A volte
ci perdiamo nei nostri pensieri e ci lasciamo condurre dove l’inconscio
desidera andare, apparentemente senza senso, un viaggio può condurre a mete
illusorie dove ciò che ci appare non ha una logica, una spiegazione canonica.

Il
titolo, “Trinità”, non lascia spazio ad interpretazioni, è la raffigurazione di
Dio nel suo essere assoluto.
Questo
mi ha immediatamente spinto in avanti di cinquecento anni quando nel 1915 Kazimir
Malevič realizza il celeberrimo “Quadrato nero su fondo bianco”, la rappresentazione
di Dio nel suo essere assoluto.
Due
immagini, all’apparenza, estremamente diverse tra loro ma concettualmente affini,
entrambe “raccontano” l’esperienza spirituale del proprio tempo, l’incontro con
il Divino, due visioni simili e al contempo lontane, la prima più diretta, la seconda più sofferta.
Cento
anni dopo l’opera di Malevič, a due decenni dall’inizio del nuovo millennio
dove all’improvviso ci troviamo ad aprire gli occhi, a liberarci dall’inutile
eccesso "materiale" che ci impedisce di guardare lontano, quale delle due visioni ci è più congeniale?
Indipendentemente
dal credo religioso o dalla presenza o meno dello stesso, le due
rappresentazioni si schierano su un fronte sostanziale opponendosi al vuoto spirituale
degli ultimi decenni, forse, ma è solo
il mio pensiero, è proprio Malevič a fornirci un’indicazione (non cerchiamo una
risposta certa, non l’avremo mai) l’essenza spirituale è là dove lo sguardo
distratto non vede, solo con il desiderio di conoscenza possiamo stabilire un contatto.
Nelle due immagini, dall’alto:
Anrej Rublëv –Trinità, 1420-30, tempera su tavola, 142 x 114 cm, Galleria Tret’jakov,
Mosca
Kazimir Malevič - Quadrato nero su fondo bianco, 1915, olio su lino, 79.5 x 79.5 cm, Galleria Tret’jakov,
Mosca