Come due rotaie, legate dalle traversine, questa canzone è a tutti gli effetti un “binario” narrativo.
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Foto dal web |
Venezia,
resa celebre dalla versione di Francesco Guccini, debutta nel 1979 all’interno
dell’album Il sogno di alice del gruppo genovese Assemblea musicale teatrale di cui fa parte Gian Piero Alloisio, autore del brano.
Il
gruppo collabora da qualche anno con Francesco Guccini che inserirà la sua versione,
leggermente modificata, nel 1981 nell’album Metropolis.
Come
dicevamo il testo viaggia su due linee parallele, la tragica storia di Stefania
che a soli vent’anni muore di parto in un “grande ospedale” (Alloisio scrive la
canzone dopo la morte di una giovane cugina deceduta proprio mentre stava partorendo)
si affianca alla decadenza della città lagunare, entrambe le cose seguono la
strada dettata da un destino apparentemente segnato, l’indifferenza della gente.
Indifferenza
di un ospedale che tratta i pazienti come una “cosa” che va e che viene, merce non persone, indifferenza di chi abbandona a sé stessa la giovane donna che
muore “da sola” lontana da chi avrebbe dovuto sostenerla.
Ma
l’indifferenza è protagonista anche nella decadenza di Venezia, trasformata in
un oggetto di consumo, dove tutto è superficiale, da utilizzare e poi buttare
quando non ci diverte più “Venezia è un
albergo, San Marco è anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la
gondola è solo un bel giro di giostra …”.
Il
brano non lascia spazio alla minima dose di speranza, è una constatazione di un
dato di fatto, la mercificazione culturale, dei sentimenti e delle emozioni,
tutto ha un prezzo, chi può permetterselo ne fa uso e poi getta tutto, magari
nemmeno differenziando e perché no, scaricando l’umanità nelle acque della
laguna.
A
seguire il testo della versione di Guccini e le due interpretazioni