venerdì 31 gennaio 2025

Il senso (filosofico) della vita


Immagina di incontrare te stesso, chi vedi?

Quanto lontano viaggeresti per ritrovare te stessa?

Vorresti poter cancellare il peggior giorno della tua vita?

La minaccia dall’esterno è più grande di quella dall’interno?

Se viaggi nel futuro puoi sfuggire al tuo passato?

Chi decide chi ha il diritto di stare al mondo?

Chi sei tu se non riesci a ricordare chi sei?


Questi sono gli incipit di altrettanti episodi di Solos (Assoli nella versione italiana) serie TV uscita nel 2021 e passata un po' in sordina.

Una serie TV che ha avuto prevalentemente recensioni negative, dove la critica maggiore fa riferimento alla noia e alla mancanza di azione.

Sette episodi, dalla durata che va da 20 a meno di 30 minuti, dove si cerca di dare una risposta alle domande che danno il via alle storie. Come tutte le “narrazioni” filosofiche incentrate sulle domande cardine della vita, qui vengono mostrate alcune delle infinite interpretazioni, la risposta definitiva, naturalmente, non è possibile da raggiungere.

Ogni episodio ha come titolo il nome del protagonista, tutti sono ambientati in un unico luogo, una stanza, il personaggio principale (l’unico per la verità, in quanto si tratta di monologhi, salvo alcune particolarità) si interfaccia con un’entità di cui si sente solamente la voce, ad eccezione appunto di qualche sporadica comparsa.

Ad unire gli episodi è l’aspetto più o meno fantascientifico, otto attori di grande livello (uno per ognuno dei primi sei episodi, mentre nel settimo si confrontano in due, unica eccezione.

Anthony Mackie è Tom, alla ricerca di contrastare l’ineluttabile, l’epilogo naturale della vita, la morte.



Helen Mirren è Peg, una settantenne che inizia un lungo viaggio alla ricerca della felicità, dove i rimpianti potrebbero essere obliati.



Costance Wu è Jenny, un tentativo disperato di cancellare i punti più bui della memoria.



Uzo Abuda è Sasha, il timore di ciò che sta al di fuori della nostra zona di conforto ci spinge verso qualcosa di più temibile?



Anne Hathaway è Leah, muoversi nello spazio e nel tempo per “aggiustare” la propria esistenza, ma qual è il costo da pagare?



Nicole Beharie è Nera, il diritto alla maternità e la responsabilità nel dare la vita e fronteggiarne le conseguenze.



Dan Stevens è Otto, Morgan Freeman è Stuart (il titolo è il nome di quest’ultimo) un confronto dove al centro si ergono i ricordi, perduti, rubati, custoditi e desiderati.



Come ho già sottolineato la serie non ha ricevuto molte lodi, anzi sono state le critiche ad avere il sopravvento, ed è proprio questo fattore che mi ha dato quella speranza di vedere finalmente qualcosa di buono.

Certo, non c’è azione, non ci sono morti ammazzati, niente sangue che scorre a fiumi o effetti speciali mozzafiato, c’è una storia dove l’aspetto filosofico della vita è al centro e vi è la recitazione, in questi frangenti gli attori sono messi alla prova, chi con ottimi risultati, chi con meno forza, sono riusciti nell’impresa di superare l’ostacolo.


martedì 21 gennaio 2025

Pittura e arte (quando l'una esclude l'altra)

“Schifano non era solo un ottimo pittore, era un artista”. Con queste parole Achille Bonito Oliva sottolinea un concetto che spesso sfugge a chi approccia l’arte, in particolare la pittura.

Mario Schifano – Paesaggio anemico, 1973-78 – Smalto su tela cm 97 x 77


Non voglio entrare nel merito dell’arte di Mario Schifano, almeno non in questa occasione, sottoscrivendo, per quanto mi riguarda, il pensiero del critico salernitano, voglio soffermarmi sul concetto che differenzia il pittore dall’artista, anche se in molti casi le due cose combaciano.

Quante volte viene attribuito lo status di artista ad una pittrice o pittore solo per il fatto di possedere una discreta tecnica? E quante volte gli stessi pittori e pittrici si autodefiniscono artisti per il medesimo motivo?

“Non sempre un pittore è anche un artista, mentre quasi sempre un artista è un pittore” (naturalmente rimanendo nell’ambito della pittura, cosa che vale anche per altre discipline, fotografia, scultura ecc.) questa frase, la cui attribuzione è incerta, fa il paio con le parole di Bonito Oliva, è arte se il pittore racconta qualcosa di interessante, di innovativo, di originale, altrimenti si tratta solo di ottima pittura.

Un'altra frase di questo tenore viene storicamente riportata ai primi del novecento e attribuita ad un membro, non esattamente identificato, delle cosiddette avanguardie storiche: "Alcuni pittori hanno deciso di abbandonare l'arte per continuare semplicemente a riprodurre la realtà". Concetto estremo ed evidentemente forzato ma che spiega in poche parole qual era l'idea rivoluzionaria di quel tempo. 

Davanti all’opera di Schifano, che propongo esclusivamente come compagna di viaggio in questo post, la reazione di molti va verso una direzione: “questa non è ne pittura ne tantomeno arte”, non essendoci alcuna certezza in questo mondo anche in questo caso non si può essere certi che la definizione sia errata. Ma perché Mario Schifano è considerato un grande artista?

Tralasciamo la stucchevole storia del mercato che indirizza da una parte o dall’altra, motivazione che non va totalmente ignorata ma che decade dopo mezzo secolo (il tempo non mente) ci dovremmo chiedere perché un dipinto come questo (non questo perché come già detto non è l’arte di Schifano al centro della scena) è a tutti gli effetti un’opera d’arte.

Lo è per il semplice motivo che ha qualcosa da dire, cosa ha da raccontare non ha importanza in questo momento, ha qualcosa da dire e questo basta.

Certo se ci limitiamo ad osservare il dipinto sperando che inizi a raccontare è naturale che non ci giunga alcunché, è nostro dovere, e piacere, iniziare un’indagine che non sappiamo quanto dura ne dove ci porterà ma sappiamo che ad un certo punto cominceremo a percepire i primi sussurri che con il tempo diventeranno vere e proprie narrazioni.

Ci piaceranno? non ci piaceranno? proviamoci e vediamo come va a finire.

lunedì 13 gennaio 2025

La dipartita dell'uomo, l'eternità dell'artista, Oliviero Toscani

C’è una sola cosa che non posso fare, una mia foto da morto.



Oggi, 13 gennaio 2025 non ci resta altro da fare che confermare ciò che disse anni fa Oliviero Toscani.

Era il suo mantra, con una macchina fotografica diceva di poter fare qualsiasi cosa tranne quella che oggi non gli è riuscita.

Persona discutibile, quantomeno negli atteggiamenti, presuntuoso, arrogante, a volte maleducato nei confronti di chi mette in discussione alcuni dei suoi lavori (anche se davanti a certe affermazioni restare nei confini dell’educazione non è facile) ma è l’artista che voglio ricordare, visionario, geniale, la sua fotografia era, ed è, arte anche quando si metteva al servizio della pubblicità.

Quasi 10 anni fa scrissi sul blog esprimendo il mio punto di vista riguardo la celebre e discussa campagna per Benetton, probabilmente il suo più alto punto mediatico, nonostante questo riuscì a coniugare la campagna pubblicitaria con l’arte della fotografia e la riflessione sul degrado della società del tempo.

Se qualcuno fosse interessato a quel post lo può trovare qui


domenica 12 gennaio 2025

L'arte è "negoziabile"? (part. 2)

Un commento ad un video su Youtube, che parlava della difficoltà di vendere un’opera ad un prezzo equo (che non pubblico perché non ne ho l’autorizzazione) apre ad una questione delicata, spesso sottovalutata, che ho riscontrato parlando con chi l’arte la crea.

Immagine dal web

È emerso il fastidio che un pittore, un fotografo, uno scultore, provano davanti a certe affermazioni o richieste.

L’esempio, estrapolato da quel commento è: “"Carino, questo quadro, me lo regali? Tanto tu li fai ...", che fa capire quanto certe persone non abbiano la minima idea della fatica, del lavoro, dello sforzo che sta dietro ad un'opera, e la considerino una cosa da poco, perfino quando si tratta di un dipinto riuscito particolarmente bene.”

A nessuno verrebbe in mente di rivolgere queste richieste in un qualsiasi altro luogo dove venga venduta qualsiasi cosa, chi andrebbe da un sarto chiedendo in regalo un vestito giustificandosi con “tanto tu li fai”? eppure ad un pittore o ad un fotografo, meno ad uno scultore, questo succede più spesso di quanto possiamo immaginarci.

Proviamo un attimo a pensare a quanto sia offensivo chiedere ad un artista che una sua creazione venga “regalata”, sarà l’artista stesso a decidere se omaggiarci della sua creatura, in caso contrario dobbiamo limitarci a chiederne il prezzo e valutare se per noi vale l’esborso o meno, chiedere di regalarlo equivale a sminuirne il valore, sia dell’opera che di chi la creata.

Per assurdo si chiede in omaggio un dipinto e non un vestito, entrambi hanno dei costi fissi, materiali, ore di lavoro nel realizzarli, aggiunti ad anni di studio e sacrifici per raggiungere quelle competenze che permettono questi risultati, ma le opere d’arte hanno un “qualcosa” in più, nei dipinti o nelle fotografie c’è parte dell’anima di chi li realizza (cosa comunque che vale anche per un sarto) perché dunque un pittore dovrebbe regalare (se non per sua scelta) una sua creazione che porta con sé il costo della tela, dei colori, l’utilizzo della cosa più preziosa, il tempo, i sacrifici di anni di studio, di frustrazioni, di fogli strappati, anni dove si sono spesi soldi e tempo per corsi di varia natura, opere che contengono parte del proprio creatore.

Con il titolo del post, L’arte è “negoziabile”?, cerco di capire quanto la gente veramente comprenda il valore dell’arte, un valore che troppo spesso viene attribuito a parole ma che nei fatti …

domenica 5 gennaio 2025

L'arte è "negoziabile"? (part. 1)

Libero dal giogo asfissiante del lavoro, in queste ultime settimane ho potuto dedicarmi alla “ricerca” di sfumature disseminate nel mondo della mia passione, l’arte.


Hans Hartung – Rayonnement, 1962 – Olio su tela cm 65 x 177 – Musei Vaticani, Città del Vaticano


Ho incontrato alcuni addetti ai lavori, insegnanti, galleristi e, naturalmente, artisti, discorrendo con loro ho cercato di sviluppare un tema che ultimamente mi incuriosisce, l’opera d’arte e il mercato.

Lo spunto è nato seguendo un’intervista di una pittrice che sosteneva la differenza tra il dipinto da vendere e quello artistico, sottolineando che se dipingeva seguendo una precisa narrazione, un fine puramente artistico, senza pensare ad un eventuale vendita, la percentuale di probabilità che l’opera potesse essere venduta è estremamente bassa.

Al contrario se alla base del dipinto c’è la ricerca di un soggetto commerciabile le probabilità di vendita si impennano.

Questo mi ha portato immediatamente ad una prima conclusone, se è arte non si vende, se segue dettami ornamentali e/o legati alla moda del momento le possibilità di guadagno sono molto più alte.

Ho proposto questa mia teoria alle persone che ho incontrato e in linea di massima l’hanno confermata, qualcuno a denti stretti (l’hanno fatto capire anche se non lo hanno detto apertamente) altri senza mezzi termini hanno ribadito il concetto che ho proposto.

Spesso confondiamo il bel paesaggio, la bella natura morta, con l’arte nel suo concetto spirituale, questo è spesso dovuto all’ancoraggio della gente verso il secolo antecedente il 900, ritratti, scene di genere, tramonti, marine, sono soggetti che vengono considerati artistici, altre forme meno “reali” fanno storcere il naso.

Dobbiamo però evitare di considerare il mercato una cosa unica, compatta, c’è mercato e mercato.

Spesso il famigerato “mercato dell’arte” ci porta ad una dimensione precisa, quella delle aste a cifre astronomiche, delle provocazione fatte a suon di milioni, ma quello è solo uno il lato elitario, quello che mediaticamente solletica la fantasia e l’indignazione della gente. In ombra rispetto ai casi più eclatanti c’è un mercato minore (a livello economico, inteso come prezzo della singola opera) che vede impegnati migliaia di artisti e di collezionisti, a questo va aggiunto il mercato dove l’acquisto non è più spinto dall’investimento o dal piacere di possedere l’opera d’arte, l’unico scopo è quello di acquistare un dipinto che si “abbini” al colore delle preti o ai mobili, insomma un mercato decorativo.

Siccome il mondo non è solo quello che ci propinano i media non possiamo non pensare ai dipinti, alle sculture, alle fotografia, che entrano nelle nostre case, nelle abitazioni di chi non ha molto denaro da investire nell’arte, la domanda, come direbbe qualcuno, sorge spontanea: La gente comune non è interessata all’arte, preferendo la bellezza decorativa, o l’arte, nel suo essere “oltre” il tempo presente, non può essere apprezzata ed “utilizzata” per scopi ornamentali?