sabato 16 novembre 2019

La strumentalizzazione dell'arte, Pellizza da Volpedo.


Autore:  Pellizza da Volpedo (Giuseppe Pellizza)
(Volpedo, 1868 – Volpedo, 1907)

Titolo dell’opera: Il quarto stato – 1901

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 293 cm x 545 cm

Ubicazione attuale:  Museo del Novecento, Milano






Usato e abusato dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso fino ad oggi prevalentemente per scopi propagandistici, ha con il tempo perso il suo vero e fiero valore sociale, l’opera di inizio 900 aveva, e ha tutt’ora, un’energia rivoluzionaria che l’opportunismo odierno ha trasformato in un simbolo “altro”.

In un periodo in cui solo il clero, la nobiltà e la borghesia avevano il diritto di fare e disfare a loro piacimento, il pittore di Volpedo vuole dare voce ai contadini, ai braccianti che erano esclusi dal potere decisionale.

Pellizza arriva a questa tela passando per altre due opere, “Ambasciatori della fame” e “La fiumana”, vere evoluzioni di un pensiero ben preciso, la condizione dei ceti più “bassi”, la fame sempre presente, la vita di stenti e fatiche a cui erano obbligati, richiedono una reazione che avvicini a una uguaglianza tra questi ultimi e i tre “stati” che godevano di ben altre risorse (spesso a scapito dei più poveri).

La rivoluzione di Pellizza non è violenta, sia i tre protagonisti in primo piano che la gente che li segue mette in mostra la determinazione di sa di avere la ragione dalla propria parte, nel contempo marcia fiera ma senza segni di belligeranza.

L’uomo al centro appare sicuro di se, è deciso a far valere i propri diritti senza voler usurpare i diritti altrui, l’uomo alla sua destra è l’emblema della saggezza popolare che accompagna la determinazione, mentre la donna con in braccio un bambino (la modella è la moglie del pittore stesso) mette in prima linea la presenza fondamentale della donna e quella delle generazioni future.

Che il clima sia consapevole e addirittura calmo e sereno (calma e serenità, anche in momenti turbolenti, vengono dalla ragione) si denota dai volti delle persone, dal modo in cui discutono tra loro e dalla presenza di bambini.

Ogni opera va contestualizzata, siamo ai primi del 900 e questo dipinto ci parla del tentativo di raggiungere un livello sociale, culturale e morale che sia uguale per tutti, letta dopo sessant’anni o dopo un secolo deve dare i giusti spunti di riflessione, ogni strumentalizzazione impoverisce il concetto rendendolo sterile.




Ambasciatori della fame, 1892
Olio su tela, cm. 51,5 x 73
Collezione privata


Fiumana, 1898
Olio su tela, cm. 255 x 438
Pinacoteca di Brera, Milano

6 commenti:

  1. Bellissimo, caro Romualdo qui ce tutto che parla dei lavoratori, una opera immortale.
    Ciao e buon fine settimana con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso, hai perfettamente ragione, un capolavoro assoluto.
      Ridotto a pura propaganda ha perso il senso del messaggio originale, "letto" liberamente ritorna a essere un documento artistico, sociale e culturale di grande rilievo.
      Grazie, un abbraccio a te, buona giornata.

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  2. Un opera che è un vero manifesto. Tu ringrazio per queste tue riflessioni. Buona domenica.
    sinforosa

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    1. Ciao Sinforosa, grazie a te per la visita, un manifesto che nel tempo ha perso parte del suo splendore (artistico e concettuale) dovrebbe avere un risalto maggiore, nei "percorsi" dell'arte internazionale si trova un po' ai margini, meriterebbe sicuramente più spazio.
      Buon week end

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  3. L'arte ha il compito di comunicare.
    Quest'opera fa il suo giusto lavoro e lo fa talmente bene che chiunque lo adotti, anche sbagliando, ha il suo riscontro. Però hai ragione. Bisogna considerare il tempo e le idee dell'artista e la sua intenzione era quello di mostrare un popolo che non è formato solo industrialì e banchieri. Anzi il motore del mondo è la gente comune. E loro bisognerebbe onorare e ringraziare sempre. Se non accade ancora vuol dire che non c'è stata crescita e forse stiamo regredendo. Non è un manifesto ma un discorso, un'evidenza di vita. Quella vera. Cambiano le vesti degli uomini e delle città ma il cammino fiero e combattivo di uomini e donne comuni è sempre lo stesso. E qui dico: meno male!

    Ti abbraccio Romualdo, grazie dello spunto di riflessione.

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    1. Ciao Pia, c'è poco da aggiungere a ciò che hai scritto, il tuo intervento è inappuntabile.
      Penso che se quest'opera fosse "liberata" dall'essere percepita come simbolo "politicizzato" otterrebbe i riconoscimenti artistici che meriterebbe.
      Inoltre va aggiunto il fatto che in Italia si fatica a valorizzare ciò che ha valore, pensa cosa sarebbe, a livello mondiale, se il dipinto fosse custodito altrove, ad esempio al Louvre o al Museo del Prado.
      Grazie a te per i commenti mai banali.
      Un abbraccio, buona serata.

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