sabato 27 gennaio 2018

Senza via di scampo?, Felix Nussbaum

Autore:   Felix Nussbaum
(Osnabrück, 1904 – Auschwitz, fine 1944 - inizio 1945)
 
Titolo dell’opera: Paura (Autoritratto con la nipote Marianne) – 1941
 
Tecnica: Olio su tela
 
Ubicazione attuale:  Felix Nussbaum Haus Museum, Osnabrück.






L’arte di Nussbaum è quasi completamente incentrata sulle vicende personali legate all’orrore dell’olocausto.

Fuggito dalla Germania per non finire nella rete nazista, in quanto ebreo, si rifugia in Belgio, paese all’apparenza sicuro per via della dichiarazione di neutralità, ma pochi giorni dopo il suo arrivo la Germania invade il paese e per Felix inizia l’incubo.

Arrestato e trasportato in un campo francese riesce a fuggire quando sembrava imminente la fine.

Di nascosto torna a Bruxelles dove raggiunge la moglie nascosta in casa di amici, vivrà quattro anni in clandestinità dove tra la terribile solitudine e l’onnipresente terrore di essere catturato descrive l’ansia e la paura di quei giorni, lo fa con la pittura in un modo unico nel suo genere.

Questo dipinto del 1941 ci trasmette lo stato d’animo di quei mesi infiniti dove la follia umana raggiunge livelli di rara esasperazione.

Difficile dare interpretazioni personali ad un’opera come questa, i colori cupi, il senso di claustrofobia, l’assenza di una via di fuga e l’espressione terrorizzata dei due protagonisti parlano da soli.

Tradito da un vicino Nussbaum viene arrestato (mentre l’amico che lo aveva aiutato a nascondersi riesce a fuggire) morirà non ancora quarantenne, in un periodo imprecisato tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, in un campo di concentramento di Auchwitz, stessa sorte tocca alla moglie e a gran parte della sua famiglia.

Restano le sue opere che ci ricordano costantemente quanto l’umanità possa spingersi oltre ogni più buia dimensione. Opere che non permettono alcuna interpretazione che non sia quella di condanna e che testimoniano i momenti tragici che sembrano, al giorno d’oggi, tutt’altro che lontani … per chi ha la volontà di comprenderli.

 

domenica 21 gennaio 2018

Siamo un "acquarello che scolorirà", Toquinho

Il brano è parte dell’omonimo album del 1983
Antonio Pecci Filho, conosciuto con lo pseudonimo di Toquinho (diminutivo brasiliano di Antonio che tradisce le origini italiane), nello stesso anno presenta il disco in Italia dove la canzone principale, Acquarello appunto, è pubblicata sia nella versione originale in portoghese (Aquarela) che in quella italiana.

Pezzo dolce e fantasioso che con una poetica dal sapore naïf  sottolinea con emozionante ingenuità il percorso di ognuno di noi, racconta la vita che può essere interpretata con gioia ed in modo giocoso, con un po’ di fantasia tutto è possibile.
Il finale però è inevitabilmente amaro, si chiude con “siamo tutti in ballo, siamo sul più bello, un acquarello che scolorirà”, conclusione naturale che ci spinge a colorare la nostra esistenza pur sapendo che il colore sbiadirà nel tempo. Non siamo eterni ma vale comunque la pena di provare a colorare il presente e di riflesso il futuro.

 Acquarello


Sopra un foglio di carta
lo vedi il sole è giallo
ma se piove due segni di biro
ti danno un ombrello

Gli alberi non sono altro
che fiaschi di vino girati
se ci metti due tipi là sotto
saranno ubriachi

L'erba è sempre verde e se vedi
un punto lontano
non si scappa o è il buon Dio
o è un gabbiano e va ...

Verso il mare a volare
ed il mare è tutto blu
e una nave a navigare
ha una vela non di più

Ma sott'acqua i pesci
sanno dove andare
dove gli pare non dove vuoi tu

Ed il cielo sta a guardare
ed il cielo è sempre blu
c'è un aereo lassù in alto
e l'aereo scende giù

C'è chi a terra lo saluta con la mano
va piano piano fuori da un bar,
chissà dove va...

Sopra un foglio di carta
lo vedi chi viaggia in un treno
sono tre buoni amici che
mangiano e parlano piano

Da un'America all'altra
è uno scherzo, ci vuole un secondo
basta fare un bel cerchio
ed ecco che hai tutto il mondo

Un ragazzo cammina cammina,
arriva ad un muro
chiude gli occhi un momento
e davanti si vede il futuro già

E il futuro è un'astronave
che non ha tempo né pietà
va su Marte va dove vuole
niente mai, lo sai, la fermerà

Se ci viene incontro non fa rumore,
non chiede amore e non ne da

Continuiamo a suonare,
lavorare in città
noi che abbiamo un po' paura
ma la paura passerà

Siamo tutti in ballo
siamo sul più bello
un acquarello che scolorirà
che scolorirà



martedì 16 gennaio 2018

La musica e l'eternità del mito, Gustave Moreau


Autore:   Gustave Moreau
(Parigi, 1826 - Parigi, 1898)
 
Titolo dell’opera: Orfeo – 1790
 
Tecnica: Olio su tela
 
Dimensioni: 154 cm x 99,5 cm
 
Ubicazione attuale:  Musèe d’Orsay, Parigi.


 

“Una giovane donna trova la testa di Orfeo e la sua lira che galleggiano nell’acqua di un fiume. Li raccoglie con rispetto, gesto tenero”
Cosi Moreau descrive il suo dipinto nel “Libro rosso degli appunti” sintetizzando la scena legata al ritrovamento dei resti di Orfeo.
La passione e l’ammirazione del pittore per l’arte del rinascimento italiano si nota nel viso della giovane donna e nella testa di Orfeo, la prima ripropone i tratti “ideali” cari alla pittura del cinquecento mentre per il secondo Moreau si ispira a Michelangelo con i suoi schiavi morenti.
Anche il paesaggio è di ispirazione rinascimentale, difficile non pensare a Leonardo anche perché la pennellata che ritrae la natura sullo sfondo è in netto contrasto con la ricchezza cromatica e di particolari della veste della ragazza.
Orfeo era un musicista in grado di smuovere alberi e rocce con la sua lira, disobbedendo al Dio Apollo compì il suo destino dilaniato dalle Menadi.
La musica però non muore con Orfeo, Moreau in quest’opera lo sottolinea sia con le tre figure in alto sopra lo sperone di roccia che suonano dando alla musica stessa un’infinita continuità, ma soprattutto con le due tartarughe ai piedi della giovane donna.
Infatti Orfeo creò la sua prima lira con un guscio di tartaruga facendo di questo animale il simbolo eterno della musica.

mercoledì 10 gennaio 2018

La "creazione" del tempo, Olafur Eliasson.

"Si osserva comunemente che quando due inglesi si incontrano, il loro primo discorso è il tempo; si affrettano a dirsi l'un l'altro, ciò che ciascuno deve già sapere, che è caldo o freddo, luminoso o nuvoloso, ventoso o calmo.”                                        

Samuel Johnson, scrittore inglese attivo nel 1700, cosi si esprimeva riguardo alla fondamentale influenza della tematica legata al tempo.

 

 
 


In questa installazione, Olafur Eliasson ci mostra la rappresentazione del sole che “interpreta” il continuo movimento del tempo.

Nella famosa “Turbine Hall”, spazio artistico espositivo all’interno del Tate Modern di Londra, l'ambiente viene invaso da sottilissime particelle d’acqua, la nebbia si accumula formando delle minuscole nuvole che si perdono nella grande stanza.

La sala è illuminata da una gigantesca semisfera che si completa nel riflesso dello specchio soprastante dando vita ad uno splendente effetto visivo.


Le duecento lampade ed il sistema di specchi si fondono con la foschia creata da appositi macchinari, a seconda dei flussi d’aria immessi nella sala si ottengono delle formazioni nuvolose che “creano” l’illusione del tempo che cambia.

venerdì 5 gennaio 2018

Le vetrate di Hadassah, Marc Chagall


 “La vetrata sembra molto semplice: la materia, la luce. Per una cattedrale o una sinagoga lo stesso fenomeno: una realtà mistica che attraversa la finestra. Per me una vetrata è una parete trasparente posta tra il mio cuore e il cuore del mondo”.
(Marc Chagall)






Un’opera di grande valore artistico e simbolico, Chagall realizza le vetrate per la sinagoga di Hadassah dell’università di Ein Karem, località vicina a Gerusalemme.


La semplice pianta quadrata della struttura permette all’artista bielorusso di celebrare le 12 tribù d’Israele ponendo tre vetrate su ogni lato, il piano della sinagoga è interrato e questo permette di porre le vetrate al livello della pavimentazione estena.


Le facciate sono dirette verso i quattro punti cardinali permettendo alla luce del giorno di illuminare le vetrate a seconda del trascorrere del giorno, infatti solo con la luce naturale si possono ammirare dall’interno, che è il punto di vista principale, le lampade accese nella sinagoga dopo il tramonto del sole permettono una visione alternativa dall’esterno.

Ogni singola vetrata misura 3.38 x 2,51 metri e presenta nel dettaglio il “fondatore” di una delle dodici tribù. In ogni opera vediamo i simboli, figurativi e cromatici che caratterizzano i capostipiti e le discendenze.

Chagall anche in questo caso mantiene vivo il suo stile mistico ed onirico, nonostante l’argomento il pittore di Vitebsk mostra pesci, serpenti, uccelli ed altri animali che fluttuano, volano e nuotano, è evidente il simbolismo ebraico che lo ha accompagnato nell’intero percorso artistico cosi come traspare l’iconografia russa, un bagaglio culturale che non lo abbandonerà mai.


A seguire il dettaglio delle vetrate che, prese singolarmente, permettono un’immersione  più approfondita di un’opera dall’inestimabile valore simbolico, artistico e culturale.


"La sinagoga sarà una corona per la Regina dei giudei e le finestre saranno i gioielli di tale corona ... "
(Marc Chagall)


Parete Est


Ruben
 
Simeone
 
 
Levi



 Parete Sud


Giuda


 
Zabulon
 

 
Issacar


Parete Ovest


Dan

 
 

Gad
Aser


Parete Nord
 
 
Neftali

 
Giuseppe
 
Beniamino
 
 
(le immagini sono prese dal web)