giovedì 29 febbraio 2024

4 personaggi in cerca d'autore.

La tela animata (Le Tableau, il titolo originale) è un raffinato piccolo gioiello d’animazione del 2011 scritto e diretto dall’animatore e regista francese Jean-François Languione.

Produzione franco-belga che conferma la qualità dell’animazione europea che spesso predilige le storie agli effetti speciali.

All’interno di un quadro tre distinte categorie di personaggi condividono un castello, i giardini ed una foresta maledetta dove nessuno osa entrare a causa delle terribili piante carnivore.

I completi, gli incompleti e gli schizzi, i primi prendono possesso del castello e discriminano i secondi impedendo loro di avvicinarsi, gli schizzi sono denigrati da tutti, per i privilegiati “completi” non sono altro che strumenti da utilizzare per lavori forzati, gente senza alcuna dignità.

Il pittore che ha realizzato il dipinto lo ha lasciato incompiuto, alcuni personaggi sono stati completati, altri non finiti, altri ancora sono solo abbozzati.

La storia d’amore tra un “completo” e una “incompleta” non è accettata da nessuna delle due fazioni, per sistemare la difficile situazione ed impedire la tirannia del crudele “Candeliere”, a capo dei completi, un gruppo di persone, una per ogni “casta”, partono alla ricerca del pittore con l’intento di convincerlo a finire la sua opera.

Inizia cosi un’avventura che si snoda tra vari dipinti, il terzetto, a cui si aggiungerà un quarto protagonista, passa da una tela all’altra, uscendo dalle cornici ed entrando in altre.


La meravigliosa “pellicola” ci accompagna tra molteplici riferimenti artistici, palese la presenza di Picasso, Cezanne, Matisse, Mirò, Modigliani, Chagall, Manet, un vortice di colori e poesia che ci avvolge per i 79 minuti della durata.

Il tema del razzismo, della discriminazione, è centrale, un tutt’altro che velato accenno alla stupidità umana che nel suo essere egoista e oppressiva mostra le sue eccezioni che navigano controcorrente.

Il finale dallo spessore filosofico è la classica ciliegina su una torta riuscita benissimo.

Il film è passato quasi inosservato, il budget, limitato, è utilizzato per il film a scapito della promozione (il contrario di ciò che avviene oltreoceano) un peccato perché sicuramente meritava, e merita tutt'ora, uno spazio maggiore.





domenica 25 febbraio 2024

Il passato nel futuro, il presente di Salvador Dalí

Il titolo riassume perfettamente l’essenza dell’opera, ispirato al celebre Angelus di Jean- Francois Millet (di cui ho parlato qui in un post di qualche tempo fa) il dipinto di Dalí ne fa una narrazione antica, un ricordo perso nei meandri del tempo ma che rivive in una costruzione che resiste nonostante tutto.


Salvador Dalí  - Reminiscenze archeologiche dell'Angelus di Millet, 1934 - Olio su tavola
31 x 39 cm. "Museo Salvador Dalí", St. Petersburg (Florida)


Quattro minuscole figure, due al centro in basso, altrettante a destra, sembrano visitare un sito archeologico dove vi è riposto un concetto caro al pittore spagnolo ed estraneo all’artista francese autore dell’originale.

Le due torri prendono le sembianze dei contadini di Millet ma la figura femminile si innalza su quella maschile, anche se il capo chinato cerca un equilibrio che è solo apparente.

Per alcuni la donna prende le sembianze di una mantide religiosa, il pensiero, che non è evidentissimo, potrebbe essere influenzato dall’idea che Dalí aveva dell’equilibrio instabile nella coppia. Il pittore “sentiva” la figura femminile come quella dominante ma non solo, la donna era una minaccia sessuale, da qui l’idea della mantide religiosa.

Dalí stesso affermò che l’arte di Millet era a sua volta la rappresentazione della repressione sessuale, il timore della supremazia femminile in contrapposizione all’impotenza maschile.

Non possiamo certo ignorare tutto ciò, d’altro canto l’autore del dipinto è lui e prenderlo in considerazione ignorando le informazioni che ci sono fornite sarebbe arbitrario.

Possiamo provare ad essere meno “corretti” e affrontiamo l’opera ignorando tutto il resto, le quattro piccole figure osservano il passato, o quello che ne resta cercando di immaginare quello che non c’è più, la trasformazione di un pensiero intimo, quello emerso dal dipinto di Millet, in un vuoto guscio perso nel passato, simulacro che sopravvive a sé stesso, destinato ad essere dimenticato.

martedì 20 febbraio 2024

Questo lo sapevo fare anch'io!

Questo lo sapevo fare anch’io”, quante volte abbiamo dovuto ascoltare la frase simbolo di chi, pur non conoscendo nulla, è convinto di possedere la verità assoluta, il senso fondamentale dell’arte?

Purtroppo centinaia di volte, e non è finita, questa frase riecheggia ogni qualvolta si cerchi di approfondire l’arte contemporanea (ma vengono pronunciate anche davanti ad opere risalenti al primo novecento).

Un esempio può essere quello raffigurato nelle due immagini che accompagnano questo mio scritto, il soggetto è un cane, lo stile e la concezione sono differenti.

Nell’immagine sopra il cane è tratteggiato con una singola linea, niente di particolarmente complesso, servono una mano ferma e un po’ di … idee.

La seconda immagine è meno alla portata di tutti, per questo dipinto servono una tecnica di base, cosa che non appartiene a tutti, e una conoscenza del colore.

Nonostante la seconda opera sia più difficile da realizzare, necessita comunque di un'abilità senza la quale non è possibile darle "vita", ma anche questa non è sfuggita alla celeberrima esclamazione, davanti a questo quadro qualcuno, evidentemente più bravo degli altri (o perlomeno convinto di esserlo) non ha resistito, la frase fatidica, sinonimo di incompetenza e pressapochismo, ha preso il volo.

Se chi esclama queste "magiche" parole si fosse fermato a riflettere anche per pochi secondi sarebbe arrivato alla stessa conclusione? Basterebbe infatti pensare a cosa si cela dietro questi dipinti/disegni per capire che una semplice linea o una apparente accozzaglia di colori sono l’espressione di qualcosa di più grande, il primo cane è l’essenza di sé, il secondo esprime le proprie emozioni, il personale stato d’animo.

Se poi qualcuno si sente in grado di farlo benissimo, complimenti, ma si dovrà accontentare di ri-farlo e di conseguenza avrà realizzato qualcosa di vuoto, senz’anima.

Non è assolutamente vero che queste opere possono essere realizzate da chiunque, quello che emerge dai due “lavori” è molto più potente di quanto ci si possa immaginare, perché alla fine è proprio l'immaginazione che manca ... 

PS. Le due opere di cui abbiamo parlato sono rispettivamente di Pablo Picasso e di Edvard Munch, la storia artistica dei due pittori non necessita certo di essere ribadita, hanno dimostrato costantemente di poter fare ciò che volevano, questo rafforza il concetto contrario alla fatidica frase.


giovedì 15 febbraio 2024

Tutto troppo scontato, i dubbi dietro l'evidenza

La Dama con l’ermellino, dopo la Monna Lisa, è uno dei dipinti di Leonardo da Vinci più conosciuto e apprezzato dagli storici dell’arte (il pubblico invece non sembra andare oltre la Gioconda).



Leonardo da Vinci - Dama con l'ermellino, 1488-90 - Olio su tavola cm 54,8 x 40,3 - Czartoryski Museum, Cracovia


Entrambi enigmatici, entrambi fondamentalmente ancora poco conosciuti nella loro profondità artistica, storica e simbolica.

I titoli, postumi, non aiutano la comprensione, anche se sembrano accertate le generalità dei personaggi rappresentati il mistero è tutt’altro che svelato.

La scritta in alto a sinistra dice: “La Bele Feroniere Leonard d’Awinci”difficile pensare che sia stato Leonardo a scrivere quella frase (evidentemente vergata in modo tutt'altro che corretto) che vorrebbe l’amante di Francesco I di Francia il soggetto rappresentato, la scritta infatti sembrerebbe postuma e dunque poco, o per nulla, credibile.

Cecilia Gallerani è quasi certamente la donna ritratta da Leonardo in questo apparentemente semplice, quadro, ma quel quasi lascia sempre una porta aperta, e se proprio non è aperta non è nemmeno chiusa ermeticamente.

Il committente sembrerebbe Ludovico il Moro, amante della Gallerani stessa che evidentemente desiderava immortalarla “per l’eternità”.

Perché l’ermellino? Ludovico Sforza, il Moro appunto, personaggio, come tutti gli Sforza, potente, spietato e moralmente più che discutibile, era Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino, da qui l’animale tra le braccia della donna.

Al di là del fatto che l’ermellino non è rappresentato in modo impeccabile, il che ci spinge a pensare che, o Leonardo non aveva mai visto un ermellino o qualcosa (o qualcuno) ha voluto raffigurarlo con sembianze più mitologiche che reali (a meno che gli ermellini a quel tempo fossero cosi, ma questo andrebbe ad aprire un dibatto riguardo all’evoluzione della specie).

Da alcuni studi si ipotizza che l'animale in grembo alla fanciulla possa essere un furetto, animale più docile rispetto all'ermellino difficilmente gestibile per un ritratto.

L’opera chiaramente non è finita, la cura dei dettagli di parte del dipinto è accurata, ma non lo è altrettanto in altri punti, volontà dell’artista o qualcosa è andato storto?

All’apparenza non sono molti i particolari che ci permettono di fantasticare sul vero filo narrativo del quadro (la già citata Gioconda, al contrario, ne è piena) ma è proprio questo il motivo che ci spinge ad avere alcuni dubbi, o quantomeno alcuni spunti di riflessione, è tutto troppo semplice.

Se andiamo a leggere i molti libri dedicati a questo dipinto scopriamo molti particolari che emergono più da personali letture che da vere e proprie "tracce" da cui partire per decodificare il quadro.

Più della Gioconda, usata e abusata al punto di essere artisticamente svalutata (o quantomeno banalizzata) da un consumo superficiale, più delle "Vergini delle rocce" che danno vita ad una narrazione lineare e meno criptica, la "Dama con l'ermellino" sembra dire qualcosa ma senza completare il proprio percorsostorico e artistico. Se si tratta di un'opera incompiuta (come sembra) o di qualcosa di voluto dal suo autore è difficile da stabilire, resta innegabile il fatto che trovare una quadratura è parecchio complicato.  


sabato 10 febbraio 2024

[Aforismi e Arte] L'istante infinito

"Se non c’è seduzione, non c’è fotografia. Devo essere sedotto e sedurre la persona che ritraggo per 1/125 di secondo. Tutto si azzera nell’istante del flash. Tutti pensano che l’eterno istante sia la fotografia, e invece è l’esplosione del flash, quell’attimo di bianco assoluto e di totale pulitura. Poi c’è un mondo nuovo. Ho anche imparato a eliminare il senso del tempo".

(Giovanni Gastel)

Foto by G. Gastel - serie:  Angeli caduti


martedì 6 febbraio 2024

La passione per l'arte, Antonio Paolucci

Nel silenzio più assoluto dei mezzi di (dis)informazione se ne è andato a 84 anni Antonio Paolucci, storico dell’arte e divulgatore in grado di appassionare chiunque avesse avuto l’occasione di seguire le sue disamine storico artistiche.

Antonio Paolucci all'interno della Cappella Sistina

Soprintendente nelle maggiori città d’arte italiane, Venezia, Mantova, Brescia,  fino alla direzione dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze ed in seguito direttore del polo museale fiorentino e direttore dei Musei Vaticani.

Ma non è certo il suo curriculum che mi spinge a ricordarlo, parecchi anni fa ebbi l’occasione di seguire una sua (televisiva, perché allora qualcosa di interessante  la televisione la ancora faceva) lezione dedicata a Tiziano, a colpirmi non fu tanto il pittore di Pieve di Cadore quanto il modo in cui Paolucci guardava un’opera d’arte.

Le Parole dello storico riminese hanno da allora accompagnato la mia visione dell’arte, il mio modo di osservare, approfondire, comprendere l’opera.

Laureato nel 1964 con Roberto Longhi, Paolucci era un conoscitore e appassionato dell’arte antica, la statuaria greco romana, la pittura medievale, il rinascimento, non l’ho mai sentito argomentare riguardo l’arte del novecento ne tantomeno quella contemporanea, a me cara, ma gli insegnamenti che mi ha regalato hanno una valenza che va al di là del tempo.

Spesso non condividevo alcune sue posizioni, naturalmente nel limite delle mie competenze, ma è la sua passione, che emergeva ad ogni conferenza, intervista o lezione, che mi ha affascinato, quella passione che mi accompagna ovunque, davanti ad un crocifisso di Giotto cosi come di fronte ad una scultura di Kapoor.

In un’intervista di qualche anno fa gli chiesero come immaginava il paradiso, rispose che lo immaginava come l’insieme dei musei in cui aveva lavorato, circondato dalle infinite opere d’arte che contenevano …


lunedì 5 febbraio 2024

Riflessi

Il dittico ha una precisa collocazione, a sinistra la tela monocroma, a destra la fotografia che ritrae il protagonista con lo sguardo rivolto al pannello dipinto di verde.

Claudio Costa – Gli occhi di Maori riflettono i colori latenti della foresta, 1973 – Fotografia e tela dipinta (Photo cm 23 x 31 – Tela cm 19,7 x 29) – Collezione Fabio e Leo Cei

La narrazione canonica, il nostro modo di intendere la lettura va da sinistra a destra, ma il concetto di Costa va esattamente nella direzione opposta, l’uomo, che rappresenta il popolo Maori incrocia lo sguardo con la tela che rappresenta la foresta, la verginità della natura, la terra incontaminata.

Ma il titolo è più specifico, il verde della tela è la rappresentazione del riflesso della foresta scaturito dagli occhi dei Maori.

La foresta nella sua essenza più pura non esiste più, rimane l’ideale visione di un popolo che, come il “bosco” rischia di diventare un riflesso della realtà, cancellato da un presente dove la purezza è un ricordo lontano.

Sono bastati una tela dipinta di verde, una fotografia e … un’idea, per dare vita ad un concetto estremamente profondo, pensiero che si è sviluppato “sul campo”, scaturito da una realtà soffocante.

Costa nasce a Tirana da genitori italiani, grazie ad una borsa di studio si reca a Parigi dove viene a contatto con l’allora intenso panorama artistico. In seguito da inizio ad una serie di viaggi in Africa e Australia dove concentra i propri studi sulla paleontologia e, soprattutto, sulle popolazioni locali partendo dalla loro genesi primitiva.

Quest’opera è la sintesi dei due periodi, quello artistico nella capitale francese e quello spirituale nei continenti africano e australe.

La natura incontaminata e l’uomo, l’equilibrio che resiste finché è presente un rispetto reciproco, l’uomo deve assecondare l’evoluzione naturale e difendere il proprio spazio senza andare oltre le proprie necessità, in questo caso gli equilibri sono mantenuti.

Oggi sappiamo che non è cosi, i Maori hanno sempre mantenuto questo scambio con la terra ma l’umanità va oltre il popolo Maori, l’equilibrio si spezza perché emerge con forza lo spasmodico desiderio di sopraffazione, prepotenza subita non solo dalla foresta ma anche da tutte quelle popolazioni, qui rappresentate dai Maori, che ritenevano dannoso il mito del superfluo.

L’opera di Claudio Costa è del 1973, la mia “visione” è datata 2024, mezzo secolo è un lasso di tempo sufficiente per confermare le più nefaste previsioni, allora gli occhi erano in grado di riflettere nitidamente il colore della foresta, oggi quel colore rischia di apparire sbiadito, “lontano”, il colore verde della tela sembra essere una delle poche cose ancora in grado di resistere.