domenica 30 aprile 2023

Chi considera Lucio Fontana solo quello dei tagli ... probabilmente non conosce Lucio Fontana

Ho spesso fatto il nome di Lucio Fontana quando volevo indicare uno dei “simboli” fondamentali dell’arte contemporanea, uno degli snodi cruciali dell’evoluzione artistica del secondo novecento, uno degli artisti imprescindibili nello sviluppo del nostro punto di vista, non solo artistico.

Lucio Fontana, Esa 1953 - Collezione privata

Ma Lucio Fontana non è riconosciuto come tale (se non dagli addetti e dagli appassionati) è considerato quello dei “tagli”, accezione usata in modo dispregiativo.

Sono convinto che chi considera Fontana solo quello dei tagli evidentemente non conosce Fontana, non comprende che ai “concetti spaziali”, perché è questo il nome, è giunto dopo decenni di studio, di sperimentazione, di ricerca, ci è arrivato partendo da basi artistiche solide, pittore, scultore, ceramista di livello assoluto, su queste fondamenta ha innalzato il suo pensiero che emerge dalle “ferite” inflitte alla tela (e prima ancora dai buchi) completando il tutto con i suoi celebri “ambienti spaziali” che si evolvono nelle “installazioni ambientali”, realizzati negli anni precedenti.

Lucio Fontana - Ambiente spaziale - Pirelli Hangar Bicocca Milano

L’artista italiano nato in Argentina ha fatto della sua esplorazione spazialista un punto fermo nella storia dell’arte, ha effettuato un passo decisivo andando oltre l’idea classica di pittura e scultura, dando vita ad uno spazio fino ad allora sconosciuto e di conseguenza inesplorato.

Il talento, secondo il punto di vista dei più,  sovrasta il concetto, ma se un artista è in possesso di entrambe le cose? Fontana è accusato di saper fare solo ciò che saprebbe fare chiunque (di solito lo sostiene chi non sa fare alcunché) tagliare una tela è, sempre secondo il pensiero comune, cosa semplicissima oltre che senza un senso logico, si giudica l’apparenza senza comprenderla (figuriamoci comprendere ciò che non appare) e si ignora, se non deride, il percorso decennale che stà dietro a queste opere.

Il nostro Lucio però è anche artista di grande talento, perché allora non viene riconosciuto come tale? Forse la moda impone il pensiero dell’arte contemporanea come  costruzione del “mercato” e Fontana sarebbe, alla pari di Manzoni, uno dei tanti bluff dell’arte del novecento.

Il tempo, come sempre da il suo verdetto e siccome di tempo ne è passato parecchio si sta delineando quello che la maggior parte del pubblico non condivide: Fontana è a tutti gli effetti uno dei più grandi artisti del secolo scorso e i famigerati “tagli” ne sono la testimonianza. 

martedì 25 aprile 2023

Uscire dal baratro e ricominciare (con quello che rimane) Otto Wols

“Wols è uno sperimentatore che ha capito di fare necessariamente parte dell’esperimento”

Jean-Paul Sartre, filosofo, drammaturgo, scrittore, critico letterario (e non solo) con queste parole riassume l’essenza del pittore tedesco proiettata nella sua pittura.

Otto Wols (Alfred Otto Wolfgang Schulze) -  Striscia verde nero rosso, 1946-47 - Olio su tela, cm 100,4 x 81,3 – Collezione privata


Uno dei tre fondatori del movimento Informale, con Dubuffet e Jean Futrier, Wols esprime lo stravolgimento dell’arte immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale, conflitto che, con i suoi orrori, ha cancellato il desiderio del “bello” oscurato dalle ombre della realtà.

Mentre Dubuffet cerca un linguaggio primitivo, senza condizionamenti esterni, Wols cancella l’idea del quadro dai colori vivaci dando spazio a cromie cupe, sporche.

Non è un tentativo di ricominciare da zero (obbiettivo fondamentale e comune a molti movimenti pre-bellici) ma quello di ricominciare con ciò che si ha a disposizione, con quello che lo sfacelo di quegli anni ha lasciato.

Uomo dalla vita difficile, vagabondo in cerca di sé stesso ma soprattutto in fuga dal nazismo, alcolizzato al punto che i danni al fegato lo portano alla morte nel 1951 a 38 anni, questa vita perennemente al limite non gli ha impedito di guardare in profondità la società del tempo e di scandagliare l’animo umano, un’umanità che ha dato vita ad uno dei più grandi orrori mai concepiti, almeno nella modernità.

Non so quale sia la percezione che ha un osservatore davanti a questa opera, partendo dal punto di vista dello stesso Wols possiamo immaginare che si tratti di una “cancellazione” del passato o di una ricostruzione, anche se terribilmente complicata, del futuro, forse entrambe o nessuna delle due.

giovedì 20 aprile 2023

"Spaesaggi" poetici, il tempo sospeso

Il tempo che si ferma là dove sembra correre senza freni, lo “spaesamento” di chi insegue una visione dal profilo leggero, lento, il sogno offuscato, la verità che si cela allo sguardo cristallino, il senso poetico di una quotidianità in bilico.

Davide Van De Sfroos pubblica Gli spaesati nel 2021 all’interno dell’album Maader folk.

A seguire testo e video.


Foto by Franco Fontana - Il parco dei Sibillini, 1999 (particolare)

Gli spaesati - Davide Van De Sfroos

Semm quel che semm, quel che semm sempru staa
Femm quel che femm, quel ch'hemm sempru faa
Chissà induè naremm a fini'
Ma semm gnamò partii

(Siamo quello che siamo, quello che siamo sempre stati
Facciamo quello che facciamo, quello che abbiamo sempre fatto
Chissà dove andremo a finire
Ma non siamo ancora partiti)

Siam nati contromano, cresciuti controvento
Vivendo in contropiede, e siamo un controsenso
Facciam lavori vecchi, con sogni malpagati
Lavori da ostinati che sembrano svaniti

Siam gli ultimi brandelli di una bandiera vera
Che non sai più se c'è ma che una volta c'era

Capissum la fadiga, i sforss de la furmiga
Capissum mea un prugress che ghe sposta la cadrega
(Comprendiamo la fatica, gli sforzi della formica
Non comprendiamo un progresso che ci sposta la “sedia”)

Siam nati contromano, cresciuti controvento
Vivendo in contropiede, e siamo un controsenso
Facciam lavori vecchi con sogni malpagati
Lavori da ostinati che sembrano svaniti

Siam gli ultimi brandelli di una bandiera vera
Che non sai più se c'è ma che una volta c'era

Capissum la fadiga, i sforss de la furmiga
Capissum mea un prugress che ghe sposta la cadrega
(Capiamo la fatica, gli sforzi della formica
Non capiamo un progresso che ci sposta la “sedia”)

Ci chiamano paesani ma siamo gli spaesati
I chiodi della storia ormai arrugginiti
Abbiamo lunghe ombre, ripariamo la memoria
Restare al nostro posto ormai è l'ultima vittoria

Siam stati gli emigranti, siam stati i ritornanti
Vi abbiam riempito i libri credendoci ignoranti
Ci hanno insegnato i trucchi per essere moderni
Ci han fatto scrivere tutto e poi buttare via i quaderni

Come fili sottili di un mondo che si scuce
Siam l'urlo dello strappo che per adesso tace
Sembriamo senza tempo, sembriamo senza pace
Ma chiamerete noi quando andrà via la luce

Ci chiamano paesani ma siamo gli spaesati
Valichiamo dei confini soltanto immaginati
Riconosciamo il nome del posto in cui viviamo
Ma abbiamo perso il codice per capire chi saremo

Ci chiamano paesani ma siamo gli spaesati
Anche bloccati qui ci sentiamo trasferiti
Siam l'ultima frontiera tra il ricordo e il cambiamento
Siamo il popolo nascosto, sorvegliamo un faro spento.


 

sabato 15 aprile 2023

Il destino ineluttabile

Il fascino ammaliante, seducente ed imperscrutabile delle “Dee del destino”.

Le Moire della cultura greca, le Parche di epoca romana o le Norne della mitologia norrena, qualunque sia il nome dato dai “mortali” in epoche e latitudini differenti, e sinonimo di attrazione e timore, di curiosità e inquietudine.



Temute dagli dei stessi, le “custodi” del destino da sempre compiono imperterrite il loro lavoro.

Rappresentate al cinema, d'animazione e non solo, nei videogiochi, le hanno raccontate in molti modi, tutti concordi che sono inflessibili e determinate a fare il loro "lavoro" ma nell'aspetto fisico ognuno ha dato la propria "visione", giovani, belle e seducenti, vecchie, deformate, malvage, e sfuggenti, silenziose o logorroiche, ognuno ha una propria percezione.

Innegabile è il fascino che emanano, il controllo e la definizione del destino è argomento intrigante, chi ha questo immenso potere non può che essere ammirato, invidiato, temuto.

Chi sono le tre sorelle (i nomi sono tratti dalle Parche romane) che hanno in custodia il destino dell’umanità?

Cloto, la più giovane, che tesse il filo della vita, l’inizio del filato corrisponde alla nascita.

Làchesi, la seconda, decide la quantità di filo e di conseguenza ne decide la durata e la qualità della vita stessa.

Infine Àtropo, la più anziana, colei che non transige, è inflessibile nelle sue decisioni, incorruttibile e spietata. Con le, tristemente note, forbici (o cesoie) recide il filo decretando la fine dell’esistenza.

Nell'immagine Simona Bramati ci mostra, con i suoi tre dipinti, la sua mirabile “visione” delle tre rappresentanti dell’ineluttabilità della vita, da sinistra, Parche I (Cloto) - Parche II (Làchesi) - Parche III ( Àtropo)

lunedì 10 aprile 2023

"Memento mori", cronaca di un disagio annunciato

Basta uno sguardo per essere catturati dalla scena, inquietante, surreale, spaventosa.


Federico Bramati – Memento mori (depressione), 2022 – Acrilico su tela cm 40 x 70


Gli occhi e la bocca apparentemente accomunano la madre e il figlio, ma mentre per il secondo abbiamo la sensazione che si tratti di un sorriso divertito, non possiamo dire altrettanto della mamma, gli occhi spiritati e il ghigno terrificante bastano per mostrarci le intenzioni, il coltello stretto nella mano sinistra serve solo a confermare le nostre ipotesi, i nostri timori.

I colori forti, l’intensità si somma all’assenza di un luogo preciso dando l’impressione che tutto si stringa, un’allucinante e claustrofobica dimensione.

L’opera mette in luce un problema troppo spesso ignorato, si sottovalutano certe situazioni che sfociano in drammi inenarrabili.

Il dipinto non pretende di dare risposte ad un quesito tanto complesso, si limita a raccontare uno stato d’animo, una crisi sociale che, come sempre, riversa le proprie spaventose allucinazioni su chi non può difendersi.

Il legame che unisce una madre ai propri figli troppo spesso viene omologato, viene incanalato, delimitato in spazi mentali che vorrebbero l’una protettrice assoluta degli altri, la mamma non può che amare incondizionatamente i propri figli.

Ma sappiamo, anche se spesso lo dimentichiamo, che non è esattamente cosi, i fatti di cronaca ce lo ricordano quasi quotidianamente, cosa scatti nella testa di queste genitrici non lo sappiamo ma è bene ricordarsi che questo lato oscuro è reale.

Ed è proprio questo che il quadro di Bramati ci dice, non è esattamente un monito, si tratta di una constatazione, il pittore va dritto al punto, impossibile ignorarlo.

Oltre ai già citati personaggi al centro della scena mi hanno colpito il titolo, apparentemente scontato e banale, e quell’apertura in alto a sinistra che da respiro al claustrofobico momento senza però lasciare spazio alla speranza.

“Memento mori” è un’esortazione a non cedere alla falsa convinzione di essere eterni, ma in questo caso è una proiezione drammatica di qualcosa che sta per avvenire prima che il ciclo naturale compia il suo percorso.

mercoledì 5 aprile 2023

Nella mente dell'artista, Vincent Van Gogh

Entrambi i genitori si vergognavano di lui. Si vergognavano di ciò che faceva, ma peggio ancora, della sua persona.

Vincent Van Gogh - Caffè di notte, 1888  Olio su tela cm 72 x 92, Yale University Art Gallery, New Haven


“Tu mi uccidi, tu mi avveleni la vita”, questo è solo un esempio di quello che Van Gogh si sentiva continuamente dire dal padre. La madre si sentiva in imbarazzo davanti ai suoi disegni e non mancava di farlo presente al figlio, al punto che, quando per la prima volta Vincent lascia la casa dei genitori per trasferirsi a Parigi dal fratello Theo, distrugge tutti suoi dipinti e disegni.

Basterebbe questo per comprendere quali e quanti problemi, e soprattutto questi ultimi dove vedono la luce, lo hanno accompagnato nella sua breve e tribolata esistenza.

Figlio di un predicatore calvinista intransigente, severissimo e incapace di ogni manifestazione d’affetto, Van Gogh deve anche sobbarcarsi il nome, Vincent appunto, che era del fratellino morto un anno prima, con tutto quello che psicologicamente ne deriva, in particolare per una mente fragile come quella dell'artista.

Van Gogh ha cercato di avvicinarsi alla figura paterna provando a seguire le orme del genitore diventando a sua volta un predicatore, ma il suo essere migliore del genitore ha sortito l’effetto contrario. Infatti a differenza dell’anaffettivo padre Vincent si è dedicato anima e corpo alla propria missione offrendosi totalmente ai poveri, rinunciando a mangiare per donarlo a chi ne aveva più bisogno, dormendo in ripari di fortuna per stare più vicino agli "ultimi".

Ma i vertici religiosi non apprezzavano tali comportamenti, definendoli sconvenienti per l’immagine stessa della chiesa, il risultato fu che venne escluso da qualsiasi mansione e allontanato dall’ordine.

Questi sono, come già sottolineato precedentemente, alcuni avvenimenti che hanno tracciato un solco profondo nell’animo di Van Gogh, senza queste, e molte altre, informazioni è impossibile entrare in contatto con le sue opere.

Quando ci poniamo di fronte a dipinti come “Il caffè di notte”, che lo stesso pittore definì: “ Il mio quadro più brutto”, non possiamo dare inizio ad alcuna “discussione” con l’opera se non partiamo da quei punti fondamentali che sono le vicissitudini e le delusioni affettive.

L'opera in questione, non so se, come afferma l'artista stesso, sia veramente la più brutta mai realizzata, è la più fedele "narrazione" dei sentimenti dell'autore, ci racconta gli stati d'animo, le emozioni, le delusioni, le speranze e il dolore provati negli anni.

Ma questa lettura potremmo farla senza conoscere la vita del pittore?

Avvicinarsi ad un modo complesso di dipingere limitandosi solo a ciò che vediamo, escludendo quello che potremmo “sentire”, ci porterà a definire i risultati “belli” o peggio ancora “brutti” (termine che io non prendo mai in considerazione) e poco altro.

L’arte non è decorazione, o perlomeno non dovrebbe esserlo, è la rappresentazione delle profondità umane e delle visioni più nascoste, percezioni intime, spesso quasi impossibili da mostrare.

I dipinti di Vincent Van Gogh sono la proiezione di sé stesso, dei propri sentimenti, delle proprie passioni, dei dolori, dei rimpianti e delle speranze che lo hanno accompagnato ogni giorno, se non conosciamo tutto ciò pensare di comunicare con le sue opere è mera illusione.