Quando l’artista
vede il proprio contemporaneo con occhio critico e proietta lo sguardo nel
futuro.
Questo è quello che
possiamo dire di Orozco, sganciamoci definitivamente dalle posizioni politiche
che sfruttano l’artista, immergendoci cosi nell’artista stesso, liberi da
fastidiosi preconcetti.
L’immagine, di rara
potenza, di Cristo che si ribella all’utilizzo della sua immagine per scopi che
con lui nulla hanno a che fare, Cristo creatore che si fa distruttore delle
icone simbolo di una modernità corrotta, politica e religiosa, una società alla
deriva che non è più in grado di reggersi autonomamente.
Cristo viene
ritratto nell’istante in cui, impugnando un’ascia, abbatte la croce che cade al
suolo mischiandosi ad armi, e oggetti che rappresentano la società moderna, la
montagna di “rifiuti” si innalza immensa, alle spalle del protagonista lasciando
intravedere uno scorcio di un tramonto cupo, tutt’altro che bene augurante.
Era forse in atto
un cambiamento epocale? Forse è quello che si augurava lo stesso pittore
messicano, quello che accadrà nei quindici anni successivi all’opera ci conferma
che era in atto una discesa verso gli inferi.
Il corpo di Cristo
è in trasformazione, il corpo in disfacimento e, al contempo, in fase
rigenerativa, auspica il risveglio delle coscienze, a quasi un secolo di
distanza questo “murales” mantiene tutta la sua freschezza, è quanto mai attuale,
un monito costante.
Ma la natura umana sembra
perennemente immune agli avvertimenti, forse perché non in grado di gestirsi o
probabilmente perché esegue perfettamente il compito che gli è stato assegnato,
ma questa è un’altra storia.