martedì 10 gennaio 2023

Ad ogni epoca il proprio simbolo, Otto Dix e Sylvia von Harten

Otto Dix – Ritratto di Sylvia von Harten - Olio e tempera su tavola cm 121 x 89 
Centre Pompidou, Parigi



 

Sylvia von Harden, la giornalista che deve la sua immortalità al pittore Otto Dix e che a sua volta è il soggetto più noto dell’artista tedesco.

Siamo a metà del secondo decennio del 900, Dix con la sua pittura vuole rappresentare la realtà in cui lui stesso e tutto il popolo tedesco si trovano immersi.

Il ritratto della von Harden ne è la perfetta sintesi, la raffigurazione di un mondo al limite del grottesco, un’auto caricatura del regime, che deve ancora mostrare il suo peggio.

Il presunto dialogo tra il pittore e la giornalista, che i posteri ci hanno lasciato, è l’emblema di ciò che Dix voleva raccontare con questo ritratto:

“Devo dipingerti. Rappresenti un’intera epoca!

Vale a dire, che vuoi dipingere i miei occhi spenti, le mie orecchie bizzarre, il mio lungo naso e le labbra sottili. Vuoi dipingere le mie mani grandi, le mie gambe corte e i piedi enormi. Nessuno ne sarebbe deliziato, semmai molti si potrebbero spaventare.”

Che il nostro Otto abbia calcato la mano è evidente, il ritratto fotografico di August Sander, nell’immagine in basso, ci svela la forzatura, ma il ritratto non è quello della giornalista e nemmeno della donna von Harten, è l’immagine simbolo della Repubblica di Weimar.

Nel dipinto non vi è nulla che faccia emergere la professione di Sylvia, si nota una “femminilità” emergente che scombussola ogni visione canonica, tutto è rigido, artefatto, tutt’altro che naturale, la bellezza e la bruttezza (termini che dicono tutto e niente) sono scomparsi, esiste solo una costruzione artificiosa, senz’anima.

Che questo ritratto sia un simbolo di un determinato periodo storico viene confermato da una scena del film Cabaret (1972) di Bob Fosse dove in un angolo fumoso di un locale troviamo la perfetta riproduzione della von Harten targata Dix.

a sinistra:“ Il volto del nostro tempo ” Ritratto fotografico di Sylvia Von Harden (1925) di August Sander. a destra una scena dal film Cabaret di Bob Fosse (1972)


2 commenti:

  1. Magari anche vaghi accenni a nefaste croci uncinate..

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    1. Io toglierei il "magari", ho sempre pensato che un grande artista sia tale per saper raccontare il proprio tempo andando più in là della percezione della "gente comune", questa è una prerogativa fondamentale, superiore anche alla tecnica (che nei grandi artisti difficilmente è assente).
      Grazie franco, buona giornata.

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