sabato 28 novembre 2020

Normalmente una canzone viene pubblicata, percorre il suo cammino, più o meno glorioso e solo in seguito, quando il brano raggiunge un certo successo, ecco nascere un numero più o meno elevato di cover.

Ma in questo caso non andò cosi, da un brano ne nacque un altro tanto che entrambi brillano di luce propria.

Sto parlando di “Valery” cantata da Alfredo Cohen (testo dello stesso Cohen, musiche di Battiato e Giusto Pio) e di “Alexanderplatz” eseguita da Milva (musicata da Pio mentre il testo è stato riadattato da Franco Battiato).

Nel 1979 prende vita “Valery”, Alfredo Cohen (Alfredo D’Aloisio) la dedica a Valérie Taccarelli, una giovane transessuale allora impegnata, con lo stesso Cohen, nella lotta ai diritti omosessuali e transgender.

Il testo di delicatamente poetico è una personale dedica che il cantante di Lanciano fa alla sua musa, la stessa Taccarelli che visse per un certo periodo nella casa di Cohen disse che visto il disordine che regnava nell’abitazione iniziò a prendersene cura, viene naturalecollegare la vicenda con le parole del brano, “Ti piace di più lavare i piatti, fare i letti, poi startene in disparte come vera principessa prigioniera del suo film, che aspetta all’angolo come Marlene”, strofa che viene riproposta interamente anche in “Alexanderplatz”, ma che senza la conoscenza di “Valery” e di ciò che le ha dato vita, appare senza un senso logico.

Tre anni dopo l’uscita del brano di Cohen, che non ha avuto il successo che forse meritava, Battiato progetta un cambiamento, dopo aver chiesto il permesso a Cohen (che a sua volta lo chiede a Valérie) modifica testo e musica (in particolare aggiunge il favoloso ritornello) e completa l’opera consegnando il tutto alla voce di Milva.

Il risultato è innegabilmente ottimo, la voce della “pantera di Goro”, aggiunta alla sua eleganza vocale e non solo, danno vita ad una canzone di grande presa, cosi come Cohen è riuscito a trasmettere l’intimità paterna nei confronti della giovane Valérie, Milva porta l’ascoltatore nelle cupe e fredde serate berlinesi negli anni del "muro".

Una canzone, due canzoni, è impossibile ascoltare l’una senza pensare all’altra ma al contempo l’ascolto dei due brani ci conduce a due realtà differenti.

Con il primo brano veniamo avvolti da una malinconica brezza poetica, nel secondo siamo travolti dal vento impetuoso delle vocalità di Milva senza per questo rinunciare alla poesia.

Sono convinto che per apprezzare appieno “Alexanderplatz” sia necessario ascoltare con attenzione “Valery”, ma è con la stessa convinzione che la cosa valga anche al contrario.  




sabato 21 novembre 2020

Spiritualità e materia, realtà e simbologia, Franz Marc

 

Autore:   Franz Marc

(Monaco, 1880 – Verdun, 1916) 

Titolo dell’opera: Piccoli cavalli gialli, 1912

Tecnica: Olio su tela 

Dimensioni: 66 cm x 104,5 cm

Ubicazione attuale:  Staatsgallerie, Stoccarda

 


Tre cavalli occupano la quasi totalità della tela, le tre sinuose figure sembrano intrecciarsi quasi a creare un tutt’uno, lo spazio lasciato libero dagli animali è però sufficiente per mostrarci un paesaggio collinare dove sullo sfondo, oltre le due case appena abbozzate scorgiamo il blu del cielo.

I tre cavalli sembrano però staccarsi dal contesto paesaggistico, sono in primo piano mentre lo sfondo prende le sembianze di un pianeta lontano, questo rende tutto più aulico, raffinato, elevato (ecco che ritorna la spiritualità).

Nonostante la rappresentazione equestre che si palesa al primo sguardo è il colore il tema predominante del dipinto.

Il giallo che simboleggia l’elemento "passivo" femminile, il rosso dei fianchi richiama la sensualità, questi colori caldi si contrappongono al blu spirituale dello sfondo.

La teoria del colore di Kandinskij in “Lo spirituale dell’arte”, che oltre alla grande amicizia condivide con Marc la genesi del gruppo “Der blauer reiter” (il cavaliere azzurro) pone il giallo proprio in contrapposizione col blu dove l’essenza materiale del primo contrasta con la spiritualità del secondo.

La sensualità femminile, l’essenza stessa della femminilità e dell'elevazione mistica, prendono strade differenti ma fanno parte dello stesso impianto, l’unione delle due espressioni raggiunge un equilibrio nelle criniere delle giumente.

Nulla è per caso, il verde delle criniere nasce dalla fusione dell’emozione fisica con la visione trascendentale, dando vita ad un equilibrio più o meno stabile simboleggiato dal verde, frutto della "mescolanza" tra il giallo e il blu.

I cavalli sono sempre stati la passione di Marc, questi animali lo hanno accompagnato fino all’epilogo della sua breve esistenza, arruolatosi volontario allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1916 viene esentato per meriti artistici, dagli incartamenti militari l’ultimo giorno di servizio mentre svolge il proprio compito di ricognitore a cavallo viene colpito da alcune schegge di granata, a trentasei anni, muore sul colpo vicino al proprio cavallo, una figura che lo aveva accompagnato nel suo breve, seppur intenso, percorso artistico.

sabato 14 novembre 2020

La faticosa ascesa dell'arte, Frank Auerbach

 

Autore:   Frank Auerbach

(Berlino, 1931 ) 

Titolo dell’opera: J.Y.M. seduta nello studio IV- 1988 

Tecnica: Olio su tela 

Dimensioni: 56 cm x 51 cm 

Ubicazione attuale:  Collezione privata



La modella abituale, la musa che ha posato per moltissimi dei ritratti realizzati da Auerbech, è la protagonista dell’opera, Juliet Yardley Mills, questo è il nome della donna, è al centro del dipinto pur senza essere palesemente presente.

Lo stile del pittore berlinese è alquanto evidente, spesse pennellate di colore si “abbattono” sulla tela apparentemente senza un criterio preciso ma raggiungendo un chiaro obbiettivo.

Di fronte a quest’opera, ma lo stesso vale per molti altri dipinti di Auerbach, è difficile provare un senso di piacevolezza, lo sguardo si avvicina con estrema fatica, quasi con uno sforzo fisico, una fatica visiva e concettuale.

Tutto sembra scivolare all’interno del quadro, la figura è seduta (l’indicazione del titolo è fondamentale) non capiamo su cosa e non comprendiamo se le mani reggono qualcosa o meno, la scena è tutt’altro che immobile, niente se ne sta al suo posto per più di qualche istante, se ci limitiamo a guardare il quadro, l’insieme si cristallizza ma nel momento in cui ci lasciamo trasportare dal pennello dell’artista ecco che nasce il movimento.

Gli spessi strati di colore rallentano la nostra “visione”, un lento avanzare, quasi riluttante ci porta nella profondità del dipinto per poi accorgerci di esserci arrivati sfiancati da tanta difficoltà.

E’ un’interpretazione claustrofobica, si viene attirati da ciò che ci allontana, lo sforzo di raggiungere quello che in fondo non volevamo raggiungere. Ma alla fine comprendiamo che, indipendentemente dal risultato emozionale, non c’era altro da fare.

sabato 7 novembre 2020

Vero o falso? l'improbabile Bouguerau

 Il web, i numerosi social, siti più o meno specializzati, blog e tutto quello che la “rete” ci offre, hanno permesso a chiunque l’accesso ad una mole infinita di informazioni.

La cosa naturalmente è positiva, abbiamo l’opportunità di essere informati con la possibilità di confrontare le varie opinioni e costruire cosi un nostro pensiero critico.

Ma nel mare di nozioni, parole e immagini, in cui siamo immersi, non tutto ha il crisma della verità, sono molte le informazioni errate se non addirittura inventate di sana pianta.

Nel mondo dell’informazione artistica, ci imbattiamo quotidianamente in notizie che portano il lettore completamente fuori strada, tra queste le più gettonate sono le attribuzioni, inventate, di dipinti più o meno interessanti (non è questo il punto) ad artisti famosissimi.

Opere di dubbia qualità attribuite a Van Gogh, altre di qualità maggiore assegnate a Klimt, Schiele o Gauguin, non parlo di copie falsificate, in quel caso solo degli esperti (e nemmeno loro spesso riescono nell’intento) riescono a smascherare la truffa, ma semplicemente di dipinti di uno sconosciuto pittore attribuiti all’artista più famoso.

Uno dei casi più eclatanti è sicuramente “Aphrodite” di Bouguerau che naturalmente di Bouguerau non è, il problema è che non si tratta nemmeno di un dipinto ma di un’elaborazione digitale realizzata nel 2006 da Askar (Alexander T. Scaramanga) intitolata appunto “Aphrodite 010”.

L’errore è dietro l’angolo ed è facilissimo caderci, per questo motivo dobbiamo prestare attenzione, evitare di accontentarci della prima informazione che ci viene offerta dal motore di ricerca, è fondamentale cercare affidandoci a siti specializzati, i vari musei e gallerie offrono informazioni precise e attendibili.

Oltre alle pagine web non vanno trascurati i testi scritti, nonostante l’errore sia sempre possibile ci sono molti luoghi dove possiamo trovare informazioni veritiere.

C’è un ulteriore problema da affrontare davanti a queste “falsificazioni”, spesso chi pubblica, ma succede anche a chi semplicemente condivide (più o meno consco dell’errore) rifiuta categoricamente l’idea che quello che propone sia falso, capita che a chiunque, davanti ad una notizia falsa, cerchi di correggere il tiro, venga chiesta una prova di ciò che afferma, negando l’idea che a provare la veridicità sia compito di chi rende pubbliche certe informazioni.