giovedì 30 ottobre 2025

Un piccolo passo per l'arte, un grande passo ...

Un’opera che scompiglia le carte nel mondo artistico del tempo, una visione che decide di andare oltre l’armonia dei canoni umanistici che permeavano la pittura in quel periodo storico ricordato come il Rinascimento.

Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Jacopo) – Deposizione dalla croce (Deposizione di Volterra) 1521

Olio su tela cm 375 x 196 – Pinacoteca e Museo civico, Volterra

La realtà non è più raffigurata come l’artista la vedeva ma ad emergere è ciò che il pittore “sente”, concetto che torna prepotentemente agli inizi del 900.

Le forme, i movimenti, il colore, tutto sembra irreale in un contesto riconoscibilissimo, la prospettiva non è più rigorosa, gli abiti, le vesti e i corpi che li indossano non rispettano le proporzioni, la sensazione prende il posto della "visualizzazione".

La croce, dalle fattezze “pesanti” è al centro della scena ma non ne è la protagonista, la sua grave presenza ad un tratto sembra svanire, i bracci stessi escono dalla tela.

Tre sono le scale utilizzate per schiodare Gesù, qui l’artista cogli l’attimo concitato dove, staccati i chiodi, ci si accinge a deporre il corpo morto.

La scena si divide in due, in alto la narrazione della deposizione, in basso lo sconforto e la tragedia vissuta da chi gli era più vicino.

Il personaggio più in alto, Nicodemo, si sporge con decisione e sembra avvertire gli altri che il modo in cui agiscono non è quello ideale, dall’espressione allarmata sembra chiedere cosa stiano combinando.

L’aiutante sotto Nicodemo si sobbarca tutto il peso e, facendo leva sulle gambe appoggiate sui pioli della scala riesce nel difficile intento, a sinistra Giuseppe D’Arimatea appare addirittura infuriato, in equilibrio precario allunga il braccio cercando di bloccare la caduta del Cristo, cosi facendo però con il ginocchio destro urta l’atro aiutante che sembra perdere l’equilibrio, con il serio rischio di finire addosso a quelli in basso. Da segnalare il giovane ragazzo, il cui compito è quello di reggere la scala, che si distrae incurante di ciò che succede sopra di lui.

Maria ai piedi della croce crolla dal dolore perdendo i sensi, è sorretta dalle due pie donne che le stanno accanto, Maria Maddalena invece si dispera gettandosi ai piedi della madre di Cristo anche lei privata delle forze dall’intensità del dolore.

Voltato dall’altra  parte troviamo San Giovanni Evangelista che in solitudine si abbandona alla disperazione. Alcune fonti critiche sostengono che Giovanni, rappresentato con un’insolita capigliatura rossa, sia un autoritratto dell’artista, infatti il pittore, che di nome fa proprio Giovanni, è chiamato “Rosso” proprio per il colore dei capelli.

Il paesaggio quasi assente, l’estrema vivacità cromatica, sono alcuni dei particolari che mostrano una visione che nessuno, fino ad allora aveva messo in scena, il colore stesso della carnagione del Cristo morto è una fuga dalla realtà, di allora, rimanendo ancorati ad un chiaro realismo.

lunedì 20 ottobre 2025

La censura nel terzo decennio del XXI secolo

Quale “disegno” si cela dietro l’ottusità censoria nella storia dell’umanità ed in particolare al giorno d’oggi dove, l’accesso ad ogni genere di immagini è disponibile praticamente a chiunque?

Gustave Courbet – Donna con calze bianche, 1864 – olio su tela cm 65 x 81 – Barnes Foundetion, Philadelphia


Mi è capitato, facendo una ricerca su Gustave Courbet, di trovarmi di fronte a riproduzioni fotografiche di opere a cui avevano apposto un bollino nero (o una sfocatura strategica) su alcune parti del corpo nudo femminile.

Nell’epoca della pornografia accessibile a tutti come è possibile che un nudo pittorico debba essere ancora censurato?

Ho provato ad entrare nella testa di questi soggetti (all’inizio è difficile in quanto la parete cranica è spessa, ma una volta entrati c’è tutto lo spazio che uno desidera) e prendere in considerazione le loro motivazioni, asseriscono che gli interventi censori sono indispensabili (sempre parole loro) per evitare traumi e shock a persone sensibili davanti a tali dipinti.

Ammesso e non concesso che questo nel 2025 abbia un senso, mi chiedo perché non vi è un intervento simile su altri quadri che mostrano scene probabilmente più crude, un esempio può essere il capolavoro di Michelangelo Merisi, al secolo Caravaggio, il suo “Giuditta e Oloferne” è sicuramente potente, la violenza emerge in tutta la sua forza (non entro nel merito delle opere prese in considerazione). Davanti a questo dipinto una persona “sensibile” non potrebbe subire il tanto decantato shock?

Caravaggio – Giuditta e Oloferne, 1599-1602 ca. – Olio su tela cm 145 x 195 – Palazzo Barberini, Roma

Evidentemente la teoria sostenuta dai sempre attenti e presenti censori fa acqua da tutte le parti, infatti dove c’è censura c’è un nudo da nascondere (non vanno dimenticati i solerti bacchettoni che, probabilmente a causa di frustrazioni personali, segnalano indignati ogni possibile nudità).

Paradossalmente questi comportamenti si sono intensificati negli ultimi decenni, trenta o quarant’anni fa la censura agiva con meno attenzione, oggi le maglie si sono strette, a dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, di una regressione sociale e culturale senza freni.

venerdì 10 ottobre 2025

Ai posteri ...

Giorgio Gost, artista parmense celebre per le sue Capsule del tempo, ha “incapsulato” accendini, bottiglie di liquore, penne, bottiglie di vino, stemmi di case automobilistiche, generi alimentari confezionati, dichi in vinile, riproduzioni di opere d’arte moderna e contemporanea, fino ai Bossoli, di cui voglio parlare.

Giorgio Gost - Bossoli, 2019

Inseriti in scatole di plexiglass i vari oggetti, sono frutto di un’economia, quella del secondo novecento, che ha fatto del consumo di massa il suo vessillo.

L’opera Bossoli è del 2019, posteriore agli anni citati in precedenza e in leggero anticipo ad oggi dove i bossoli portano immediatamente alla cronaca di questi giorni.

IL titolo completo di queste opere  è Capsula del tempo per l’anno 6000, un tentativo di lasciare ai posteri degli oggetti di uso quotidiano, in memoria di un’umanità che di memoria non ne ha molta e che forse all’anno 6000 non ci arriverà neppure (ho la vaga sensazione che ce ne andremo molto prima).

Ma perché i bossoli, tracce di armi già utilizzate, specchio della folle miopia umana, colpiscono lo spettatore nonostante siano stati presenti quotidianamente da quando sono stati inventati?

La risposta è che non ci si abitua alla violenza, e questo è motivo di speranza, ma allora perché le cose continuano ad accadere?

L’arte (che al contrario di ciò che siamo abituati a credere non è solo bellezza) ha il potere di scuotere gli individui che ancora hanno voglia di essere scossi, persone che andando in profondità subiscono gli urti del male (rappresentato appunto dalle armi) ma non cedono al fascino che emana, pur sapendo che tutto ciò non è esclusiva dei nostri giorni ma è un’eredità lasciata dal passato e che, purtroppo, lasceremo al futuro.

Non so se la scatola del tempo servirà a spronare gli abitanti del tempo che verrà ad evolversi finalmente o se sarà solo un monito, come è già successo, che verrà bellamente ignorato.