Partendo da uno spunto all’interno di un più elaborato testo di Angela Vettese, cerco di comprendere l’analisi artistica contemporanea dal punto di vista, innegabilmente contaminante, dei media.
Nel 1997,in anteprima al Center Pompidou di Parigi, viene pubblicato il video-art-document dell’artista belga Johan Grimonprez “Dial H.I.S.T.O.R.Y.”, il film è realizzato interamente con il sistema “found foottage”.Il
video racconta la storia dei dirottamenti aerei con un montaggio che incorpora
i filmati d’epoca, le conferenze stampa, i servizi giornalistici, a questo si
aggiungono parti di testi letterari e spezzoni di film di fantascienza.
Di
quest’opera, dalla durata di 68 minuti, mi ha colpito la sequenza dei disastri
aerei mostrati con un sottofondo musicale che esula dal contesto, una base
sonora rilassante che nulla ha a che fare con le scene cruenti del video,
semmai più consona alle sale d’attesa o ai centri benessere, tutto questo ci
mostra come i media possono manipolare la realtà veicolandola verso lo
spettatore nella forma che più fa comodo, la forma dunque che cancella la
sostanza.
La
realtà filtrata dal sistema mediatico non è più quella che accade ma la sua
interpretazione che spesso muta fino a sovvertirne totalmente i canoni di
partenza.
L’arte
come forma di denuncia, d’altro canto dopo secoli di commissioni nobiliari o
strettamente ecclesiastiche, dove l’artista non poteva fare altro che
compiacere chi paga, il novecento offre all’artista l’opportunità di sganciarsi
(là dove lo desidera) da chi “finanzia” i lavori portando avanti le proprie convinzioni,
i propri ideali.
Anche
questo (o forse soprattutto) è la vera innovazione dell’arte contemporanea.
E’ indubbio
che anche un’opera di protesta è filtrata dal pensiero dell’artista ma è
altrettanto evidente che il punto di vista di partenza è ben delineato.
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