venerdì 30 dicembre 2022

La fotografia rivelatrice dell'umanità "periferica"

"Quel granello di polvere perso nel buio dello spazio è la migliore dimostrazione di quanto sia folle la vanità umana".


Con queste parole Carl Sagan, astronomo e scrittore, ha riassunto il concetto legato a questa incredibile fotografia.

L’immagine è stata scattata dalla sonda Voyager 1 il 14 febbraio del 1990, la sonda aveva superato da poco l’orbita di nettuno e si apprestava a lasciare il sistema solare (non prima di aver attraversato la fascia di Kuyper) questa immagine fa parte di una serie di scatti che ha immortalato i pianeti del sistema solare, siamo a circa sei miliardi di chilometri dalla terra.

Se cerchiamo in questa foto la bellezza del cosmo che ci hanno regalato le varie sonde e i molteplici telescopi (su tutti Hubble, il telescopio orbitante che ha svelato molte delle meraviglie “cosmiche” che conosciamo) sicuramente ne saremo delusi, quest’immagine capovolge il nostro punto di vista, quel piccolissimo oggetto che vediamo nello spazio stavolta … siamo noi.

Davanti a questa immagine pensare che ci siano altre forme di vita come la nostra nell’universo è una palese dimostrazione di arroganza, di presunzione, significa credere di essere al centro di un progetto che probabilmente tale non è.

Basterebbe questa fotografia (e altre fotografie simili, per tutte ricordiamo la Terra vista dalla sonda Cassini dall’orbita di Saturno, foto in basso) per smontare qualsiasi ipotesi dell’uomo al centro dell’universo (non materialmente ma come idea dominante) ma sembra che l’ego umano non arretri di un millimetro nemmeno davanti all’evidenza (terrapiattisti e creazionisti a parte).

Possiamo annoverare questo scatto nell’ambito dell’astronomia, della filosofia, dell’arte o di tutte e tre le cose?

La fotografia, in quanto forma d’arte, rappresenta un punto dell’universo (astronomia) ma spinge ad un pensiero sempre più profondo (filosofia) il soggetto è “rappresentativo” di una situazione di fatto, ma è innegabile che il concetto trasporta con sé l’essenza poetica di qualcosa di più grande, l’idea che dobbiamo rimodulare i nostri canoni è l’atto conclusivo di un messaggio che viene dallo spazio profondo e al contempo dal profondo di ognuno di noi.

Se un’immagine è in grado di spingere a delle riflessioni (il peso delle stesse è irrilevante) allora lo possiamo dire con certezza: questa fotografia è un’autentica opera d’arte.



domenica 25 dicembre 2022

Ci siamo dimenticati qualcuno? (la risposta è, ovviamente, si)

 

Angelo Morbelli - Il Natale dei rimasti, 1903 - Olio su tela cm 62 x 110,5 -
Galleria internazionale d'Arte Moderna, Venezia

La sala ricreativa del Pio Albergo Tribulzio a Milano si presenta in tutta la sua angoscia, le persone che l’affollano durante il resto dell’anno se ne sono, momentaneamente, andate, la fuga dall’emarginazione, anche per poche ore, non ha coinvolto tutti, qualcuno è rimasto, nemmeno un effimero lasso di tempo  gli è concesso.

Il salone, freddo, spoglio, asettico, fastidiosamente ordinato, non lascia spazio all’immaginazione, tutto scorre inesorabilmente, non importa se si tratti o meno di un giorno di festa, non importa se è colmo di gente o se le presenze siano estremamente rarefatte, ciò che si respira è l’eternità, un continuo palesarsi della monotonia infinita della solitudine. 


martedì 20 dicembre 2022

La geniale visione di Bruce Nauman

Siamo nel 1968, sono gli anni del boom economico ma anche quelli della contestazione giovanile, della guerra fredda e della corsa allo spazio.

Bruce Nauman - Il mio nome come se fosse scritto sulla superficie della luna, 1968

Nauman mischia tutto e lo presenta con quest’opera, "Il mio nome come se fosse scritto sulla superficie della luna" del  1968, che racconta il fiorire delle insegne al neon (cosa iniziata anni prima nel pieno della rivoluzione pop) ma soprattutto anticipa quello che accadrà a breve, il contatto dell’uomo con il nostro satellite naturale.

In quell’anno infatti (esattamente il 30 dicembre) viene pubblicata la celebre fotografia che mostra la terra che sorge dall’orizzonte lunare, l’anno seguente assisteremo all’epocale allunaggio, Bruce Nauman anticipa tutti scrivendo il proprio nome sulla Luna.

La gravità lunare, decisamente inferiore a quella terrestre (circa sei volte) permette un movimento più lento, leggero, dilatato nel tempo, ecco che “bruce”, bome lo leggeremmo sul nostro pianeta, diventa “bbbbbbrrrrrruuuuuucccccceeeeee”, ogni lettera si ripete per sei volte, il tempo per pronunciarlo è moltiplicato per lo stesso numero di volte, la sensazione di essere sulla Luna diviene palpabile.

In un certo senso potremmo considerarlo un elogio alla lentezza, una spinta a considerare la frenesia qualcosa da cui staccarsi, una condizione che col trascorrere degli anni si è alquanto acuita.

La luce artificiale ha contribuito ad un rovesciamento delle tempistiche naturali portando l’umanità ad annullare  la sequenza notte-giorno (in ambito lavorativo ma non solo) ci rendiamo conto che quella “lentezza” tanto agognata si va via via esaurendo ma non sembriamo in grado di invertire la rotta.

Nauman non cerca di cambiare le nostre abitudini, semmai in quegli anni fa esattamente i contrario, ma ci lascia con il dubbio che la rivoluzione dei consumi non sia esattamente l’ideale assoluto.

giovedì 15 dicembre 2022

L'uomo è l'animale più domestico e più stupido che c'è ...

1980, Franco Battiato pubblica l’album Patriots, il disco segue il capolavoro dell’anno prima L’era del cinghiale bianco e anticipa di dodici mesi l’opera che lo farà conoscere al grande pubblico: La voce del padrone.

Franco Battiato - Cancello, olio su tavola cm 46 x 39


Oltre a Up partiots to arms, che da parzialmente il nome all’album, e alla geniale Prospettiva Nevski, troviamo un altro brano che, con un mix di versi enigmatici e aforismi dall’interpretazione palese traccia un profilo della cultura occidentale che si apprestava ad entrare negli anni ottanta, una previsione lucida e dettagliata di quello che, con il senno di poi, possiamo indicare come l’inizio della decadenza.

Il ritornello in arabo fa da colonna portante di un disegno che non sembra avere seguito: “Disse il maestro del villaggio: Ho scalato la montagna, la pace sia con voi e con te, adesso io vivo” (questa è l’approssimativa traduzione) le altre strofe indicano una nostalgica visione apparentemente legata al passato ma che si limita a sottolineare le storture di un percorso mal delineato.

Le tre strofe sono geniali, la prima è un’evidente accusa al sistema mediatico (siamo nel 1980 e dopo più di quarant’anni siamo nella stessa situazione, con più realismo possiamo dire che siamo messi peggio) l’illusione giovanile di vivere in un mondo libero diviene disillusione con il trascorrere degli anni.

La seconda frase è più enigmatica, inizia con la descrizione di un innocente gioco infantile e si conclude con un maestoso La mia parte assente si identificava con l'umidità.

L’identificazione con un problema irrisorio ci distoglie dalle vere problematiche, la tendenza a concentrarci su ciò che è effimero ci permette di evitare l’impegno di approfondire il vero senso della nostra esistenza.

La terza strofa inizia con una frase apparentemente scollegata dal contesto, stessa cosa è quella successiva, sono però le parole conclusive a mettere tutto a posto: “L'uomo è l'animale più domestico e più stupido che c'è”.

Questo ultimo verso non ha bisogno di alcun commento, semmai è necessaria una profonda riflessione …



Arabian Song (testo)


كان الجبل في جبل
السلام عليكم، عليكي
الآن أنا أسكن...

La mia classe fu allevata con il latte di una capra e del pane di frumento
A quei tempi per divertimento non avevano inventato il telegiornale
Quando ero più giovane credevo che esistesse libertà

قال معلم القريةِ
كان الجبل في جبل
السلام عليكم، عليكي
الآن أنا أسكن...

Da bambini si giocava sulle spiagge con degli aquiloni a gara sotto il sole
Mentre guardavamo il mio salire verso l'alto preoccupati che non si sciupasse
La mia parte assente si identificava con l'umidità

قال معلم القريةِ
كان الجبل في جبل
السلام عليكم، عليكي
الآن أنا أسكن...

Gli orchestrali sono uguali in tutto il mondo, simili ai segnali orario delle radio
Le domeniche e nei giorni di vacanza ci si organizzava per le feste in casa
L'uomo è l'animale più domestico e più stupido che c'è

قال معلم القريةِ
كان الجبل في جبل
السلام عليكم، عليكي
الآن أنا أسكن...

 

sabato 10 dicembre 2022

Il giusto valore dell'arte museale, la ricerca di un equilibrio sostenibile.

Lo spunto ci viene offerto dalla protesta degli studenti dei collettivi universitari a Bologna, l’altro giorno hanno cercato di occupare Palazzo Albergati, sede della mostra dedicata, tra gli altri, ad opere di Banksy, Jago e TVBoy, forti dello slogan “per vedere Banksy e TVBoy 3 euro devono bastare” il corteo ha denunciato il prezzo troppo elevato della mostra (14 euro).



Non voglio entrare nel merito della mostra stessa, qualcuno potrebbe ritenere eccessivi anche i 3 euro per questi artisti, altri sostenere che il prezzo d’ingresso è addirittura troppo basso, questione di gusti.

La domanda è un’altra, qual è il giusto prezzo per l’arte? Si sente spesso dire che la cultura dovrebbe essere gratuita ma questo è possibile? (va comunque sottolineato che oggi abbiamo accesso a moltissime fonti culturali, in molti casi l'unico prezzo richiesto è l'impegno nel saperle riconoscere e saperle valutare).

Partiamo dalla considerazione che tutti vorremmo tutto gratuitamente, contemporaneamente però vogliamo che ogni nostro sforzo sia giustamente remunerato, insomma il solito: “solo diritti, nessun dovere”.

I musei, le mostre permanenti e quelle temporanee, hanno un costo, in Italia i fondi scarseggiano (perlomeno sono altre le strade che prendono) sono pochissime le fondazioni che permettono la sopravvivenza di qualsiasi spazio espositivo, piccolo o grande, tutto si regge sul biglietto d’ingresso.

Non ho idea di quale sia il prezzo “giusto”, è una questione di priorità, quelli che vogliono l’ingresso a tre euro sono gli stessi che non fanno una piega quando devono sborsarne cento per un concerto.

Spendere 15 euro per una mostra a Palazzo Reale è davvero uno sproposito se poi si spende la stessa cifra per andare a vedere un film?

Certo per entrare agli Uffizi di euro ne servono 20 ma per assistere ad una partita di calcio allo stadio, tra l'altro nei posti più scomodi, ne servono almeno 40.

La cultura dovrebbe essere a portata di mano, dovrebbe essere più disponibile ma la gestione della stessa necessita di fondi.

La protesta di Bologna avrebbe un altro senso se fosse incentrata sulla richiesta di ulteriori finanziamenti per la promozione, per lo sviluppo e per il sostentamento dell’arte nel suo insieme, pretendere di entrare praticamente gratis solo dove ci interessa annulla ogni valenza sociale e culturale.

Tutto questo non mette in ombra il vero ostacolo che sta alla base del problema "prezzi dei musei", mi riferisco ai governi nazionali, delle amministrazioni locali (dalle regioni a i comuni passando dalle inutili province) incompetenza, malafede, disonestà (di ogni tipo) hanno portato ai risultati che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

Un altro dettaglio interessante me lo ha offerto Angela Vettese che, in un'intervista, evidenziava la differenza di comportamento tra i ricchi anglosassoni e quelli nostrani, secondo la storica dell'arte i milionari inglesi e americani riconoscono di essere particolarmente "fortunati" (come poi sia giunta la suddetta fortuna è un altro discorso) e cercano di pulirsi la coscienza dando vita a fondazioni  benefiche, molte delle quali incentrate sulla promozione e il mantenimento dell'arte.

In Italia questo non avviene, nonostante il percorso di arricchimento dei nostri "ricconi" sia altrettanto nebuloso la differenza è che all'italiano non interessa minimamente di ridare una piccola parte degli immensi profitti ai concittadini, la coscienza italica non necessita di pulizia, d'altro canto è difficile lavare qualcosa che non c'è.




lunedì 5 dicembre 2022

Il profilo della storia e la sua evoluzione, Renato Bertelli

Renato Giuseppe Bertelli, Profilo continuo, 1933, bronzo, 42 x 25 cm.

Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART)


Opera discussa e che tutt’ora è al centro di molte, a mio avviso futili, polemiche.

Un cilindro di bronzo modellato alternando rilievi e incisioni, il risultato è che da qualsiasi punto lo si osservi avremo la stessa percezione, un profilo che, seppur non menzionato, porta inevitabilmente al ritratto di Benito Mussolini.

1933, l’anno in cui Bertelli realizza l’opera, è in pieno periodo fascista, la scultura raffigura il Duce ma non impedisce un’interpretazione più ampia di quella che il regime concede, possiamo leggerla seguendo le indicazioni del tempo o andare oltre e ribaltarne i concetti.

Le autorità di quel periodo non lasciavano spazio all’interpretazione, il profilo di Mussolini rappresentava la visione continua, l’attenzione ad ogni latitudine, del Duce verso il suo popolo.

Benito Mussolini, che può essere giudicato per ciò che ha fatto, non può però essere considerato uno stupido, da persona colta qual era ha compreso l’importanza dell’arte nel controllo delle masse e ha immediatamente adottato la scultura di Bertelli facendone un simbolo del regime.

Da allora ne sono state fatte innumerevoli copie, duplicati di qualsiasi forma e materiale, molte create dall’originale, si tratta di multipli riconosciuti ufficialmente, molte altre sono copie artigianali considerate dei falsi, che se non hanno valore collezionistico non perdono quello di semplice souvenir (in quest’ultimo caso apprezzato dai numerosi nostalgici).

Dal 1943 è partita una, allora comprensibile, caccia a tutto ciò che ricordava quel ventennio, molte delle copie sono state distrutte, fortunatamente l’originale e molti altri duplicati sono giunti fino a noi.

A novant’anni dalla realizzazione dell’opera abbiamo il dovere di prenderla in considerazione come oggetto d’arte mettendo da parte ciò che rappresentava o che qualcuno voleva rappresentasse.

Da qui dobbiamo partire per cercare di comprendere questo lavoro, la rappresentazione dei principi della dinamica futurista cara a Boccioni fa della scultura la base del secondo Futurismo, un’ideale proseguimento del movimento nato ventisei anni prima.

Ma c’è un particolare che non possiamo ignorare, Profilo continuo è la riproposizione del celebre Giano bifronte, divinità che vedeva e soprattutto controllava tutto e tutti, quel “controllava” ribalta la visione pro Duce che più o meno forzatamente si era imposta, da un benevolo “padre” che vigilava sui propri figli si trasforma in un “capo” che controlla i propri subalterni, concetto molto più vicino a quella figura dittatoriale di cui abbiamo tristemente memoria.

Se l’opera fosse stata realizzata nell’immediato dopoguerra sarebbe potuta diventare il simbolo di un movimento opposto a quello che ne ha fatto un manifesto, la lettura dunque non è univoca, il periodo storico e la propaganda hanno tracciato una strada, non è detto che sia quella giusta.

Naturalmente  l’aspetto puramente artistico è fondamentale anche se ciò che rappresenta ha preso il sopravvento, a dimostrazione che l’arte va oltre il limite di un pensiero ancorato ad un determinato conteso (contesto che non va dimenticato ma che non può essere l’unico riferimento).

L’intuizione di Bertelli è geniale, con dei solchi e dei rilievi a dato vita ad un’opera iconica e immortale, iconica per ciò che ha rappresentato, immortale per le infinite possibilità interpretative.

Ultimo ma non per questo meno importante il legame del futurismo con il cubismo, Bertelli “vede” la scena da più punti di vista ma lo fa smussando gli “angoli”, creando un cerchio continuo, l’eterno ritorno, il ciclico ripresentarsi della storia, forse il punto di vista più angosciante dell'opera.