Noto per le
controverse opere che hanno “solcato” l’arte di inizio novecento Duchamp ha
dato vita a numerose realizzazioni che hanno spiazzato anche i più fedeli
sostenitori.
Quest’opera ha una
genesi particolare, siamo nel 1921, Katherine Dreier ( artista, mecenate e
cofondatrice, con Man Ray e lo stesso Duchamp, della “Société anonyme: a Museum
of Modern Art”) chiese all’artista francese di costruire un oggetto da regalare
alla sorella Dorothea (anch’essa pittrice) Duchamp accettò ma volle massima
liberta interpretativa, il risultato fu “Perché non starnutire?”
Dorothea rifiutò il
regalo senza pensarci due volte, l’opera rimase dunque nelle mani di Katherine
e fece parte della personale collezione d’arte fino al 1937 quando fu
acquistata da Walter Arensberg.
Il curioso
manufatto non ebbe grande successo, in verità il fatto di essere stato sempre
parte di collezioni private ne ha limitato la “vista” del pubblico.
E’ innegabile che
l’opera stessa sia di difficile lettura
oltre che poco attraente, se aggiungiamo il titolo che invece di aiutare
la comprensione sembra renderla ulteriormente complicata il risultato è
quantomeno spiazzante.
Le spiegazioni di
Duchamp riguardo la scultura non aiutano (non c’erano dubbi al riguardo)
“Questa piccola gabbia d’uccelli è piena di zollette di zucchero, ma le
zollette di zucchero sono fatte di marmo, e, se le fate cadere sarete, colpiti
dal loro peso. Il termometro invece serve per misurare la temperatura del
marmo”.
L’opera, il titolo
e la spiegazione sembrano annullarsi a vicenda, alla fine continuiamo a non
venirne a capo.
Non ci resta che
tentare la strada della “lettura” personale legata alle sensazioni che maturano
dalle informazioni raccolte e dall’aspetto visivo.
La dolcezza delle
zollette di zucchero viene negata dalla sensatezza del marmo, il termometro
racconta dell’assenza o dell’eccesiva presenza di calore, si tratta di un
oggetto legato in qualche modo alla “malattia” difficile accostarne la presenza
a qualcosa di lieto.
L’osso di seppia e
la gabbia sono indissolubilmente legati al volo negato, come un uccello in
gabbia che vive ma viene privato della libertà, questo particolare fa tornare
al titolo, o meglio alla parte finale “Rose Selavy”, lo pseudonimo femminile
utilizzato da Duchamp aggiunto alla prigionia della gabbia potrebbe esprimere
la condizione della donna nel mondo, in questo caso nel mondo dell’arte.
Arte che viene
rappresentata dai cubetti di marmo, il contemporaneo con l’avvento del cubismo
ma anche quella classica con il marmo, materiale principe.
E’ una lettura
complicata, forse un po’ troppo forzata considerando che c’è sempre quel
“Perché non starnutire?” che annulla ogni accenno interpretativo obbligandoci a
ricominciare da capo.
Alla fine dobbiamo
arrenderci al fatto che Duchamp ha realizzato quest’opera, come molte altre,
senza un concetto preciso, in questo caso sembra che l’unico obbiettivo sia
quello di lasciare che il numero di
interpretazioni aumentasse in continuazione,
il senso forse è proprio questo, dare vita ad un’idea senza logica apparente e
starsene tranquillo in disparte per vedere “l’effetto che fa”.
Nelle complesse
lande della “lettura dell’opera” corriamo il rischio di perderci in
labirintiche ricerche dove verremmo sopraffatti da un soffocante strato di
“polvere”, ma la via d’uscita ce la offre lo stesso Duchamp: “Perché non
starnutire?”.
Cavoli. Se si tratta di allergie mi vedrai starnutire in continuazione... ahahahahah...
RispondiEliminaL'intenzione dell'artista è provocare. E qui lo fa in modo assoluto. Interessante l'opera che non conoscevo. Grazie Romualdo! Ciao e buon fine settimana.
Ciao Pia, visto che a chiederlo è lo stesso Duchamp starnutisci pure, si tratta di un'opera complessa (come tutte le opere di Duchamp) conoscendo la tua competenza artistica (indipendentemente dal fatto di conoscere o meno il lavoro) sapevo che ti avrebbe incuriosito.
EliminaPenso che sia fondamentale nel viaggio nell'arte saper vedere dove all'apparenza da vedere non c'è nulla, aiuta a comprendere la profondità di opere che apparentemente ci mostrano tutto ma nascondono nell'ombra il vero significato.
Grazie a te, buona serata.
RispondiEliminaFalsa dolcezza, falso calore, falsa educazione (il non dover starnutire)... E leggerci una semplice visione della casa che in realtà è solo una gabbia?
Ciao Aberto, potrebbe essere come dici tu, l'essere imprigionati da convenzioni che danno l'impressine di essere liberi ma che in verità liberi non siamo.
EliminaDuchamp spesso (questa è una mia impressione) si divertiva a scombussolare i piani degli osservatori, mettere in difficoltà chi si avvicinava alle sue opere era forse il suo più grande capolavoro.
Grazie, buona giornata.
Spingere l'osservatore a interrogarsi, a chiedersi il senso dell'opera, è una grande dote.
RispondiEliminaE solo un grande artista ci può riuscire senza farlo scappare.
Esatto Alberto, dici bene, è tutt'altro che scontato nascondere il senso dell'opera tenendo incollato lo spettatore, penso anche che lo spettatore stesso debba avere una visione "ampia" per affrontare certi "lavori".
EliminaDada non voleva farsi inquadrare da nulla. Da una gabbia si esce ma non convenzionalmente, oppure si resta dentro incastrati nel marmo scambiato per zucchero. Magari un gioco di parole, un richiamo, un ricordo.. tutte robe non decifrabili, tranne lo starnuto. Universale. Come Dada.
RispondiEliminaBravissimo Franco, in fondo ciò che trasmette quest'opera altro non è che un codice che non vuole essere decodificato, il movimento Dada cercava, o tracciava, una strada nuova che la società di allora, e fondamentalmente anche quella odierna, non riusciva a comprendere.
EliminaLa tua chiosa è perfetta, grazie.
Buona serata.