mercoledì 30 agosto 2023

Il punto di "rottura"

Questi versi sono il testo di una canzone, Everything Is Broken, pubblicata nel 1989 da Bob Dylan, è la terza traccia dell’album On Mercy, il brano è stato riproposto più volte da interpreti diversi, l’ultima in ordine di tempo (2019) e forse più nota, è quella di Sheryl Crowe e Jason Isbell (a seguire il video di una versione live della stessa Crow in un duetto con Bonnie Raitt).


Ho deciso di accompagnare queste parole con il particolare di una serie di sculture dell’artista palestinese Iyad Sabbah, intitolate Worn Out (Consumati), il risultato della cultura dello sfascio morale, della scomparsa di un’umanità “umana”.

Il testo non ha bisogno di molti approfondimenti, dal 1989 ad oggi poco o nulla è cambiato, semmai se vi è un cambiamento è in peggio.

Queste parole, decisamente sconfortanti, sono il riassunto di quel “punto di non ritorno” che la società ha raggiunto e superato.

(Bob Dylan - Everything Is Broken)


Linee spezzate, corde spezzate

fili spezzati, molle spezzate

idoli spezzati, teste spaccate

gente che dorme in letti spaccati

è inutile ballare

è inutile scherzare

tutto è spezzato.

Bottiglie spaccate, vassoi spaccati

interruttori spaccati, cancelli spaccati

piatti spaccati, oggetti spezzati

le strade sono piene di cuori spezzati

parole spezzate che non si sarebbe mai voluto pronunciare

tutto è spezzato.

Sembra che ogni volta che ti fermi e ti guardi intorno

qualche altra cosa cada in terra

Taglierini spaccati, seghe spezzate

fibbie spezzate, leggi spaccate

corpi spezzati, ossa spezzate

voci spezzate a telefoni spaccati

prendi un respiro profondo, ti senti come soffocare,

tutto è spezzato.

Ogni volta che parti e vai in qualche altro posto

le cose cadono a pezzi sul mio viso

Mani spezzate su aratri spaccati

trattati spezzati, patti spezzati

tubi spaccati, arnesi spezzati

la gente ha distorto regole spezzate

il mastino ulula,

la rana-toro gracida

tutto è spezzato.





venerdì 25 agosto 2023

L'arte "antica" nel quattrocento dopo la rivoluzione giottesca

 

Orcagna (Andrea di Cione Arcangelo) – Trittico di San Matteo (e sue storie) 1367 ca.

Tempera e oro su tavola, cm 291 x 265 – Galleria degli Uffizi, Firenze


San Matteo, in quanto patrono, e l’utilizzo della foglia d’oro alludono alla corporazione dei banchieri che ha commissionato l’opera che doveva ornare la chiesa di Orsanmichele, nome derivante dalla via dov’è situata la costruzione e che anticamente era conosciuta come la chiesa di San Michele in Orto.

La ricca rifinitura in oro è tipica di quel periodo ma lo stile è antecedente a quello rivoluzionario di Giotto, anche se sono passati anni dalla “visione” innovativa del pittore di Vicchio Orcagna e la sua bottega hanno preferito (per scelta propria o dei committenti) di realizzare il trittico attingendo all’arte pre-giottesca.

Come detto il pittore fiorentino ha lavorato in collaborazione con i suoi assistenti, infatti Orcagna (deformazione dialettale del nome Arcangelo) muore prima del completamento del dipinto che verrà ultimato dal fratello Jacopo che a sua volta faceva parte della bottega stessa.

Il pannello centrale ci mostra San Matteo a grandezza naturale che tiene in una mano il Vangelo aperto e nell’altra un pennino, è raffigurato nell’istante in cui ha appena concluso la stesura o è ancora immerso nel lavoro?

Sui lati alcune scene della vita del santo, a sinistra siamo in Etiopia dove San Matteo ammansisce due draghi dall’alito pestilenziale, sotto la scena mostra la conversione del santo stesso.

A destra in alto San Matteo resuscita il figlio del re Egippo, in basso troviamo la rappresentazione del suo martirio.

Nei Pannelli laterali non sono rispettate le proporzioni tra le strutture architettoniche e i protagonisti delle scene, a confermare il passo indietro  rispetto alle innovazioni pittoriche di Giotto.

Un piccolo particolare riguarda il preziosissimo broccato ai piedi del santo, lo stesso possiamo trovarlo in altri dipinti attribuiti proprio al fratello Jacopo.

domenica 20 agosto 2023

Arte e libertà, l'astrattismo contro il pensiero unico

L’arte astratta è uno degli esempi più importanti della “libertà di pensiero”.

Non a caso tutte le dittature del novecento, siano esse comuniste, fasciste o naziste, avevano (e hanno) in comune la determinazione nel troncare sul nascere ogni forma d’arte astratta.


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Piero Manzoni, Achrome 1958, caolino su tela grinzata, cm 100 x 70 - Gallerie d’Italia, Milano



Mentre la pittura figurativa permette di incanalare, in immagini, le masse verso un pensiero unico (metodo utilizzato nei secoli dalla nobiltà e dal clero) l’arte astratta è difficile da controllare.

Giustamente qualcuno può obbiettare sostenendo che la pittura figurativa è stata spesso utilizzata per contrastare tali regimi totalitari, ma in quanto rappresentativa è “leggibile”, riconoscibile e di conseguenza più facile da arginare.

L’astrazione necessita di approfondimento, di un ragionamento, chi vuole andare oltre l’apparenza deve sviluppare un pensiero proprio.

Non c’è nulla di peggio, per certe ideologie assolute, della massa pensante che in quanto tale è incontrollabile.

L’astrattismo, il “concettuale”, sono due forme di spinta intellettuale, chi si immerge in queste profondità artistiche deve farlo con uno sviluppo del pensiero, un pensiero che, se elaborato singolarmente, diviene unico in quanto espressione di un singolo individuo, se ogni essere umano approfondisce un proprio ragionamento viene meno quel “pensiero unico” nell’accezione negativa, quella che permette il controllo “dall’alto”.

martedì 15 agosto 2023

La banalità al potere, quando le idee sono in vacanza

A Dartford, cittadina inglese nella contea del Kent,  hanno visto la luce due statue in bronzo realizzate della scultrice Amy Goodman.


L’opera dal titolo The Glimmer Twins rappresenta i due “personaggi” simbolo dei Rolling Stones; Mick Jagger e Keith Richards, in azione sul palco in una versione anni 80.

Il comune britannico celebra i suoi due concittadini, cosa consueta in questi casi, soprattutto se pensiamo chi sono e cosa possono portare in termini “turistici”.

Se però andiamo in un’altra direzione, quella artistica, non ci resta che farci una domanda: Era proprio necessario?

Soggetti banali, tecnica tutt’altro che eccelsa, impatto visivo (con riserva live) non certo entusiasmante, concetto vecchio, ripetitivo, insomma un’opera che sicuramente ecciterà i fan degli Stones e dei due grandi simboli del rock, ma che non aggiunge nulla a quanto visto fino ad ora.

giovedì 10 agosto 2023

Arte, vita e ciò che sta nel mezzo, Robert Rauschenberg

Robert Rauschenberg – Serbatoio, 1961 – Olio, matita, tessuto, legno, gomma e metallo - cm 217,2 x 158,8 x 39,4 cm 

National Museum of American Art, Washington


Opera che va oltre il dipinto bidimensionale, gli oggetti inseriti lo trasformano in una scultura, due orologi, una ruota, una rudimentale “mensola”, una trave che attraversa il dipinto, tutto questo per uno spessore di quasi 40 centimetri.

Siamo agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, periodo di ribellione, critica sociale e ricerca spasmodica di un definitivo cambiamento, il pittore texano però non va nella direzione della critica sociale ma è alla ricerca di quella “rottura” che finalmente si scollega dal concetto classico di arte, sganciarsi definitivamente dalla tradizione.

“Serbatoio” di idee? Serbatoio di visioni  sopite? O Serbatoio di speranze senza speranza?

Cosa voglia dirci, o rappresentare, con quel titolo non è chiaro, sembra comunque sottolineare che si tratta di un contenitore, di cosa possiamo solo provare a comprenderlo.

La struttura è molto vicina all’astrattismo,  i due orologi infatti pur facendo parte dell’opera hanno il compito di “indicare” il tempo che passa, quello in alto segna l’orario d’inizio dell’opera, quello in basso l’ora in cui Rauschenberg ha concluso il suo lavoro.

È lo stesso artista a sottolineare il suo obbiettivo, cercare di inserirsi nello spazio che divide l’arte dalla vita, in questo modo cerca di creare un cuscinetto che permetta ai due “mondi”, apparentemente diversi, di comunicare fino a fondersi.

Le opere dell’artista di Port-Arthur sono state fonte d’ispirazione per la nascita della Pop Art americana, una visione che si è evoluta partendo dal concetto popolare britannico e che ha avuto il pieno sviluppo negli Stati Uniti.

 

sabato 5 agosto 2023

Rivoluzione o plagio, innovazione o ripetizione

Gauguin sosteneva che l’arte “o è plagio o è rivoluzione”, io penso che l’arte sia essenzialmente rivoluzione, ricerca dell’impossibile (apparentemente), ribaltamento dei canoni contemporanei.

Il plagio, al contrario, è un surrogato e in quanto tale lontanissimo da qualsiasi concetto artistico.

Paul Gauguin - Lilac Bouquet, 1885 - Olio su tela cm 34,9 x 27 - Collezione privata

Ma se “conosciamo” Gauguin sappiamo che è nostro dovere approfondire l’idea che il plagio sia arte.

Naturalmente per plagio non si intende una copia, ma la realizzazione di un pensiero personale che parte da qualcosa che già esiste, una visione alternativa rispetto a ciò che è in essere.

“Plagio o rivoluzione” in quanto uniche forme d’arte possibili, ma forse l’arte è un mix che prevede entrambe le cose, l’idea rivoluzionaria che nasce da una base preesistente, non tanto nel riproporre qualcosa di già fatto ma nella presa di coscienza che è impossibile non subire la contaminazione del passato frutto delle esperienze altrui  contestualizzate.

Forse l’arte è “plagio e rivoluzione”, l’uno senza l’altro sono incompleti, addirittura inutilizzabili, il solo plagio si riduce alla pura decorazione da parete, la sola rivoluzione è possibile solo se sono validi i concetti della “Art Brut”, ma in questo caso scomparirebbe quasi totalmente la figura dell’artista.