sabato 26 febbraio 2022

Guardare avanti ... sempre

Durante i miei viaggi esplorativi, nel web, alla ricerca di qualcosa di nuovo, mi sono imbattuto in questo dipinto realizzato da Rosa Andreottola.



Il titolo, “Studi di Arlecchino”, fa capire che si tratta di un abbozzo, di uno studio appunto, anche se viene presentato come opera finita.

Pubblicato all’interno di uno dei numerosi gruppi dove pittori, più o meno dotati, espongono i propri lavori, è stato accolto, dai colleghi, in modo tutt’altro che benevolo.

La cosa divertente di questi gruppi è la possibilità di andare a visionare i dipinti di chi commenta, ebbene i commenti negativi (spesso esposti con estrema maleducazione) vengono dai pittori peggiori, non tanto riguardo alla tecnica (sono riproduzioni fotografiche impossibile dare un giudizio) quanto all’idea, dipinti banali, senz’anima e senza quella visione “aperta” che dovrebbe essere il requisito basilare.

Appurato che l’invidia e l’incompetenza partoriscono la maleducazione (le persone intelligenti motivano i loro pareri con rispetto) trovo che questo lavoro cerchi quantomeno una fuga in avanti rispetto alle ripetizioni di un’arte che si trascina da troppo tempo uguale a sé stessa.

La pittrice nella risposta ai commenti, tra il dispiaciuto e l’imbarazzato, giustificava il suo lavoro accostando i suoi personaggi alle opere di Basquiat, commettendo, secondo me, l’errore di guardare troppo indietro e fuori contesto (quest’opera è del 2021 e il graffitismo degli anni 70-80 è altra cosa, oggi non avrebbe senso riproporlo) penso invece che la Andreottola abbia il potenziale per guardare avanti e trasmettere il suo pensiero senza ancorarsi troppo a “ciò che fu”.

La rappresentazione di Arlecchino, celebre personaggio della commedia dell’arte, è solo accennata, tutti conosciamo la maschera e tutti la ricordiamo per il vestito multicolore, ma se andiamo a ritroso nel tempo, scavando nei meandri della leggenda scopriamo che la veste composta dai ritagli di altri costumi è recente, Arlecchino non esibiva la “figura” sgargiante, allegra, cromaticamente variegata, che vediamo oggi, le origini ci portano lontano, Arlecchino era un demone e le radici germaniche svelano un “Hölle König" tradotto letteralmente in "Re dell'Inferno o Re degli inferi".

Questo viaggio nel passato è quello che viene rappresentato nel dipinto? Non è dato saperlo e forse non ha nessuna importanza, va sottolineato invece l’approccio al personaggio, niente vestito a rombi colorati, nulla è lasciato trapelare dal volto, dalla maschera che è solo intuibile, un abbozzo che lascia spazio alle ricostruzioni personali, alle proprie conoscenze, ai propri gusti estetici.

Non voglio sostenere che questo dipinto sia un’opera d’arte, un capolavoro assoluto  (non sosterrò nemmeno il contrario) ma, e questa è una mia opinione, dietro si cela un’idea, una “forma” mentale decisamente interessante. 

Naturalmente in molti non saranno d’accordo, l’importante è motivare il proprio giudizio, farlo con la dovuta educazione e soprattutto valutarne il potenziale evitando di collocare l'opera in un punto fisso del tempo impedendo cosi che possa svilupparsi, non possiamo certo sapere se un ipotetico potenziale possa emergere o meno, questo lo vedremo solo in un prossimo futuro.

sabato 19 febbraio 2022

Sogni e incubi, le due facce della stessa medaglia

Zdzislaw Beksiński non ha bisogno di presentazioni, l’artista polacco è uno dei più importanti artisti del secondo novecento (se non il maggiore) del proprio paese.




La sua pittura è lo specchio dei suoi incubi, o dei suoi sogni, riflette un immaginario terribile dove prevale una decadenza che va oltre il nostro mondo.

Un gravissimo incidente stradale nel 1971 lo costringe ad una lunghissima convalescenza, dopo tre settimane di coma, ciò che è successo in quei giorni viene proiettato nei suoi dipinti?

Persona timida e schiva ma dall’animo gentile e dalla piacevole presenza nelle conversazioni e da uno spiccato senso dell’umorismo, ha dato un’immagine di sé cupa e spaventosamente tenebrosa.

I dipinti più celebri, dove spicca l’assenza di un titolo, dove non c’è alcun commento dell’autore a ciò che crea, sono stati realizzati prima del fatidico biennio (1998-1999) anni in cui perde la moglie e dopo pochi mesi anche il figlio suicida, questi avvenimenti lo fanno cadere in una profonda depressione da cui non uscirà più.

Anche la morte nel 2005 è tragica, viene ucciso con 17 coltellate dal figlio del suo maggiordomo che lo accusa di avergli negato un prestito di 100 dollari.

Se prendessimo in considerazione questi fatti potremmo arrivare ad una conclusione affrettata, la sua arte prende spunto da sensazioni più o meno inconsce, la profondità dell’anima emerge con il suo volto tragico, ma la serenità che lo accompagna in quegli anni ci racconta qualcosa di più complesso, più elaborato.

Difficile se non impossibile dare un’interpretazione a “visioni” tanto estreme quanto intime e personali, la bellezza sembra non avere cittadinanza in questi quadri ma al contrario è proprio la bellezza, nella sua tragicità, ad essere la grande protagonista.

La bellezza, di fronte a queste opere, emerge prepotentemente  nella sua forma più elevata, non intendo quella bellezza esteriore, quell’immagine che accarezza l’occhio, che apre a sensazioni di superficie, la bellezza che traspare in questi dipinti è ipnotica, controversa, dolorosa.

Il confronto su questo tema è complesso, solo ad un’estrema profondità possiamo comunicare con le opere di Beksiński, il rischio però è elevato, scendendo in questo antro senza luce apparente possiamo trovare la bellezza ma possiamo anche perderci definitivamente.

Zdzislaw Beksiński ha raggiunto l’apice della fama tra gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, molte opere sono presenti in collezioni private in giro per il mondo, una vasta collezione delle sue opere è visitabile al Museo Storico di Sanok, località polacca che ha dato i natali al pittore.











sabato 12 febbraio 2022

L'apice del "baratro"

“380 milioni di euro, o meglio 450,3 milioni di dollari (non tutte le fonti sono concordi ma questo sembra il prezzo esatto) è la cifra sborsata per il famoso (oggi) “Salvator Mundi” attribuito a Leonardo da Vinci.


Negli anni cinquanta del novecento venne battuto all’asta per poco più di 40 sterline, l’attribuzione del dipinto era incerta, Luini, Boltraffio e molti altri, tutti erano concordi nell’affermare che l’opera era di basso livello.
In seguito un piccolo gruppo di esperti (un paio italiani) stabilisce, nonostante il resto degli studiosi d’arte mondiale non siano convinti (molti sono sicuri del contrario) che il quadro è opera di Leonardo.


Come sia possibile che un dipinto considerato poco più di una “crosta” diventi un capolavoro di livello mondiale solo perché uno sparuto gruppo di presunti esperti lo ha dichiarato tale, tutto questo non è concepibile in un’epoca che fornisce infinite informazioni e permette confronti incrociati senza soluzione di continuità.
Invece di aprire un dibattito internazionale (a livello artistico e culturale) certi “movimenti” poco limpidi sono supportati dal sensazionalismo dei media che si limitano a cavalcare l’onda”

 


Questa era stata la mia reazione all’annuncio della vendita record del presunto dipinto di Leonardo, a distanza di un lustro i miei dubbi sono enormemente aumentati, se avevo delle perplessità che l’opera fosse del pittore fiorentino oggi le stesse sono aumentate a dismisura.

Non mi baso certo sulle mie impressioni, non ne ho la minima competenza, la mia convinzione si basa invece sulle molteplici voci (che già allora erano di questo tenore) e agli altrettanti indizi che spingono a pensare ad una gigantesca messa in scena.

A differenza di allora i pareri contrari all’attribuzione del quadro a Leonardo, che sono sempre gli stessi e numerosissimi, oggi vengono alla luce, al tempo dell’asta record erano praticamente silenziati.

Un altro indizio, tutt’altro che trascurabile, è la scomparsa dell’opera, il dipinto acquistato da un principe saudita doveva essere il fiore all’occhiello del Louvre di Abu Dhabi ma nel giro di qualche mese se ne sono perse le tracce, a distanza di cinque anni da quell’evento, prevalentemente mediatico, del dipinto si sono perse le tracce.

Il proprietario aveva chiesto ad una società svizzera di assicurare il dipinto, la società stessa a sua volta ha chiesto di poter esaminare l’opera prima di avallare il tutto ma l’appuntamento è stato cancellato e anche i vertici della compagnia di assicurazione si sono chiusi in uno strano, ma eloquente, silenzio.

Cosa c’era, o c’è, dietro questa colossale operazione? L’ingente movimento di denaro è già un motivo valido per mettere in atto una sceneggiatura simile, le voci a favore dell’attribuzione "leonardesca" non hanno fatto nessun passo indietro, stessa cosa per quelle più numerose che vanno nella direzione contraria.

Quale sia la verità riguardo al dipinto forse verrà alla luce con il trascorrere del tempo, o forse rimarrà relegata in uno dei numerosissimi coni d’ombra di un mondo, quello dell’arte, che quando entra in contatto con quello finanziario si circonda di una densa e perenne cortina di fumo.


giovedì 10 febbraio 2022

La pietà della madre terra

Nella giornata del ricordo delle vittime delle Foibe voglio proporre questi versi di Gianpiera Sironi, una struggente supplica alla madre terra, la richiesta di un gesto pietoso, quello che è mancato a migliaia di vittime della degenerazione umana.


 

Terra

madre amorosa

nelle tue aperte ferite

hai accolto i corpi gettati

ne hai cullato le vite.

Terra

madre pietosa

hai sentito i lamenti

e hai coperto con pudore

l’atrocità di questi momenti.

Terra

madre paziente

hai riportato alla memoria

uno degli orrori più grandi

della nostra storia.

 

Foibe – Gianpiera Sironi


(nell'immagine: Mariano Morioni - Foibe)


sabato 5 febbraio 2022

Dalla "creazione" alla mistificazione

Cosa collega il celebre film di Stanley Kubrick 2001 odissea nello spazio del 1968 con il deserto dello Utah nel 2020?

L’anello di congiunzione si chiama John McCracken.

Tutti, appassionati o meno della pellicola, ricordano il monolito “guardiano” che appare all’inizio del film, un parallelepipedo nero in metallo che ha dato vita a molteplici interpretazioni sulla storia dell’umanità.

Negli anni in cui Kubrick inizia a scrivere la sceneggiatura del film in collaborazione con Arthur C. Clark, autore del soggetto, John McCracken  realizza l’’inizio di una serie di monoliti dal titolo “Plank” o Black Plank se la scultura era nera.




Non si è mai saputo con certezza se Kubrick si fosse ispirato alle opere dello scultore americano o addirittura, come qualcuno sostiene, che sia proprio McCracken l’autore del monolito apparso sul set, ne il regista, sempre di poche (o nulle) parole ne l’artista hanno mai fugato questo dubbio.

L’evoluzione dei monoliti di McCraken ha attraversato i decenni, dalle prime opere a metà degli anni sessanta fino al primo decennio del duemila dove possiamo vedere il naturale epilogo di un percorso durato mezzo secolo.

Dai primi “Plank” in legno lucido fino a”Energy” del 2007 e “Magic”dell’anno successivo, il primo in metallo nero, il secondo in acciaio lucidato a specchio, mentre i lavori degli anni sessanta erano sottili al punto che non si reggevano in piedi da soli ma dovevano essere appoggiati alle pareti, gli altri monoliti sono perfettamente stabili, forse questi più simili a quello del film.


Nel 2020, nel deserto dello Utah, un pilota di un elicottero scorge un manufatto che fino ad allora non si era mai visto, la notizia ha fatto il giro del mondo (o meglio del web) tutti ne hanno parlato e naturalmente sono “esplose” le congetture più varie e strampalate, i cultori degli extraterrestri in quanto creatori della nostra civiltà non si sono tirati indietro anzi, hanno cavalcato l’onda profetizzando il ritorno dei “creatori”.

Altre teorie, più terrene e plausibili hanno ipotizzato che ad installare l’opera fosse stata una fan del lungometraggio di Kubrick, un’altra è che un collezionista di McCracken avesse depositato nel deserto il blocco per riproporre l’accoppiata Kubrick-McCracken.

Alla fine l’arcano è stato svelato, nessuna di queste teorie era esatta (tantomeno quella degli UFO) un gruppo ha rivendicato l’azione, che nel frattempo si era ripetuta altre volte in luoghi diversi, più con scopi di lucro che artistici o storici.

In fondo sarebbe bastato osservare bene i monoliti per renderci conto che non avevano nulla a che fare ne con il film ne con lo scultore, ma la legge del web rende reale qualsiasi cosa finché se ne parla, lo storytelling ha sempre la meglio sulla realtà, a maggior ragione nell’epoca dei social.

Per citare il titolo di un’opera di Shakespeare, tanto rumore per nulla, o forse l’occasione di ricordare l’artista “minimal” e il suo, apparentemente semplice, genio.

Nelle immagini d’alto:  Il monolito di 2001 Odissea nello spazio - I monoliti di McCracken - Il monolito apparso nel deserto dello Utah