lunedì 25 settembre 2023

La finta arte dei murales e l’oblio del rispetto.

Da qualche anno ha preso piede quella che per qualcuno è una nuova forma d’arte, stiamo parlando dei murales.

Non intendo certo denigrare i dipinti murali ma quella che è una moda (un po’ datata) poco ha a che fare con l’arte e soprattutto è pressoché esente dalle regole basi del comportamento civile.


Sono due i punti chiave che vorrei sottolineare, quello legato alla qualità dell’opera (sempre che si possa definire tale) e quello della libertà di occupare gli spazi di proprietà altrui.

Iniziamo da quest’ultimo, un conto è realizzare un dipinto su una parete propria o di proprietà di chi lo commissiona (pubblica o privata) non vedo perché, nel nome di una presunta arte, un pittore qualunque si senta in diritto di dipingere (quando va bene, quasi sempre si tratta di imbrattare) il muro di una casa altrui.

Quante volte ci capita di leggere articoli in cui si sottolinea, in modo negativo, l’intervento di rimozione di un murales non autorizzato, il 90 % delle persone ritiene che in quanto arte (poi ne discutiamo) va lasciato dov’è, in quanto ai proprietari dell’edificio … che si arrangino.

Passiamo all’altra questione, quella “artistica”, quando mi capita di incrociare un murales raramente provo quello che si prova davanti ad un’opera d’arte, il motivo è semplice, escluso un buon 50 % di pessimi writer (anche se il termine rappresenta più i realizzatori di graffiti) ci resta una buona parte di discreti (alcuni ottimi) pittori, tecnicamente dotati, le cui realizzazioni lasciano un buon ricordo visivo, ma niente di più.

In questo mare di artigiani della bomboletta solo una percentuale risicata si può considerare artista, nonostante qualcuno consideri i murales una nuova forma d’arte non possiamo non sottolineare che si tratta di una disciplina vecchia di decenni, questo naturalmente non vuol dire che non ha ragione di esistere ma che ripetere le stesse cose per anni non ha nulla di artistico in quanto la ripetizione (soprattutto se si rifanno cose fatte da altri) è parente prossima della copia, e tutto ciò che è “copia” non è arte, indipendentemente dal fatto che ci piaccia o meno.

L’esempio lampante di una “stortura” ormai radicata è il murales di Maradona (nell'immagine) a Napoli, per numero di visitatori ha superato veri capolavori come il “Cristo velato”, infatti alcuni articoli l’hanno definito “il monumento più visitato" (e anche qui potremmo discutere sulla definizione di monumento).

I murales hanno una strana influenza sul pubblico, questo non è negativo anzi, ma il successo di questi “quadri all’aria aperta” è maggiore dove il soggetto è banale, più è piatto il concetto espresso più l’apprezzamento è alto, se aggiungiamo la modernizzazione di questo “genere” di pittura, che è tutto tranne che contemporanea (e il fatto che qualcuno la definisca contemporanea spiega l’immobilismo artistico odierno) il risultato è sotto gli occhi di tutti, se poi nessuno lo vuole vedere …

mercoledì 20 settembre 2023

L'eterna ricerca del "prima" e del "dopo" Emile Fabry

Emile Fabry – L’uomo che contempla il suo destino, 1897 – Musee de Beaux-Art, Montreal

 

Questo dipinto, dalle sfumature intense e profonde, non può non riportarci a Munch e al suo viaggio interiore, la ricerca di se stessi condizionata dal tempo passato e futuro.

L’uomo, il cui busto è rivolto verso lo spettatore, sembra guardarsi indietro, da l’impressione di voler analizzare il proprio passato cercando le risposte nel tempo che deve ancora venire.

Se consideriamo il soggetto una sorta di autoritratto ci rendiamo conto che si tratta di una visione, una proiezione molto in là negli anni, Fabry infatti aveva 32 anni quando realizza il quadro, l’uomo raffigurato è evidentemente più vecchio, si tratta, come dice il titolo, di una raffigurazione di se stesso nel futuro? Il pittore belga morirà nel 1966 all’età di 101 anni …

L’anziana figura occupa la metà destra del quadro, la metà sinistra è lasciata ad uno scenario, (passato, presente o futuro) dove tutto sembra fluire costantemente, l’uomo e il flusso temporale sono uniti da una diagonale che fa da confine tra la terra e il cielo, le nuvole sembrano adeguarsi e scorrono inesorabilmente avvolgendo il capo del vecchio protagonista.

La profondità dello sguardo sembra cercare qualcosa che è, o va, oltre la tela, oltre l’orizzonte visivo a noi concesso, verso quello che sembra essere l’infinito.

Il tema della ricerca di sé non è certo una novità, non lo era allora e, a maggior ragione, non lo è oggi, da sempre l’uomo ricerca il proprio io avanti e indietro nel tempo, ma Fabry lo fa in un modo nuovo, proietta la propria immagine avanti nel tempo e si raffigura in là con gli anni ancora impegnato in questa missione.


venerdì 15 settembre 2023

[Aforismi e arte] l'immortalità dell'opera

L’opera d’arte è tale se ha una valenza contemporanea ma è proiettata nel futuro, in qualunque epoca venga “letta” deve essere considerata attuale, deve veicolare un messaggio “moderno”.

Citando il celebre pianista e direttore d'orchestra Daniel Barenboim: «Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità

L’opera d’arte deve saper essere attuale ma, portando con se le esperienze accumulate nel tempo, deve saper guardare oltre l’oggi altrimenti corre il rischio di invecchiare immediatamente. 

L’arte deve per forza parlare ai posteri altrimenti non sarebbe tale.


Henri Matisse – Il pappagallo e la sirena, 1952-53 Guazzo, collage su carta su tela, cm 337 x 768   Stedelijk Museum, Amsterdam


domenica 10 settembre 2023

L'immortalità delle idee

Un’icona casuale, come entrare nella storia dell’arte (o del costume) malgrado l’obbiettivo fosse tutt’altro.

Nel 1957 a Los Angeles il giovane Walter Hopps, fonda la Ferus Gallery, luogo d’arte che supplisce alla mancanza di un movimento, una “scuola” artistica, in una città nota per l’emergente movimento hollywoodiano in contrapposizione alla più impegnata, artisticamente, culturalmente e socialmente, New York.

Hopps grazie alla propria tenacia e alle capacità oratorie tesse una rete di amicizie che gli permettono di esporre nella propria galleria opere di grandi artisti contemporanei.

Nel 1963, per l’esattezza nel mese di ottobre, Hopps, da poco assunto al Museo d’Arte di Pasadena, riesce a dare vita ad un evento epocale, allestisce una personale di quello che era definito il più grande artista contemporaneo, Marcel Duchamp.

Il giovane e intraprendente curatore della mostra aveva un piccolo segreto da celare, la moglie Shirley, cofondatrice della Ferus Gallery, aveva una giovane rivale in amore, una certa Eve Babiz, che in seguito diventerà una celebre scrittrice, è l’amante del marito, finora tutto era andato per il meglio (almeno per l’ingenuo Walter).

Al cocktail di inaugurazione della mostra Hopps invita numerose personalità che hanno il compito di elevare l'importanza dell’evento (non che ce ne fosse bisogno visto il nome in cartello) la serata glamour non poteva non attirare l’attenzione della ventenne Eve, alla ricerca spasmodica di celebrità, una vetrina come questa era irrinunciabile.

Ma Hopps la pensava diversamente, in fondo non poteva fare altrimenti, all’inaugurazione si è fatto accompagnare dalla moglie, cosa che all’amante non è piaciuta.

Eve Babiz non si arrende facilmente, deve presenziare a tutti i costi, inoltre c’era un conto da saldare con l’amato, qualcosa doveva inventarsi. Durante il ricevimento Hopps, da buon padrone di casa, ha invitato Duchamp ad una partita a scacchi, sotto gli occhi degli ospiti i due si sono sfidati amichevolmente, ma tra le dozzine di sguardi c’era anche quello del fotografo Julian Wasser, amico della Babiz, che ha un’idea illuminante, mette al corrente la giovane ragazza del proprio piano, idea che Eve avalla con entusiasmo.

Con qualche bicchiere di vino in corpo la Babiz si avvicina a Duchamp e lo sfida ad una partita a scacchi (sembra che lo abbia sfidato dicendogli che lo avrebbe battuto, ma queste voci non sono mai state confermate) l’allora ultrasettantenne Duchamp, tutt’altro che impermeabile al fascino femminile e capace di cogliere al volo le intuizioni geniali, proprie e altrui, accetta, la ragazza si siede al tavolo della sfida aggiungendo una variabile inattesa, lo fa completamente nuda mettendo in vista le generose curve, Julian Wasser immortala l’istante rendendolo iconico al punto che l’immagine simbolo di quella mostra diventa questo scatto, cosa che Duchamp non intende ostacolare anzi, cavalca il momento rendendolo suo.

Per la cronaca la partita a scacchi viene vinta dall’artista francese in pochissime mosse, a nulla vale il tentativo della donna di distrarre l'avversario, ma in fondo il vero obbiettivo della giovane e intraprendente Eve era tutt'altro.

martedì 5 settembre 2023

Introspezione e proiezione, Vasilij Kandinskij

Questo dipinto di impegnative dimensioni possiamo considerarlo una delle opere più importanti del pittore russo.

Vasilij Kandinskij – Composizione VI, 1913  Olio su tela cm 195 x 300  Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo


La lunga gestazione è la conferma di una sofferta introspezione e al contempo una visione del mondo che sta per prendere la strada della disgregazione, per Kandinskij le opere di quel periodo, e in particolare questa, evocano un mondo sull’orlo della distruzione, non abbiamo dovuto attendere molto per renderci conto dell’esattezza delle sensazioni.

Sei mesi sono serviti al pittore russo per completare la metamorfosi del dipinto, partendo da schizzi e bozzetti preparatori, dove è presente una visione realistica, si prosegue arrivando al risultato finale dove l’annullamento delle forme riconoscibili da vita alla rappresentazione delle sensazioni più intime.

“Il suono interiore dell’anima”, cosi Kandinskij riassume quest’opera, una melodia che emerge dal profondo, un sentire intimo, l’essenza di sé.

Le zone di ombra e di luce che si incrociano, le diagonali marcate, danno la sensazione di continuo movimento, la prospettiva è assente lasciando cosi libertà assoluta alle forme indistinte e ai colori che, sovrapposti, ci danno la sensazione di vivere un’esperienza di totale avvolgimento, un vortice di pura energia.

L’assenza di un unico punto focale obbliga l’osservatore, perlomeno quello attento e curioso, a spaziare incessantemente sulla tela, passando ripetutamente da un angolo all’altro del quadro, come se un invisibile tracciato ci conducesse verso una, non del tutto definita, meta.

Ma tutto questo non può non fare i conti con le parole di Kandinskij, le “parti” del dipinto dove a prevalere sono i marroni rappresentano la disperazione data dalle sensazioni di quegli anni, disperazione attenuata dalle parti più in rosa dove la speranza non era del tutto svanita.

1913, siamo vicini ad un tristemente ed epocale cambiamento, qualcuno evidentemente lo aveva capito.