sabato 29 maggio 2021

L'obbiettività dello sguardo, il punto di vista culturale

In un’intervista la fotografa Lady Tarin, tra le altre cose, ha messo sul piatto una teoria che ho trovato particolarmente interessante, riguarda la differenza degli “occhi” maschili e femminili riguardo alla rappresentazione dei due generi.

Lady Tarin è da anni una delle fotografe più affermate del panorama mondiale, nota per i suoi nudi femminili che vanno nella direzione opposta rispetto alla concezione di “nudo” in fotografia.

L’artista di origini romagnole si è soffermata su un punto fondamentale, secondo lei, i fotografi sanno “raccontare” meglio il proprio “genere” in quanto ne sono coinvolti appieno.

Cogliere l’essenza di un nudo femminile è basilare, al contrario si rischia di trasformare il soggetto in oggetto, la visione femminile di chi sta dietro la macchina fotografica è infinitamente più affine al soggetto stesso, al contrario, davanti allo stesso soggetto il fotografo maschio racconterà una “visione” personale che non può, se non minimamente, coincidere con quella della “modella”.

La stessa Tarin infatti racconta quanto sia importante la visione maschile in un ritratto maschile, un nudo maschile è rappresentato con più profondità da un fotografo dello stesso sesso, una donna, per brava che sia non sarà mai in grado di entrare in sintonia con l’anima del modello.

Naturalmente sono sfumature che possono essere confutate in ogni momento, si può essere o meno d’accordo o anche solo esserlo parzialmente ma ciò che veramente conta è lo spunto di riflessione.

A fare la differenza può essere la percezione di chi osserva, maschio o femmina, coinvolti emotivamente o dallo sguardo più “freddo”, dove lo stato d’animo prende il sopravvento o, al contrario, il tutto viene visto con distacco per una “forma” culturale che innegabilmente a tutt’oggi vede il “nudo” con sospetto.

sabato 22 maggio 2021

Il mio pensiero

E’ passato qualche giorno dalla scomparsa di Franco Battiato, le manifestazioni d’affetto dei moltissimi affezionati non sono mancate, cosi come non sono mancati (peraltro concentrati nell’arco temporale di ventiquattro ore) i “ricordi” dei media, tra servizi raffazzonati dove si è buttato nel “pentolone” un po’ di tutto senza alcun filo logico e le solite banalità legate ai brani più celebri.

Senza trascurare l’appellativo di “Maestro” apparso un po’ ovunque, termine usato e abusato tanto da perdere il vero significato, oggi chiunque può ergersi a maestro, per essere riconosciuto tale basta essere famoso o ricco, qualche servo che ti venera lo trovi sicuramente.

Non sono certo un esperto “battiatologo” ma ho, da moltissimi anni, iniziato una ricerca nella profondità spirituale e filosofica del pensiero dell’artista catanese.

Partendo dal lontano 1979 quando Battiato auspicava il ritorno de “l’era del cinghiale bianco” ho proseguito quella strada facendo tesoro di un altro pensiero fondamentale “il mio maestro mi insegno quant’è difficile trovare l’alba dentro all’imbrunire”.

Le due “indicazioni” sopracitate sono il fine ultimo e il codice decriptato per raggiungerlo.

I testi e le musiche di Battiato (coadiuvato da grandi poeti , filosofi e musicisti, su tutti Pio e Sgalambro) sono la mappa che conduce al tesoro, Battiato non ci diceva dove potevamo trovarlo, ci faceva partecipi della sua ricerca.

Con il grimaldello contenuto in “Prospettiva Nevski” ho cercato di percorrere un sentiero di cui non conoscevo, e non conosco, la meta ma che mi ha aperto la mente verso “cose” che non conoscevo.

Ora che Franco non c’è più, fisicamente, la mappa delle sue opere è completa (o incompiuta, in ogni caso non avrà altre indicazioni) non ci resta che riavvolgere il nastro e iniziare il suo percorso musicale e non solo e farlo nostro, questo ci obbligherà ad ascoltare molti suoi brani con “orecchio” diverso, ci renderemo conto che la musicalità di certe melodie, la poetica di certi testi, hanno nascosto il vero obbiettivo.

Se approcciamo due brani che, dal mio punto di vista, non sono stati il punto più alto ma hanno “colpito” il cuore e l’immaginazione di moltissima gente, mi riferisco a “Centro di gravità permanente” vero spartiacque nella carriera di Battiato che da allora è diventato la celebrità che oggi ricordiamo, e “La cura” che ha fatto innamorare tutti i suoi estimatori e anche chi lo conosceva in modo marginale, ma che temo sia stata, più o meno inconsciamente, travisata.

L’universo musicale, poetico, filosofico e spirituale ingloba moltissimi brani, alcuni più “accessibili” (in considerazione del mero aspetto legato alla melodia) altri più ostici, o perlomeno complessi, potremmo enunciarne diversi, ognuno di noi ha la propria lista, ma rischieremmo di dimenticarne qualcuno, ognuno di essi un viaggio verso l’ignoto, una “visione” altra della vita.

Ad esclusione di tutti quelli che lo conoscevano personalmente, non penso sia corretto dire che ci mancherà, perché non se ne è andato, i grandi artisti sono immortali in quanto hanno reso immortale il loro messaggio, se poi questo messaggio è solo un punto di partenza allora Battiato continuerà ad accompagnarci nella ricerca di noi stessi.

(nell’immagine il ritratto di Battiato ad opera di Sandra Bartoloni)

Le stagioni della vita

Questi quattro dipinti su muro, trasportati su tela, sono tra le prime opere di un poco più che ventenne Paul Cezanne.

Non sono pochi i libri che le ignorano, possiamo trovarle all’interno di qualche catalogo ma sembra che l’interesse degli storici “parta” da dipinti successivi.

Realizzate tra il 1859 e il 1862 (le fonti sono in disaccordo) le “Quattro stagioni” hanno la stessa altezza (314 cm.) e una larghezza variabile (97 cm. per la Primavera, 109 per l’Estate, 104 per Autunno e Inverno) e sono custodite a Parigi nelle sale del Musée du Petit Palais.


Cezanne  in questi lavori sembra irriconoscibile, anti accademico per eccellenza e precorritore della modernità artistica, il suo sembra un viaggio a ritroso nel tempo ma di difficile collocazione, naturalmente l’insegnamento “accademico” alla scuola di disegno non può che dare vita a questo percorso ma probabilmente qualcosa si stava già muovendo, infatti i dipinti sono firmati “Ingress” e datati 1811, uno scherzo, come verrà poi definito, non sappiamo quale sia stato l’apprezzamento di allora per Ingres ma sappiamo che col tempo la stima, se c’era stata si era affievolita parecchio.

Cezanne racconta con questi quattro dipinti lo scorrere delle stagioni ma è evidente fin dal primo sguardo che si tratta della rappresentazione del corso della vita, in particolare quella femminile, anche se a raffigurare la Primavera non c’è una bambina ma una giovane donna.

Non vi troviamo la nascita e la morte ma la giovinezza e la vecchiaia, un ciclo ridotto che vuole rappresentare un limitato ma fondamentale “tempo” femminile che si fonde con il concetto di “natura”.

Al di là dei simboli canonici delle stagioni (i fiori in primavera, estate e autunno con i frutti tipici e l’inverno con il freddo) sono le donne le assolute protagoniste della serie.

La cosa che colpisce di più non è tanto l’età che avanza ma la “figura” della donna, infatti l’estate è rappresentata con un fisico più florido, la donna simbolo della fertilità, l’accostamento alla dea Era è tutt’altro che remoto.

Una Primavera giovane e spensierata, un’estate florida e “immensa” nel suo donarsi al mondo, l’autunno della saggezza e l’inverno che conduce al’epilogo, in tutte le fasi si nota un’assoluta serenità, l’umanità, la natura stessa (madre natura qui è rappresentata da un punto di vista “raggiungibile” da chi osservava le opere a metà ottocento) si accinge a chiudere un cerchio sapendo che ne avrebbe aperto immediatamente un altro.

sabato 15 maggio 2021

Libertà d'interpretazione tra il "sacro" e ...

Autore:   Michel Basquiat

(New York, 1960 – New York, 1988)

Titolo dell’opera: Profit I, 1982 

Tecnica: Acrilico e colore a spruzzo su tela 

Dimensioni: 220 cm x 400 cm 

Ubicazione attuale:  Collezione privata



La figura che domina la scena occupa la metà destra del dipinto ma fondamentalmente si prende tutto il quadro, l’entità si mostra nel pieno della sua forza, si erge su tutto nella sua maestosità e trasmette un potente senso di rabbia, una furiosa esplosione di “grandezza”, di superiorità.

Ma alcuni dettagli ci indicano la strada da percorrere, il vestito rosso, l’aureola e il fatto che quest’ultima si presenti come una corona di spine ci indirizza verso una lettura “mistica”, il sacro ma soprattutto il sacrificio.

Il sacrificio del popolo afroamericano che subisce la prepotenza dei bianchi d’America, questione primaria nel pensiero artistico e sociale di Basquiat.

La presenza imponente è circondata da innumerevoli segni, numeri, lettere, date, quadranti di orologi e forme più o meno distinte, calcoli ed equazioni che possono riportarci alle origini dove dal caos nasce l’universo o, al contrario, l’universo esanime che si accinge a tornare al caos primordiale.

Il dipinto è stato realizzato durante un suo soggiorno in Italia, esattamente a Modena, e non possiamo escludere che la pittura italiana, in particolare quella rinascimentale, abbia influito anche solo minimamente, alla concezione del dipinto, è sempre difficile entrare in profondità nelle opere di Basquiat, la sua breve parabola artistica, l’effimera durata della vita stessa e le contraddizioni del pensiero fanno del “graffitista” newyorkese un grande enigma.


sabato 8 maggio 2021

Il cerchio si chiude

Possiamo, senza tema di smentita, considerare la Cappella Sistina la più grande rappresentazione delle sacre scritture, la Bibbia “in immagini”, il percorso spirituale e materiale dalla creazione degli antenati fino al giudizio finale.

Ma la “Cappella Magna” è anche il simbolo del potere religioso della Chiesa, questo punto cruciale trova la naturale e strategica collocazione negli affreschi che ne fanno un caposaldo dell’arte mondiale.

Entrando nella cappella il primo sguardo cade, a dimostrazione che nulla è casuale, sul dipinto di Pietro Perugino “La consegna delle chiavi” che riportano ad un passo del Vangelo di Matteo “… ed io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che avrai legato in terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli”.

L’inizio del papato, la genesi della Chiesa.

Mentre su quel lato si susseguono le storie di Cristo, sul lato opposto troviamo, non senza un legame con le prime, le storie di Mosè (di cui avevo parlato in un’altra occasione) in seguito, con l’arrivo di Michelangelo, prende vita la volta della cappella stessa con i fatti salienti del vecchio testamento, gli eventi che hanno richiesto l‘intervento di Dio, e la raffigurazione delle generazioni che hanno preceduto la nascita di Gesù.

L’opera di Perugino, datata 1481-82, realizzata contemporaneamente agli altri affreschi laterali, deve attendere il 1508-12 per trovare il compimento artistico con la volta, a quel punto l’intera cappella è affrescata.

Ma il completamento delle scritture necessita di un ultimo passo, nel 1535 viene richiamato Michelangelo, sulla parete di fronte all’ingresso della cappella, dietro l’altare maggiore viene realizzata l’opera forse più “rivoluzionaria” , il Giudizio Universale (che verrà ultimato nel 1541).


Anche di questo grande affresco ho già parlato parzialmente, ma l’opera ci regale infiniti particolari, e uno di questi è il naturale completamento dell’opera citata all’inizio, mentre Perugino racconta la consegna delle chiavi del Regno di Dio a Pietro, Michelangelo nel Giudizio finale, tra le altre infinite rappresentazioni, ci mostra Pietro, alla sinistra di Gesù (alla destra di chi osserva) che riconsegna le stesse chiavi, il compito di Pietro è concluso, il cerchio si chiude, tutto ciò che era necessario fare è stato fatto, le chiavi del “Paradiso” tornano nelle mani del proprietario.

Il confronto tra i due dipinti mostra da una parte l’evoluzione tecnica e concettuale dell’arte in quel lasso di tempo, ma da l’impressione che siano passati secoli, questo rende più reale il racconto biblico.

Ma il confronto cade inevitabilmente sui due protagonisti, Cristo e Pietro, nel primo dipinto l’atmosfera è permeata di una tranquillo e sereno stato d’animo, Gesù, raffigurato in modo canonico, consegna le chiavi a Pietro che le riceve con umile devozione, è l’inizio di un complicato cammino.

Nel particolare del Giudizio Universale, la quiete e la tranquillità sembrano scomparse, la scena si svolge all’interno di un vorticoso movimento dove tutto corre verso un ineluttabile finale, Pietro, stanco, torvo, invecchiato, si rivolge a Gesù per la riconsegna del simbolo della Chiesa Cattolica, Gesù però sembra impegnato altrove, raffigurato come un giovane atletico e nel pieno delle forze (il contrasto con Pietro è evidente) chiama tutti alle proprie responsabilità, forse Michelangelo, come nessuno fino ad allora, ci dice che anche la Chiesa stessa  deve rispondere del suo operato.

L’inizio e la fine, un cerchio che oggi, a distanza di 500 anni non si è ancora chiuso o forse si è chiuso senza che noi ce ne siamo accorti.

Al di là del significato artistico, storico, culturale e religioso, va sottolineata la trasformazione dell’idea artistica tra le due opere, pur mantenendo un concetto coerente in quei cinquant’anni tutto appare stravolto.

sabato 1 maggio 2021

Il salto nel buio, quando emergono le interpretazioni

Mi sforzo di comprendere l’incomprensibile, se non riesco (cosa che accade regolarmente) penso sia meglio approfondire, cercare qualcosa di diverso che mi permetta di comprendere, che mi porti ad esclamare: ho capito.

Quando penso di aver "afferrato" il concetto di base sono giunto al punto in cui fondamentalmente non ho capito alcunché.

Quest’opera, vista “online” senza alcuna descrizione, senza titolo, può essere l’esempio di come un’opera si presenta senza "credenziali", senza la pur minima informazione.

Se aggiungiamo che non si tratta di una riproduzione di un dipinto ma di una scultura (o installazione, l'assenza di qualsiasi ragguaglio lascia aperta ogni porta interpretativa) tutto si complica, prende corpo l’impossibilità di “contatto”.

L’autrice è Marisa Scicchitano, pittrice calabrese, tutto quello che so di lei è questo, servirebbero altri dati per avvicinarsi a questo lavoro senza i quali ogni tentativo di “lettura” è inevitabilmente arbitrario.

Una sedia sospesa in bilico su tre piani non allineati, sopra la sedia troviamo delle strisce (di stoffa, di carta, non lo sappiamo) cosa rappresentano? Perché la sedia è in bilico e i piani sono tre?

La sedia appoggia perfettamente sul piano sottostante, c’è dunque la solidità, la stabilità necessaria perché non si rovesci, ma i piani sottostanti ribaltano il concetto, la stabilità sopracitata scompare, la sedia, o per meglio dire, il ripiano che sorregge la sedia, è ancorato al pannello attiguo in un solo punto, il pannello stesso è in precario equilibrio rispetto al piano che lo divide dal pavimento, tutto è bloccato in un istante, non sappiamo se, superato l’attimo, la sedia cade con ciò che vi è posto sopra o se resiste alla gravità.

Stiamo guardando una fotografia che rappresenta una scultura che rappresenta … Stiamo (o forse è meglio dire sto) delirando in quanto senza alcuna informazione è come buttarsi nel vuoto con la pretesa di sapere durante la caduta cosa ci sia in profondità, lo potremmo scoprire una volta toccato il fondo ma se il salto nel vuoto fosse senza fine?

Normalmente quando scrivo di un’opera lo faccio dopo accurate ricerche, dopo aver studiato l’opera stessa e chi l’ha realizzata, cerco di documentarmi per poter esprimere un mio punto di vista che non sia campato in aria, quando ho visto quest’opera ho voluto cimentarmi in un approfondimento senza alcuna base di partenza, volevo solo capire che effetto faceva il fatto di non capirci nulla.

Trovo questa scultura favolosa ma non so spiegarne il motivo, per questo ho deciso di “parlarne”, la complessità del manufatto e l’assenza di indicazioni hanno liberato il mio approccio ad essa da qualsiasi forma di condizionamento.

Ho quasi la sensazione di comprenderne il senso ma al contempo guardo il “tutto” dall’alto, da una distanza siderale e l'unica cosa che mi è chiara è che c’è ancora molta strada da fare.