Cruda, spiazzante, terribilmente realistica, "Untitled (Rape scene)" del 1973 è la performance di Ana Mendieta, opera che va al di là di ogni logica artistica fino ad allora accettata.
L’esibizione non si è tenuta in un museo o in una galleria, tutto si è svolto all’interno del suo appartamento, Ana Mendieta, al tempo venticinquenne, aveva precedentemente invitato i suoi compagni di corso all’università, quando sono entrati si sono trovati davanti a questa scena, l’artista, nuda dalla vita in giù e cosparsa di vernice rossa, gli slip abbassati alle caviglie(dettaglio tutt'altro che trascurabile) il busto steso sopra un tavolo e le mani legate al tavolo stesso rendendogli impossibile qualsiasi movimento. Una macchia di sangue sgorga dalla fatale ferita alla testa.
Altro non è che la
terribile scena a cui hanno assistito i soccorritori di Sara Ann Otten,
studentessa che frequentava lo stesso ateneo e che venne stuprata e uccisa da
uno studente.
Gli spettatori entrati nell’appartamento della Mendieta hanno assistito alla terrificante scena per oltre un’ora, costretti ad immedesimarsi con la ragazza violentata e uccisa e con le tantissime donne che quotidianamente subiscono le stesse violenze.
La forza immensa
della rappresentazione trasmette un senso disturbante di impotenza, tutto
appare stravolto, niente sembra “normale” anche se queste scene sono la
normalità. Sentir parlare di violenza, di stupri, è un conto, trovarsi davanti
al misfatto (anche se scenografico) è un altro.
Ana Mendieta non immaginava che la performance potesse essere un presagio, nel 1985, a soli
36 anni, precipita dal 34°piano da una finestra della propria abitazione, solo
il marito, l’artista Carl Andre, era presente, fu processato e assolto ma
essendo un personaggio molto influente in quel periodo sono molti i sospetti
che qualcuno sia intervenuto per sviare le indagini.
Probabilmente, anzi
sicuramente, non è corretto correlare l’esibizione con l’epilogo tragico della
vita dell’artista cubana e quindi è doveroso incentrare l’attenzione sull’opera
che con la sua essenza trasmette l’orrore in modo diretto senza la necessità di
alcun filtro di nessuna narrazione, tutto è chiaro, tutto è terribilmente reale.
Inoltre vorrei sottolineare l'aspetto caratteriale, la forte personalità di Ana Mendieta, un'idea simile non nasce dal nulla, non prende vita se l'autrice non ha una profonda "spinta" emotiva, ma soprattutto è necessaria una "visione" in grado di stravolgere i canoni estetici e comportamentali di quegli anni (considerando che da allora sono passati quasi cinquant'anni ci rendiamo conto quanto l'arte di Ana avesse anticipato i tempi).
Cosa trasmette, agli spettatori di oggi attraverso le sole immagini, questa discesa all'inferno? In molti, pur comprendendo e condividendo il pensiero alla base della performance, si dissociano dal concetto artistico, l'abitudine di considerare l'arte come espressione di una bellezza spesso intangibile fanno "resistenza" davanti alla cruda realtà, smuovere le coscienze, attivare uno spirito critico non è forse Arte?
Ho curiosato su internet dopo il tuo post, e devo dire che anche no. Non trovo forza immensa, né bellezza e neanche arte. Ma ovvio ognuno poi la pensa a modo suo, e ci mancherebbe.
RispondiEliminaCiao franco, innanzitutto sono d'accordo con te, i punti di vista sono soggettivi e di conseguenza ognuno giunge a una conclusione differente.
EliminaSono molte le considerazioni e le domande che mi sono fatto prima di scrivere questo post e sono giunto alla conclusione che siamo di fronte a qualcosa di particolarmente complesso.
Se le "performance" sono una forma d’arte riconosciuta ( come i video art, i graffiti le installazioni) questa è un’espressione di tale forma d’arte, tra le nuove “arti” la performance è quella che più si avvicina ad una forma artistica classica come il teatro, è una nuovo modo di rappresentare, di recitare.
Siamo nel 1973, un’epoca di stravolgimenti culturali dove gli artisti cercano di uscire definitivamente dalla bellezza ottocentesca che ancora oggi fatica ad essere lasciata alle spalle (le due guerre mondiali a cui va aggiunta quella del Vietnam, la più “mediatica”, hanno ribaltato il concetto di arte mettendo da parte la bellezza estetica a favore di una profondità, spesso scomoda, che veniva taciuta).
Ana ha “visto” la vicenda della morte di Sara Otten sentendo il bisogno di scuotere le coscienze (i commenti che sentiamo oggi dopo violenze del genere la dicono lunga sulla strada da fare, proviamo a pensare quali erano i pensieri di cinquant’anni fa) in quel frangente non bastava una protesta collettiva, in quanto artista non riteneva sufficiente un dipinto, doveva mettere i ragazzi e le ragazze davanti all’orrore, secondo me lo ha fatto in modo geniale, proviamo ad immaginare cosa ha provato chi, ignaro, è entrato nella stanza.
Mi scuso per la risposta un po’ lunga ma volevo esprimere la mia visione, spiegare perché ho trovato quest’opera unica e fondamentale.
Grazie della sincerità e del confronto, buona giornata.
Ho letto di questa particolare artista. Sinceramente non è facile comprendere il perché di questa scelta così cruda è sì, purtroppo è arte anche questa.
RispondiEliminaNon mi piace però il suo modo di esprimere con tale forza, qualcosa di così intimo e doloroso, specie perché in tanti non comprenderebbero appieno e sì potrebbe fraintendere. Poi non trovo questo così forte come performance teatrale. Se permetti, in tal senso, preferisco molto di più il dolorosissimo monologo di Franca Rame. Parole che ti entrano dentro come lame.
Qui in realtà vedo cruda finzione (piuttosto che cruda realtà) e non mi piace.
Comunque le impressioni possono essere varie e profonde per ognuno di noi. Molto può anche non riuscire ad essere spiegato.
Ecco perché dico che purtroppo è sempre arte, come espressione dell'artista ma anche come percezione di chi osserva. Poi la preferenza su una cosa piuttosto che l'altra, personale e unica, non può precludere ciò.
Sei stato coraggioso a proporre questa riflessione e ti ringrazio. Abbraccio Romualdo.
Ciao Pia, “Sei stato coraggioso a proporre questa riflessione”, non che ci voglia chissà quale coraggio ma mi fa piacere che hai compreso quante “riflessioni” ho fatto prima di scrivere e pubblicare questo post, oltre alla censura (hanno rimosso una “Madonna con Bambino” di Raffaello perché il bambino era nudo) non ero sicuro di spiegarmi riguardo al mio personale pensiero su quest’opera.
EliminaInoltre dovevo prendere in considerazione l’aspetto psicologico che ha portato l’artista cubana a realizzare questa “follia”, Mi sono confrontato con un’amica, sociologa che ha a cuore il delicato tema della violenza sulle donne, il suo commento è stato lapidario: “vale più di mille parole”, questo ha cancellato ogni dubbio residuo, non significa però che il nostro punto di vista sia giusto anzi, è il punto di vista altrui che mi interessa.
Tu proponi aspetti molto interessanti, il monologo di Franca Rame non si discute, come non si discutono i molti “racconti” di chi ha vissuto certe situazioni, ma è qui che voglio arrivare, la rappresentazione della Mendieta è unica, può essere condivisa cosi come può disturbare ma è una visione che non avevamo mai preso in considerazione.
L’arte viaggia su molti binari, non è solo bellezza esteriore, non è nemmeno solo un medium per trasferire messaggi, non è solo la rivelazione di una profondità spesso irraggiungibile, a volte l’arte è l’unicità, un concetto nuovo o quantomeno il modo nuovo di proporlo.
Come noterai mi dilungo con le risposte ai commenti, non ho voluto rendere troppo troppo pesante il post e grazie a voi, e con voi, ho la possibilità di completarlo.
Grazie infinite, un abbraccio.
L’arte della performance parla attraverso il corpo. Alla fine io credo sia una forma d’arte, magari se espressa in questo modo è inquietante, ma ha un linguaggio diretto, è coinvolgente. Non si può rimanere inermi. Questa artista cubana non la conoscevo, conosco la più nota Marina Abramovic, anche lei protagonista di molte inquietanti performance. Io credo siano persone straordinarie, fuori dal comune, ambiziose fino al punto di voler superare i limiti umani.
RispondiEliminaSicuramente non si ratta di un'opera poetica, va diretta verso una meta precisa, come dici tu inquieta, colpisce in profondità, senza vie di mezzo.
EliminaMendieta e Abramovic sono coetanee, la prima è nata due anni dopo, l'artista serba è naturalmente più nota anche perché è attiva tutt'ora, negli anni ha saputo, tra infinite critiche, dare una forma specifica alla discussa arte della performance, cosa che non è riuscita alla Mendieta per i motivi che conosciamo.
Mi piace la tua chiusura, sono artiste che cercano il limite, possono piacere o meno ma è innegabile che abbiano il coraggio di osare andando là dove altri non riescono o non sono in grado nemmeno di immaginarlo.
Grazie Caterina, buona serata.
Io ho usato la parola inerme, in realtà volevo scrivere “indifferente”. Mi sono confusa, chiedo venia.
RispondiEliminaEra chiarissimo il tuo intento, niente di grave, niente da scusare.
EliminaCiao, a presto.
Arte o no, è un messaggio che arriva diretta allo stomaco.
RispondiEliminaPer cui Ana ha raggiunto il suo scopo
E lo ritengo nobile
Ciao Alberto, come sempre conciso ed efficace, l'opera di Mendieta presenta due facce, la prima riguarda il messaggio che vuole trasmettere e penso che la missione sia riuscita, la seconda riguarda l'arte, non so se questo lavoro si possa considerare arte o meno ma, come ho scritto alla fine del post, se smuove qualcosa nel profondo di chi osserva probabilmente lo è.
RispondiEliminaGrazie, buona domenica.
È stato come trovarsi davanti alla scena di un delitto e rimanere impotenti per un'ora.
RispondiEliminaTerribile. Lei bravissima, tanta perfezione, tanta evidenza, non può non essere definita arte.
Mi ha scosso. Non posso dirti mi sia piaciuta, ma in ogni caso, visto che ha provocato emozioni, è sicuramente riuscita nel suo intento.
Mi spiace per quel che le è accaduto.
Mariella hai colto perfettamente il senso dell'opera, mettere l'osservatore davanti all'orrore della violenza senza poter fare nulla e impossibilitato a distogliere lo sguardo.
EliminaMi fa piacere che hai compreso anche l'importanza dell'idea, della preparazione, quello che ha realizzato Ana Mendieta non si improvvisa, dietro c'è un minuzioso lavoro concettuale e una dose di coraggio tutt'altro che secondaria.
Difficile dire che un'opera come questa possa piacerci, ciò che rappresenta è un pugno allo stomaco ma soprattutto scuote la coscienza, solo questo basterebbe per considerarla arte.
Grazie, buona giornata.