se valorizzata, perde il significato originale.

 

E’ chiaro che per mettere in atto questa epocale (e complicata) proposta servono le giuste misure di sicurezza e conservazione, ma l’importante è che si cominci a parlarne, immagino le difficoltà nell’attuazione di tutto questo (il sistema museale è abbastanza potente da impedirlo) ma il fatto che qualcuno cominci a parlarne è di estrema importanza.


Nell'immagine: Duccio di Buoninsegna – Madonna Rucellai (Madonna dei Laudesi) 1285 (data della commissione) oro e tempera su tavola

Museo degli Uffizi, Firenze.