sabato 29 giugno 2019

Quesiti senza risposte, Amedeo Modigliani.


Leonardo Piccioni, noto critico, in un suo scritto ci pone un quesito che, anche se non si tratta di una questione fondamentale, ci spinge ad alcune interessanti riflessioni:

“Ci sono miti o vere presenze, in quegli anni, legati a sorti tanto brevi di vita: Apollinaire, Boccioni, Gris […] cosa sarebbe stato di loro se avessero potuto seguire la ricerca della maturità e della vecchiezza? […] nel gioco di queste ipotesi assurde quale mito sarebbe nato se de Chirico avesse smesso di dipingere al tempo dei Bagni segreti? ..."

Queste parole mi hanno fatto pensare immediatamente al “mito” Modigliani, quale sarebbe oggi la dimensione artistica del pittore livornese?

Modigliani nelle accese discussioni con l’amico Diego Rivera sosteneva che “il paesaggio non esiste” contrapponendosi al pittore messicano che insisteva “il paesaggio è tutto”.

Modì dunque pensava che il ritratto, il volto, fosse l’essenza della rappresentazione artistica, almeno fino al 1919 quando realizzò i primi paesaggi.

La morte, che lo coglie l’anno dopo, ci impedisce di sapere quale sarebbe stata l’evoluzione della pittura e del pensiero di Modigliani, resisterebbe ancora il mito o si sarebbe affievolito l’interesse verso il suo concetto artistico?

L’inversione del pensiero c’è stata ma la prematura scomparsa non ci ha permesso di capire se si trattasse di un’intuizione momentanea o se il percorso artistico avesse preso una strada definitiva.

Si sarebbe perso nei meandri dell’evoluzione dell’arte o, come Picasso e Matisse, sarebbe riuscito a dare ulteriore forma e spinta all’arte moderna?

Naturalmente una risposta è impossibile da dare ma penso che una riflessione, se non altro per il piacere personale dell’interpretazione, della valutazione ipotetica e di un approfondimento “filosofico”, debba essere presa in considerazione.


(Nell'immagine: Amedeo Modigliani - Paesaggio del Midi, 1919. Olio su tela, cm. 60 x 45, Collezione privata)

sabato 22 giugno 2019

La memoria, fondamento di una cultura evoluta, Alberto Burri


Autore:   Alberto Burri
(Città di Castello1915 – Nizza, 1995)

Titolo dell’opera: Grande cretto (Cretto di Gibellina) – 1984-89, 2015

Tecnica: Cemento su terreno

Dimensioni: cm 160 x cm 35000 x cm 28000 ca.

Ubicazione attuale:  Gibellina

Opera di Land Art che mette in risalto la storia e l’abbandono di una cittadina, la scomparsa delle radici e l’oblio della propria cultura.


Gibellina Vecchia  (Gibellina Nuova è il nome del centro ricostruito venti chilometri più a valle) era un comune di circa seimila abitanti che venne spazzato via dal terribile terremoto del 1968 che colpì la valle del Belice.

La cittadina si trovò al centro del sisma e la distruzione fu totale, all’inizio si pensò alla ricostruzione in loco ma in seguito si decise di erigere il paese più a valle, vicino all’autostrada allora in costruzione.

L’idea di non abbandonare definitivamente il vecchio luogo venne all’allora sindaco di Gibellina Ludovico Corrao che volle erigere un monumento artistico a memoria di ciò che era Gibellina e ciò che ne resta dopo il sisma.

Tra i molti artisti che accorsero, senza chiedere alcun compenso, la scelta cadde su Alberto Burri che ebbe l’intuizione di erigere su vasta scala un soggetto che aveva già proposto su quadri di differenti dimensioni.

Il cretto in pittura è una screpolatura che si crea sulla superficie causata dalla diminuzione di elasticità dei materiali, un segno del trascorrere del tempo.

Burri vuole cosi coprire, come una lapide, i resti del centro abitato, il cemento viene “scalfito” riproponendo le vecchie vie del paese, infatti chi si reca a Gibellina Vecchia può ripercorrere le antiche strade, la dove c’erano le case ora troviamo degli enormi sudari di cemento che attribuiscono una forte solennità al luogo.

La costruzione dell’opera si è svolta in due periodi, dal 1985 al 1989 ne venne eseguita una parte, dopo una lunga interruzione, durata fino al 2015, si decise di completarla nell’occasione del centenario della nascita dell’artista  umbro.

sabato 15 giugno 2019

L'universo interiore, l'istinto prevale sulla razionalità, Georges Mathieu.


Autore:   Georges Mathieu
(Boulogne-sur-Mer, 1921 – Boulogne Bilancour, 2012 )

Titolo dell’opera: Les capetiens partout - 1954

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 295 cm x 600 cm

Ubicazione attuale:  Centre G. Pompidou, Parigi





“I capetingi ovunque”, il titolo inequivocabilmente racconta la storia della dinastia francese, l’enorme tela mette in scena lo scontro tra il pittore e il pensiero dello stesso.

L’artista francese è noto per l’utilizzo della pittura come veicolo spirituale, lo fa trasformando l’atto di dipingere in performance, infatti realizzava molte delle sue opere davanti ad un piccolo pubblico.
Il tutto si svolge in breve tempo (questa tela e quelle di queste dimensioni richiedevano al massimo una trentina di minuti) in modo platealmente teatrale si lasciava andare ad un frenetico andirivieni davanti alla tela, i materiali, il gesto stesso e la parola si fondono fino a creare un concetto.

Mathieu sosteneva che doveva dipingere il più rapidamente possibile per evitare che la mente potesse influenzare l’istinto, solo in assenza di “contaminazioni” poteva cosi raggiungere la perfezione.

Col passare del tempo le dimensioni delle superfici sono diventate sempre più grandi e di conseguenza il gesto doveva essere sempre più veloce, è passato dunque dai pennelli alle spatole per stendere una quantità maggiore di colore, ha spruzzato quest’ultimo direttamente sulla tela fino a spremerci sopra direttamente i tubetti.

Naturalmente il gesto di spremere i tubetti sul supporto da dipingere non può non riportare a ciò che di li a breve avrebbe fatto Pollock con l’idea rivoluzionaria del dripping.

sabato 8 giugno 2019

Un sogno premonitore, Henri Rousseau (il doganiere)


Autore:   Henri Rousseau (il doganiere)
((Laval, 1844 – Parigi, 1910)

Titolo dell’opera: La Zingara addormentata

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 129 cm x 200 cm

Ubicazione attuale:  The Museum of Modern Art, New York






La tecnica approssimativa (nel disegno) è controbilanciata da una capacità pittorica di rara precisione, nessuno come il Doganiere può esprimere l’ideale del “genio” che va oltre il puro talento.

Henri Rousseau è l’emblema dell’artista in quanto creatore di un concetto futuro.
La “Zingara addormentata”, è un’opera che precorre la pittura dei primi anni del novecento (almeno quattro decenni mostrano l’influenza del pittore francese).

Difficile non immaginare le nature morte di Braque e Picasso osservando il vaso e lo strumento musicale acanto alla donna, il paesaggio non è contestualizzabile geograficamente, il senso di illogica estraniazione ci porta a de Chirico fino agli onirici riflessi del surrealismo.

I dada ed in particolare i collage di Max Ernst trovano in questo dipinto il loro "passato" inconscio.

Il contrasto tra i colori delle vesti della zingara e il “freddo”cromatismo del cielo è solo apparente, la luna che rischiara la scena ammanta inevitabilmente tutto di una primitiva, ingenua, e proprio per questo intima e vera, poesia.

Il leone stesso sembra esserne catturato, passa accanto alla donna, si ferma un attimo per poi ripartire, dove tutto appare immobile in verità tale non è.

Un’idea poetica personale che viene espressa da una visione lucida e sognante che influenzerà più di una generazione di artisti e che riesce ad esprimere una personale e suggestiva idea poetica.

sabato 1 giugno 2019

Due fra tanti, in una giornata come tante ma ... Pieter Bruegel (il vecchio)


Autore:   Pieter Bruegel (il vecchio)
(Breda1525/1530 circa – Bruxelles5 settembre 1569)


Titolo dell’opera: Il censimento di Betlemme - 1566

Tecnica: Olio su tavola

Dimensioni: 116 cm x 165,5 cm

Ubicazione attuale:  Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles






Il soggetto religioso tratto dal Vangelo di Luca inserito in un comune contesto fiammingo dell’epoca.

La Betlemme descritta da Bruegel si presenta nelle vesti di un villaggio delle Fiandre in un tardo pomeriggio invernale.

La gente è impegnata nelle consuete attività quotidiane, la vita scorre regolare come succede tutti i giorni.

Infiniti i particolari che il pittore di Breda inserisce nella scena, a sinistra  una folla si accalca per iscriversi al censimento e per pagare le decime, poco distante due uomini sono impegnati nella macellazione di altrettanti maiali.

Li vicino altre due persone impagliano uno sgabello accanto ad un gallo e due galline che beccano accanto ad un carro.

Alzando lo sguardo notiamo il paesaggio che si perde in lontananza, la coltre di neve mete in risalto gente che si diverte, altri avanzano lenti sotto il peso delle proprie merci, alcuni lo fanno attraversando il piccolo lago ghiacciato.

Il villaggio si divide sulle due sponde dello specchio d’acqua, da questa parte del lago le case si spingono a destra fino ad un castello circondato a sua volta dall’acqua, sull’altra riva si notano altre abitazioni ed una chiesa il cui campanile si confonde con le basse nuvole all’orizzonte.


Seminascosto dal grande albero il sole rosso ed intenso si appresta a tramontare, sono gli ultimi frenetici istanti prima del crepuscolo.

I numerosi spunti offerti da quest’opera distraggono l’osservatore dalla scena che dovrebbe essere al centro del quadro, l’arrivo a Betlemme di Giuseppe e Maria.
Eccoli infatti al centro in basso che si avvicinano al luogo del censimento, una donna seduta sul dorso di un asino ed un uomo che conduce la piccola comitiva avanzano faticosamente in mezzo alla neve.

L’uomo porta sulle spalle una sega e alla cintura un succhiello, strumenti utilizzati in falegnameria, simboli inequivocabili delle generalità dell’uomo e di conseguenza della coppia.

Bruegel magistralmente trasforma la scena privandola  di una precisa gerarchia, i personaggi che dovrebbero essere al centro dell’attenzione si confondono con il resto della popolazione, Giuseppe e Maria vengono dunque raffigurati come realmente si presentarono ai loro tempi, due comuni figure immerse nel quotidiano andirivieni dell’umanità.