martedì 30 settembre 2025

Nel silenzio gridano le nostre paure

Su Prime Video ho incontrato casualmente un film di cui nessuno, o quasi, parla, anche in rete, dove si vocifera di qualsiasi cosa, non ci sono molte informazioni.


Non aiuta nella ricerca il titolo: “The trail”, la penuria di fantasia ha optato per qualcosa di usato infinite altre volte.

Pellicola indipendente dal budget limitatissimo e dalla struttura narrativa tutt’altro che originale, ma cos è che mi spinge a recensirlo positivamente? Tutto il resto!

In un epoca di film dove emerge la fretta, il caos e lo sproloquio, dove un numero sempre maggiore di personaggi rende tutto caotico, a Stefan Müller, regista austriaco, è bastato eliminare il superfluo e puntare sull’essenziale per ottenere un risultato eccelso.

Sophia Grabner rappresenta il personaggio principale, ma non è solo la protagonista, è l’unico personaggio presente, al netto di poche comparse in scena per pochi minuti, inoltre è assente qualsiasi dialogo, questo rende il tutto profondamente intimo, un frastornate e silenzioso viaggio introspettivo.

Il film inizia in un ospedale dove una giovane donna è a letto in stato d’incoscienza e supportata da varie macchine tra le quali quella che eroga ossigeno, subito dopo appare una scritta: “Un anno dopo”.

Ora siamo in una stanza d’hotel, dove la donna si prepara per uscire, indossa scarponi da trekking, una giacca a vento e uno zaino, davanti allo specchio, prima di chiudere il colletto della giacca attorno al collo notiamo una cicatrice che corre da destra a sinistra sulla gola.

Esce dall’hotel e si dirige verso il bosco, ad un certo punto, mentre percorre un’ampia strada sterrata appare un segnale che indica “Start of trail”, il percorso ha inizio!


A fare da cornice lo spettacolo delle Alpi che accompagna il percorso della donna che al tramonto monta una piccola tenda e accende un fuoco, è proprio davanti alla legna ardente che estrae un taccuino e scrive il nome delle sue paure, che se superate, finiscono nel fuoco impresse nel foglio che viene strappato.

L'indomani incontra, o sarebbe più esatto dire osserva da lontano, alcune persone, senza che però ci sia alcuna interazione, la paura della gente è una presenza ingombrante che deve essere sconfitta.

Tutto scorre tranquillamente, tra il silenzio e i suoni della natura ed il paesaggio mozzafiato che mostra l’infinita bellezza delle montagne, la svolta avviene quando affacciatasi ad una radura trova, incagliata al terreno, un’astronave di provenienza aliena.


Titubante aggira il veicolo e nota un’apertura anomala, come se qualcuno si fosse fatto strada dopo aver divelto le pareti, poco lontano, tra gli alberi, ecco il visitatore straniero, gravemente ferito e riverso a terra, l’alieno porge la mano alla giovane donna che accetta il contatto, la stretta tra le due mani da vita ad un collegamento mentale, ne scaturisce una frase: “It esaped, on its skin” (la traduzione lascia alcune perplessità ma potremmo semplificare con “è scappato per un pelo” o “sulla sua pelle”, il che potrebbe avere un senso nel proseguo del film) le mani si dividono alla morte del visitatore e la giovane protagonista si ritrova nel palmo una piccola sfera.

Qui il fil lascia le atmosfere idilliache per tuffarsi in un vortice scuro e angosciante dove il passato  le paure prendono il sopravvento, non sto a raccontare ciò che succede in seguito, ma dal mio modesto punto di vista vale la pena approfondire, sempre che ci piacciano i silenzi e le discese negli abissi della mente.

 

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