sabato 30 giugno 2018

Visione, Alberto Savinio


Autore:   Alberto Savinio (Andrea Francesco Alberto de Chirico)
(Atene, 1891 - Roma, 1952) 

Titolo dell’opera: Gomorra, 1929


Tecnica: Olio su tela riportato su tavola


Dimensioni: 59 cm x 73 cm


Ubicazione attuale:  Collezione privata




Rivisitazione della celeberima vicenda biblica, Savinio riprende la scena da un’angolatura particolare, infatti sia l’artista che lo spettatore osservano ciò che accade da una finestra.

Punto di “visione” che permette a chi guarda di sentirsi al sicuro in quanto tutto quello che di terribile accade resta chiuso all'esterno.

Il cielo scuro carico di pioggia fa da sfondo a tre “zone” del dipinto ben delineate, la città di Gomorra con le sue torri e le possenti mura sembra ancorata saldamente al suolo e apparentemente al sicuro da qualsiasi sconvolgimento.

Sopra la città però ecco apparire gli angeli giustizieri che colpiscono dall'unico punto indifeso, il cielo.

Le incredibili forme dai colori brillanti scagliano i fulmini sull'indifesa popolazione rea di aver disobbedito a Dio, è sicuramente questo il punto focale del quadro oltre ad essere il colpo di genio del pittore ateniese.

In alto a destra troviamo una tenda nera che agitata dalla tempesta si dirige verso il centro abitato con l’intento di coprirne i resti, una pietra tombale che mette fine ai terribili attacchi divini.

E' evidente il legame artistico con il fratello maggiore (Giorgio De Chirico) dove la cultura e tradizione classica emerge in entrambi (la nascita ad Atene è una base imprescindibile) ma in Savinio affiora prepotentemente una visione "fantastica" che si fonde con la mitologia, quest'ultima viene raccontata da un'angolatura personale dove si nota molto spesso una sfumatura, tutt'altro che lieve, di ironia e di pungente umorismo.


sabato 23 giugno 2018

Arte e provocazione. Maurizio Cattelan

Arte provocatoria o provocazione artistica?

La storia dell’arte è piena di sperimentazioni provocatorie in particolare l’arte del 900 che ha il suo culmine in artisti come Duchamp o Manzoni ma, mentre questi ultimi inseriscono, più o meno nascosti, dei messaggi di denuncia legata a ciò che gira intorno al mondo dell’arte stessa,  Maurizio Cattelan va oltre o quantomeno "altrove".

I famosi “Tre bambini impiccati” sono un esempio delle performance-sculture che l’artista ha ha realizzato negli anni, la scultura in questione  viene esposta pubblicamente in Piazza XXIV maggio a Milano.



Siamo nel 2004 e come naturale reazione ad una qualsiasi provocazione ha scatenato un vespaio (un uomo nel tentativo di rimuovere l’opera è caduto ed è stato ricoverato in ospedale a dimostrazione che troppo spesso si agisce d’istinto senza cercare di capire il perché di una qualsiasi situazione).

Certo l’impatto è stato tutt’altro che “leggero”, vedere tre "manichini" che rappresentano altrettanti bambini pendere impiccati da una albero (in questo caso si tratta di una quercia e anche la scelta dell'albero non è del tutto casuale) non può lasciare indifferenti, cercare per forza un significato immediato è comunque complicato cosi come è sconsigliato limitarsi a dare un giudizio puramente estetico senza fermarsi a riflettere sul motivo di tale “scultura”, non tanto sul significato voluto dall’autore quanto sull’impressione che ne ha l’osservatore.

Approfondendo la “visualizzazione” i corpi appesi e le corde che li sostengono vengono messi in secondo piano dallo sguardo dei tre bambini, infatti non si nota alcun segno di sofferenza ma i volti rimandano un ammonimento accusatorio, come a puntare il dito verso il mondo degli adulti che hanno un “impatto” negativo verso il mondo infantile e giovanile.

Troppo spesso si cerca nel bambino una crescita precoce soffocando l'innocenza tipica di quell'età, una crescita forzata che "uccide" prematuramente l'infanzia e tutto ciò che essa rappresenta.

E' curioso che uno dei bambini abbia i lineamenti del viso dello stesso Cattelan, facendo del bambino una figura "adulta" una seppur lieve somiglianza con l’artista veneto che mette in risalto quella che è una crescita forzatamente prematura e che al contempo permette all'artista di stare in equilibrio tra il mondo adolescenziale e quello pseudo-maturo degli adulti.

sabato 16 giugno 2018

L'incantesimo spezzato. Frederic E. Church


Autore:   Frederic Edwin Church
 (Hartford, 4 maggio 1826 – New York, 7 aprile 1900)

Titolo dell’opera: Stagione delle piogge ai tropici - 1866


Tecnica: Olio su tela


Dimensioni: 142,9 cm x 214 cm


Ubicazione attuale:  Fine Arts Museum, San Francisco






Paesaggio idealizzato dove la realtà incontra il sogno, dove l’immaginazione poetica descrive un mondo che i "discendenti" di Church, le generazioni a venire, hanno cancellato.

Membro di spicco della famosa scuola americana la “Hudson River School”, descrive gli ultimi paradisi naturali con la sapiente tecnica e la geniale, e a volte esasperata, fantasia.

I tropici raffigurati in questo dipinto sono un insieme degli “scenari” naturali che il pittore ha realmente visto rielaborati nel suo studio basandosi su schizzi preparatori e soprattutto sulle impressioni visive personali dopo un viaggio in Giamaica.

La folta vegetazione a destra e le imperiose montagne a sinistra aprono all’osservatore la strada che conduce, attraverso le terrazze in secondo piano, fino alle imponenti vette sullo sfondo.

La luce del sole filtra con fatica dalla spessa coltre nuvolosa mettendo in risalto l’umidità tipica del luogo.

Ma è senz’altro l’arcobaleno il vero protagonista, collega le due sponde della vallata, si erge ad arco “trionfale” dove la natura è padrona assoluta.

Come spesso accade nei dipinti dei membri del movimento “River”, appaiono minuscole le figure umane, sulla strada che conduce alle pendici sormontate dalle due palme un piccolo gruppo di uomini fa il suo ingresso in questo mondo incontaminato.

A questo punto le letture dell’opera si moltiplicano, da una parte la speranza e la positiva percezione dettata dall’arcobaleno, dall’altra la contaminazione dell’uomo “progredito” che inevitabilmente rompe gli equilibri naturali, cosa che in effetti è avvenuta.

sabato 9 giugno 2018

L'idea che emerge dal caos. Auguste Rodin.


Autore:   Auguste Rodin
 (Parigi, 1840 - Meudon, 1917)

Titolo dell’opera: La Pensée – 1886 - 89


Tecnica: Scultura in marmo


Dimensioni: H. cm 74


Ubicazione attuale:  Musée d’Orsay, Parigi.






Emblema scultoreo della concezione “simbolista”, i contemporanei di Rodin sostenevano la tesi del “pensiero che emerge dall’informe massa della materia”.

Opera che si può “leggere” in modi differenti, molte infatti le interpretazioni che si possono dare legate alla scultura in se che si fonde con la vita della modella e la relazione fra quest’ultima e l’artista.

Camille Claudel, sorella del noto poeta Paul, è la protagonista del momento artistico e affettivo che Rodin trasforma in quest’opera, il legame tra i due è intenso ma molto travagliato, i quasi venticinque anni di differenza creano non pochi problemi tra il maturo e affermato scultore e la giovane e irrequieta ragazza.

La scultura prende vita nei primi anni della relazione è dunque non ha nessun legame con la malattia, il disturbo mentale, che la condurrà in manicomio nel 1913 e che non lascerà fino alla morte nel 1943, ma se è vero che per comprendere meglio un’opera si deve tener presente anche ciò che è successo dopo la Creazione” della stessa è inevitabile prendere in considerazione anche questi fatti.

La mente che prende il soppravvento sul corpo? L’idea che sia il pensiero, l’interiorità della donna, l’interesse primario di Rodin verso la giovane relegando l’aspetto fisico (pur con enorme importanza) in secondo piano?

Difficile trovare un punto fermo nella lettura di questo capolavoro, possiamo comunque affidarci a ciò che ricordò lo stesso scultore vent’anni dopo la realizzazione, sosteneva infatti che l’opera era stata ideata per rappresentare “una testa così piena di vita da rendere vitale la massa informe e inerte da cui emerge”.

Altre interpretazioni avvicinano il lavoro dello scultore francese al pensiero “michelangiolesco” che scavando nella materia, cercando nel profondo della “massa”, si riesce a trovare il cuore dell’opera, “liberare l’idea dal blocco che la tiene imprigionata”.

sabato 2 giugno 2018

Il mito romantico, Gaetano Previati.


Autore:   Gaetano Previati
(Ferrara, 1852 - Lavagna, 1920) 

Titolo dell’opera: Morte di Paolo e Francesca – 1887


Tecnica: Olio su tela


Dimensioni: 98 cm x 227 cm


Ubicazione attuale:  Accademia Carrara, Bergamo.






Paolo e Francesca, la nota vicenda degli sfortunati amanti entrati a far parte dell’immortalità letteraria grazie al V canto della “commedia” di Dante Alighieri, viene ripresa ripetutamente dalla pittura, in particolare è presente nella vena romantica dell’ottocento.

Preiviati ne da una visione drammatica, una scena quasi teatrale che diventa angosciante grazie alla “chiusura” dell’immagine dove i due giovani sono raffigurati, appoggiati al letto, trafitti dalla medesima arma, i protagonisti  riempiono il quadro quasi completamente rendendo impossibile per lo spettatore qualsiasi distrazione. Questo rende il tutto terribilmente opprimente ed esalta l’intensità tragica dell’evento.

Spiccano i contrasti cromatici che fanno risaltare le figure di Paolo e Francesca, il bianco e il nero dei vestiti di lui si completano con l’elegante abito della donna, ma sono i rossi capelli riversi sul letto il vero punto focale del dipinto.

I ricami del copriletto fanno da sfondo ad un’opera che racconta con estremo realismo una vicenda che, tra la storia e la leggenda, è entrata nell’immaginario popolare.