lunedì 30 giugno 2025

Oltre gli orizzonti conosciuti

Nel maggio scorso ha visto la luce un opera musicale che entra di diritto nel novero dei capolavori di arte contemporanea.

Copertina dell'album

Una decina di anni fa Michele Vallisneri, fisico italo americano, propone a Giovanni Amighetti, musicista emiliano, un progetto tanto folle e visionario quanto geniale.

Vallisneri è ordinario di fisica gravitazionale, la tesi del dottorato su "Modellazione e rilevazione di onde gravitazionali da oggetti stellari compatti" è realizzata sotto la supervisione di Kip Thorne (premio Nobel per la scoperta delle onde gravitazionali).

La proposta di Vallisneri è legata proprio alla visione contemporanea del cosmo, la ricerca di nuove forme nello spazio, una visione che va al di là delle semplici osservazioni avvenute fino a poco tempo fa, le onde gravitazionali, i buchi neri, l’attrazione delle stelle verso i pianeti che le accompagnano.

I pianeti del nostro sistema ma soprattutto quelli che si muovono attorno ad altri “soli”, i cosiddetti esopianeti, la ricerca si basa sul “Paradosso di Fermi”, che da il titolo al lavoro che sta per nascere.

Se esistono miliardi di stelle e queste hanno quasi sicuramente almeno un pianeta che "vive" nella loro orbita, quanti pianeti esistono nell’universo? Miliardi di miliardi, è la risposta, e se anche una minuscola percentuale di questi pianeti fosse simile alla terra (se non altro per la composizione che ipotizzerebbe una, anche se elementare, forma di vita, quante possibilità ci sono che esistano altre forma di vita?

Risposta: Molte! ma allora perché finora non abbiamo incontrato nessuno?

Il sogno dei viaggi interstellari, la fluttuazione attraverso i “corpi” che costituiscono l’universo, siano essi conosciuti o in attesa di essere scoperti.

Ad Amighetti si unisce David Rhodes, grande musicista noto per essere, da quasi mezzo secolo, il chitarrista di Peter Gabriel, per aver collaborato con Franco Battiato e Kate Bush, autore di colonne sonore (chi non ricorda La gabbianella e il gatto?) Il gruppo si completa con il collettivo “E-Wired Empaty”.

Il risultato è “The Fermi Paradox”, un concept album composto da nove brani dove l’ascoltatore viaggia nello spazio a bordo della musica.

Destino, Mare di stelle, Atmosfera positiva, Cintura di asteroidi (brano che propongo) sono alcuni dei titolo dei brani presenti nell’album.

Musicalità complesse, suoni lontani dalla musica commerciale, un’esperienza unica per chi desidera viaggiare oltre la propria zona di conforto.

Dieci anni per dare vita ad un lavoro complicato, Rhodes (chitarra elettrica e voce) Amighetti (Sintetizzatori) Roger Ludvigsen (chitarre) e Paolo Vinaccia alla batteria (scomparso nel 2019) fanno parte del nucleo iniziale, a cui si sono aggiunti negli anni Roberto Gualdi alla batteria, Sidiki Camara alle percussioni, Jeff Collins al sax, Faris Amine voce e chitarra, Moreno Conficconi al clarinetto, Valerio Combass e Pier Bernardi al basso.

A seguire propongo proprio “Asteroid Belt”, brano che forse più degli altri mi permette un’immersione multisensoriale nel profondo dello spazio infinito. Sulle varie piattaforme musicali si possono tranquillamente trovare gli altri pezzi di questo impegnativo ma fantastico capolavoro.


venerdì 20 giugno 2025

Per soldi e per amore (dell'arte)

Il precedente post, dedicato all’istallazione di Maurizio Cattelan a Bergamo, mi ha dato uno spunto di riflessione (suggerimento offertomi dagli amici Franco Alberto e Pia, che grazie anche ad alcune divergenze di vedute sono fonte di idee interessanti) ha messo in luce la percezione della gente riguardo alle opere d’arte contemporanee.

Tiziano Vecellio – Amor sacro e amor profano, 1515 – Olio su tela cm 118 x 278 – Galleria Borghese, Roma


Di fronte ad un dipinto, ad una scultura o ad altre espressioni artistiche che non siano pittura figurativa, spesso la reazione porta alla conclusione che il fine ultimo sia quello che porta al guadagno e/o alla fama, insomma se qualcuno realizza un’opera poco comprensibile nell’immediato lo fa per soldi o per farsi notare.

Non è mia intenzione negare questa possibilità anzi, posso anche condividerla ma c’è differenza tra le opere contemporanee e quelle del passato?

Grandi artisti come Tiziano non lavoravano certo gratuitamente, si facevano pagare profumatamente tanto che non tutte le persone, anche benestanti, potevano permettersi i loro dipinti.

Cosa dire del tanto celebrato, anche da chi non ha il minimo interesse per l’arte, Michelangelo Buonarroti che, chiamato da Papa Giulio II per affrescare la volta della Cappella Sistina, si lasciò convincere solo dopo l’offerta di un lauto compenso, infatti inizialmente aveva rifiutato la commissione in quanto: “sono uno scultore, non sono un pittore”.

Mentre riguardo a Tiziano e Michelangelo a nessuno viene in mente che abbiano realizzato i loro capolavori per fama o denaro, succede esattamente il contrario se i dipinti o le istallazioni sono realizzate da artisti del nostro tempo.

Siamo tutti affascinati dall’idea che il nostro lavoro venga apprezzato da più gente possibile, l’ego umano è smisurato, cosi come tutti cerchiamo di monetizzare il nostro lavoro, ma questo non impedisce che dietro gli sforzi ci sia qualcosa in più.

L’arte andrebbe “vista” con lo sguardo più ampio possibile, tralasciando quei retro pensieri che oggi vanno tanto di moda, vedere di ogni cosa solo il lato oscuro, considerandolo il solo lato possibile.

Gli artisti da sempre hanno legato le loro opere al profitto ma un appassionato deve andare oltre, a me non interessa se Picasso ha guadagnato un sacco di soldi vendendo i suoi quadri, ne tantomeno se i dipinti di Cezanne vengono battuti all’asta per milioni di euro, sono più attratto dai concetti che questi pittori hanno espresso, sono interessato dalle dinamiche emerse dalle loro opere, dinamiche che hanno influenzato l’arte a venire, ma non solo l’aspetto artistico, anche, e soprattutto, quello sociale e culturale.

Il presente è e sarà sempre figlio del passato e genesi del futuro.

domenica 8 giugno 2025

Abbandoniamo la superficie per comprendere le profondità

All’alba del 6 giugno, al centro della Rotonda dei Mille che ospita il monumento di Giuseppe Garibaldi a Bergamo, gli abitanti della città lombarda hanno avuto una sorpresa (piacevole o meno dipende dai punti di vista).



Sulle spalle della statua del “Re dei due mondi” appare un bambino che con la mano destra mima una pistola, dopo i primi attimi di smarrimento ecco svelato l’arcano: si tratta di un’installazione di Maurizio Cattelan.

Come ogni opera realizzata dall’artista padovano anche questa suscita immediatamente reazioni differenti, anche se soprattutto negative, alla mente tornano i bambini impiccati apparsi a Milano nel 2004 (ne ho parlato qui)

L’installazione inaugura la mostra diffusa “Season” che dal 7 giugno al 26 ottobre sarà visibile nella città “Dei Mille”.

Cos’è che scatena il fastidio di molti? Un bambino che “spara”? Il gesto dissacratorio che tocca uno dei simboli cittadini? O lo sdegno per qualsiasi cosa non sia comprensibile nell’immediato?

Non sarò certo io a scandalizzarmi per un’opera d’arte anzi, sono proprio queste occasioni, dove al primo sguardo non si hanno le giuste coordinate, in cui possiamo iniziare ad esplorare gli anfratti di una visione, nostra e altrui, che rimangono in ombra.

Chi o cosa rappresenta il bambino “armato” a cavalcioni sul monumento di una figura simbolo della città ma non solo? La difesa o l’aggressione delle nuove generazioni a tutto ciò che è il passato, oppure il bambino che impugna un’arma, anche solo metaforica, ci riporta ai tristi fatti di cronaca che denunciano un degrado morale in cui sono proprio i bambini a farne le spese (qui l’accostamento all’opera di Milano pare evidente).

Naturalmente non possiamo escludere l’aspetto giocoso ma sembra più legato alle generazioni passate, semmai è il tentativo di emergere, con la forza, in un mondo che non sembra conoscere alternative alla forza stessa.

Dietro alle opere di Cattelan c’è sempre un messaggio anche se fatica ad emergere, la totale assenza di riferimenti da parte dell’autore ingarbuglia ulteriormente i tentativi di darne una definizione logica, in fondo Cattelan ha sempre fatto della provocazione un suo cavallo di battaglia, ma solo se ci si ferma alla superficie non si vede altro. Dai “bambini” già citati al dito medio in Piazza Affari, dal papa colpito da un meteorite fino alla celeberrima “banana” (curioso che le opere siano conosciute con nomi differenti dal titolo scelto dall’artista) apparentemente sembra che l’unico obbiettivo sia provocare ma in ogni singolo caso dietro c’è un preciso percorso, artistico, sociale e culturale.

Come richiesto a qualsiasi un’opera d’arte anche questa fa discutere, se riuscisse anche a far riflettere …

venerdì 30 maggio 2025

... è la gente che se ne frega.

Come due rotaie, legate dalle traversine, questa canzone è a tutti gli effetti un “binario” narrativo.

Foto dal web

Venezia, resa celebre dalla versione di Francesco Guccini, debutta nel 1979 all’interno dell’album Il sogno di alice del gruppo genovese Assemblea musicale teatrale di cui fa parte Gian Piero Alloisio, autore del brano.

Il gruppo collabora da qualche anno con Francesco Guccini che inserirà la sua versione, leggermente modificata, nel 1981 nell’album Metropolis.

Come dicevamo il testo viaggia su due linee parallele, la tragica storia di Stefania che a soli vent’anni muore di parto in un “grande ospedale” (Alloisio scrive la canzone dopo la morte di una giovane cugina deceduta proprio mentre stava partorendo) si affianca alla decadenza della città lagunare, entrambe le cose seguono la strada dettata da un destino apparentemente segnato, l’indifferenza della gente.

Indifferenza di un ospedale che tratta i pazienti come una “cosa” che va e che viene, merce non persone, indifferenza di chi abbandona a sé stessa la giovane donna che muore “da sola” lontana da chi avrebbe dovuto sostenerla.

Ma l’indifferenza è protagonista anche nella decadenza di Venezia, trasformata in un oggetto di consumo, dove tutto è superficiale, da utilizzare e poi buttare quando non ci diverte più “Venezia è un albergo, San Marco è anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra …”.

Il brano non lascia spazio alla minima dose di speranza, è una constatazione di un dato di fatto, la mercificazione culturale, dei sentimenti e delle emozioni, tutto ha un prezzo, chi può permetterselo ne fa uso e poi getta tutto, magari nemmeno differenziando e perché no, scaricando l’umanità nelle acque della laguna.

A seguire il testo della versione di Guccini e le due interpretazioni


Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare
La dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti
Che cercano in mezzo alla gente l'Europa o l'Oriente,
Che guardano alzarsi alla sera il fumo, o la rabbia, di Porto Marghera

Stefania era bella, Stefania non stava mai male
È morta di parto gridando in un letto sudato d'un grande ospedale
Aveva vent'anni, un marito, e l'anello nel dito
Mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti

Venezia è un albergo, San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria
La gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra
Stefania d'estate giocava con me nelle vuote domeniche d'ozio
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare
Però non ti puoi risvegliare con l'acqua alla gola, e un dolore a livello del mare
Il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
C'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
Vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità
Del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino
Può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti.



martedì 20 maggio 2025

Il genio non ha confini

28 giugno 2009, Stephen Hawking, all’interno di una sala dell’università di Cambridge, siede in attesa degli invitati ad un party che lo stesso fisico aveva organizzato, nessuno si presenta, è a questo punto che Hawking decide di spedire gli inviti ...

Immagine dal web

Evidentemente in questa narrazione c’è qualcosa che non quadra, a provare chiarire l’enigma ci pensano le parole scritte sugli inviti stessi: “Ecco l’invito che ti fornisce le coordinate esatte nel tempo e nello spazio per partecipare alla festa. Sei cordialmente invitato ad un ricevimento per i Viaggiatori del tempo. Spero che copie di esso, in una forma o nell’altra, sopravvivano per molte migliaia di anni. Forse qualcuno che vive nel futuro troverà le informazioni e userà una macchina del tempo o un warmhole per venire alla mia festa, dimostrando che viaggiare nel tempo un giorno sarà possibile”.

Il geniale matematico inglese dunque ha potuto constatare che in futuro non ve certezza che si possa viaggiare nel tempo. Questo però non dice il contrario, possono essere molte le cause che hanno impedito ai visitatori di giungere al party quel giorno, gli inviti potrebbero essere scomparsi prima della costruzione di un “veicolo” che conduca indietro nel tempo, oppure che le macchine del tempo possano trasportare l’uomo non più indietro della data di costruzione delle stesse, naturalmente è valida la tesi che viaggiare nel tempo sia impossibile.

Ma quest’idea, per assurda che possa apparire, è semplicemente geniale, se al posto di Hawking ci fosse stato qualcuno con lo scopo di mettere in scena una performance, potremmo definire il tutto un’opera d’arte?

Possiamo condurre questo avvenimento al movimento dadaista? Chi mi conosce sa già quale sia la mia risposta: assolutamente si!

L’organizzazione di questo party privato, dove tutti sono invitati ma a posteriori, è stata inserita in un contesto scientifico (o fantascientifico, dipende dai punti di vista) se lo togliamo da quella cornice e lo inseriamo in un ambito museale non è possibile non prendere in considerazione la realizzazione di un’opera di stampo artistico.

Inconsapevolmente, o forse no, Hawking realizza un capolavoro concettuale che, in quanto strettamente legato alla fisica, è ignorato dai più.

Un’opera, se realizzata per scopi differenti, viene sottratta dal suo contesto naturale e inserita in una sfera “artistica” diventa arte, a chi ci rimanda tutto questo?

sabato 10 maggio 2025

La materia, il verbo e la poesia

Passeggiando sul lungolago di Salò, deliziosa località sul lago di Garda, ci si imbatte in una scultura, pressoché ignorata da tutti.



Si tratta del mezzobusto in bronzo che ritrae Gasparo Bertolotti, noto come Gasparo da Salò, maestro liutaio ritenuto, da alcune fonti, l’inventore del violino.

L’opera in bronzo realizzata da Angiolino Aime è la copia esatta di quella in marmo di Carrara, di Angelo Zanelli, che si trova nel palazzo municipale del comune bresciano.

Contrariamente a molti monumenti celebrativi che rappresentano il soggetto principale in posa maestosa, Gasparo si presenta nell’atto di estrarre o conficcare il violino nel petto, la posa e solenne e poetica, come se l’artista e la sua creatura fossero tutt’uno.

A rendere ancor più magica l’apparizione sono le parole di Gabriele d’Annunzio incise sul piedistallo che sorregge la scultura.

“… non si sa se stia aprendo

 il petto per trarne il violino

 o se stia aprendo il violino

 per mettervi il cuore.”

Questa frase porta ad altezze vertiginose la poetica dell’opera, l’uno parte dell’altro, indivisibili.

Come dicevo non sono in molti a fermarsi davanti alla scultura (a debita distanza mi sono fermato per verificarlo e nonostante la marea di gente che le transitava davanti, nessuno pare si sia accorto della sua presenza) ed è un peccato perché per un attimo ci si isola dal frastuono che ci circonda immersi nella purezza della poesia.

mercoledì 30 aprile 2025

Accesso, uscita, passaggio e trasformazione

Se cercate sul web “Porta di Lampedusa” troverete ovunque questa descrizione: “Porta di Lampedusa o Porta d’Europa, un monumento alla memoria dei migranti che hanno perso la vita in mare”.


Mimmo Paladino, autore dell’opera realizzata nel 2008 e posizionata sulla costa di Lampedusa nel punto più a sud dell’isola, e di conseguenza d’Europa, ha sempre sostenuto che non si tratta di un monumento m di un “oggetto” che porta con se molteplici significati.

Alta 5 metri e larga 3 è realizzata in ferro zincato per la struttura e ceramica refrattaria per il rivestimento, la descrizione di quest’ultimo materiale ha due motivazioni, quella che vuole il materiale riflettente che rimanda al largo la luce del sole di giorno e quella della luna di notte, un faro per illuminare la strada a chi più ne ha bisogno.

Paladino aggiunge che la terracotta è stata usata per la sua “mortalità”, infatti la ceramica nel tempo tenderà a deteriorarsi fino a scomparire, un po’ come la natura umana.

Dicevamo che l’artista beneventano ci tiene a sottolineare che non si tratta di un monumento ma bensì di un portale sempre aperto per chi ha bisogno di un rifugio sicuro (in entrata) e per tutti quelli che vogliono aprirsi al mondo.

Un omaggio alle migliaia di vittime, spesso ignorate, che quotidianamente soccombono nelle acque del Mediterraneo ma anche una speranza di un’apertura nelle coscienze offuscate da un vivere per sé stessi.

lunedì 21 aprile 2025

La percezione e gli equilibri instabili

Qualche anno fa, in occasione di una visita ad una mostra itinerante dedicata alla follia, mi sono imbattuto in un dipinto che si inseriva benissimo nel contesto della manifestazione, il quadro ci mostra due persone una seduta, l’altra appoggiata allo stipite di quella che sembra una porta d’accesso ad una dimensione “altra”, l’entrata era solo una delle tante che si susseguono costruendo cosi un corridoio quasi infinito, il tema della mostra, la follia o la pazzia, ci indirizza verso una direzione precisa, quella del viaggio della mente.



Il dipinto non è certo un’opera di grande valore tecnico, ho visto decisamente di meglio ma c’è in giro anche di peggio.

Al di là della sensazione di disagio, di un claustrofobico fastidio, la tela non ci dice molto, non entra nell’anima dell’osservatore, si limita a dirci qualcosa ma lo fa senza convinzione.

Superato il primo approccio visivo vado con lo sguardo sulla targhetta che descrive l’opera, il titolo è “Untitled”, l’autore Adolf Hitler.

Inutile dire che la percezione del dipinto non può essere la stessa se lo accostiamo ad un nome che è l’incarnazione della pazzia nella sua versione più tragica, conoscendo il nome del pittore non muta il giudizio estetico e tecnico, il concetto che sta dietro (o dentro) al quadro prende un’altra forma.


Il cortile della vecchia residenza di Monaco, 1907

Oltre a quel quadro ne propongo un altro dello stesso autore, un acquerello dai toni meno opprimenti, un’opera che se realizzata da qualcun altro  potremmo anche definirla gradevole. Ma sapendo che anche questo paesaggio è opera di Hitler le ombre sulla parete della costruzione prendono forma trasformandosi in qualcosa di malvagio?

Quanto siamo condizionati dal nome di un artista? Quante volte davanti ad una tela la nostra interpretazione e il nostro apprezzamento non muta, anche solo in minima parte, nell’istante in cui conosciamo l’autore?

Un grande artista innalza un’opera in quanto siamo propensi ad approfondire il perché è stata realizzata in quel modo, non dico che cambiamo opinione ma le conoscenze di chi la realizza ne moltiplica i punti di osservazione.

Nel caso specifico delle opere di Hitler è praticamente impossibile scindere l’oggetto dal suo creatore, cosi come è impossibile separare l’artista dall’uomo, al punto che in moltissimi hanno chiesto la rimozione del dipinto in quanto realizzato da tale essere e non per ciò che voleva rappresentare.

Lo stesso curatore della mostra, Vittorio Sgarbi, disse che il quadro era un’autentica porcheria (ha usato altri termini ma il senso è quello) ma che ha deciso di inserirlo in quanto lo steso pittore era parte integrante della narrazione della mostra.

Questo dimostra che non solo l’uomo dietro l’artista, e a sua volta dietro il quadro, riesce ad influenzare la percezione ma addirittura è l’aspetto umano a prendere il sopravvento.

Non so se sia più o meno giusto ma la tela non era esposta perché rappresentava la follia, era parte della mostra in quanto il suo autore ne ere un tragico e sconvolgente esempio.