venerdì 30 maggio 2025

... è la gente che se ne frega.

Come due rotaie, legate dalle traversine, questa canzone è a tutti gli effetti un “binario” narrativo.

Foto dal web

Venezia, resa celebre dalla versione di Francesco Guccini, debutta nel 1979 all’interno dell’album Il sogno di alice del gruppo genovese Assemblea musicale teatrale di cui fa parte Gian Piero Alloisio, autore del brano.

Il gruppo collabora da qualche anno con Francesco Guccini che inserirà la sua versione, leggermente modificata, nel 1981 nell’album Metropolis.

Come dicevamo il testo viaggia su due linee parallele, la tragica storia di Stefania che a soli vent’anni muore di parto in un “grande ospedale” (Alloisio scrive la canzone dopo la morte di una giovane cugina deceduta proprio mentre stava partorendo) si affianca alla decadenza della città lagunare, entrambe le cose seguono la strada dettata da un destino apparentemente segnato, l’indifferenza della gente.

Indifferenza di un ospedale che tratta i pazienti come una “cosa” che va e che viene, merce non persone, indifferenza di chi abbandona a sé stessa la giovane donna che muore “da sola” lontana da chi avrebbe dovuto sostenerla.

Ma l’indifferenza è protagonista anche nella decadenza di Venezia, trasformata in un oggetto di consumo, dove tutto è superficiale, da utilizzare e poi buttare quando non ci diverte più “Venezia è un albergo, San Marco è anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra …”.

Il brano non lascia spazio alla minima dose di speranza, è una constatazione di un dato di fatto, la mercificazione culturale, dei sentimenti e delle emozioni, tutto ha un prezzo, chi può permetterselo ne fa uso e poi getta tutto, magari nemmeno differenziando e perché no, scaricando l’umanità nelle acque della laguna.

A seguire il testo della versione di Guccini e le due interpretazioni


Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare
La dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti
Che cercano in mezzo alla gente l'Europa o l'Oriente,
Che guardano alzarsi alla sera il fumo, o la rabbia, di Porto Marghera

Stefania era bella, Stefania non stava mai male
È morta di parto gridando in un letto sudato d'un grande ospedale
Aveva vent'anni, un marito, e l'anello nel dito
Mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti

Venezia è un albergo, San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria
La gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra
Stefania d'estate giocava con me nelle vuote domeniche d'ozio
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare
Però non ti puoi risvegliare con l'acqua alla gola, e un dolore a livello del mare
Il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
C'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
Vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità
Del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino
Può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti.



martedì 20 maggio 2025

Il genio non ha confini

28 giugno 2009, Stephen Hawking, all’interno di una sala dell’università di Cambridge, siede in attesa degli invitati ad un party che lo stesso fisico aveva organizzato, nessuno si presenta, è a questo punto che Hawking decide di spedire gli inviti ...

Immagine dal web

Evidentemente in questa narrazione c’è qualcosa che non quadra, a provare chiarire l’enigma ci pensano le parole scritte sugli inviti stessi: “Ecco l’invito che ti fornisce le coordinate esatte nel tempo e nello spazio per partecipare alla festa. Sei cordialmente invitato ad un ricevimento per i Viaggiatori del tempo. Spero che copie di esso, in una forma o nell’altra, sopravvivano per molte migliaia di anni. Forse qualcuno che vive nel futuro troverà le informazioni e userà una macchina del tempo o un warmhole per venire alla mia festa, dimostrando che viaggiare nel tempo un giorno sarà possibile”.

Il geniale matematico inglese dunque ha potuto constatare che in futuro non ve certezza che si possa viaggiare nel tempo. Questo però non dice il contrario, possono essere molte le cause che hanno impedito ai visitatori di giungere al party quel giorno, gli inviti potrebbero essere scomparsi prima della costruzione di un “veicolo” che conduca indietro nel tempo, oppure che le macchine del tempo possano trasportare l’uomo non più indietro della data di costruzione delle stesse, naturalmente è valida la tesi che viaggiare nel tempo sia impossibile.

Ma quest’idea, per assurda che possa apparire, è semplicemente geniale, se al posto di Hawking ci fosse stato qualcuno con lo scopo di mettere in scena una performance, potremmo definire il tutto un’opera d’arte?

Possiamo condurre questo avvenimento al movimento dadaista? Chi mi conosce sa già quale sia la mia risposta: assolutamente si!

L’organizzazione di questo party privato, dove tutti sono invitati ma a posteriori, è stata inserita in un contesto scientifico (o fantascientifico, dipende dai punti di vista) se lo togliamo da quella cornice e lo inseriamo in un ambito museale non è possibile non prendere in considerazione la realizzazione di un’opera di stampo artistico.

Inconsapevolmente, o forse no, Hawking realizza un capolavoro concettuale che, in quanto strettamente legato alla fisica, è ignorato dai più.

Un’opera, se realizzata per scopi differenti, viene sottratta dal suo contesto naturale e inserita in una sfera “artistica” diventa arte, a chi ci rimanda tutto questo?

sabato 10 maggio 2025

La materia, il verbo e la poesia

Passeggiando sul lungolago di Salò, deliziosa località sul lago di Garda, ci si imbatte in una scultura, pressoché ignorata da tutti.



Si tratta del mezzobusto in bronzo che ritrae Gasparo Bertolotti, noto come Gasparo da Salò, maestro liutaio ritenuto, da alcune fonti, l’inventore del violino.

L’opera in bronzo realizzata da Angiolino Aime è la copia esatta di quella in marmo di Carrara, di Angelo Zanelli, che si trova nel palazzo municipale del comune bresciano.

Contrariamente a molti monumenti celebrativi che rappresentano il soggetto principale in posa maestosa, Gasparo si presenta nell’atto di estrarre o conficcare il violino nel petto, la posa e solenne e poetica, come se l’artista e la sua creatura fossero tutt’uno.

A rendere ancor più magica l’apparizione sono le parole di Gabriele d’Annunzio incise sul piedistallo che sorregge la scultura.

“… non si sa se stia aprendo

 il petto per trarne il violino

 o se stia aprendo il violino

 per mettervi il cuore.”

Questa frase porta ad altezze vertiginose la poetica dell’opera, l’uno parte dell’altro, indivisibili.

Come dicevo non sono in molti a fermarsi davanti alla scultura (a debita distanza mi sono fermato per verificarlo e nonostante la marea di gente che le transitava davanti, nessuno pare si sia accorto della sua presenza) ed è un peccato perché per un attimo ci si isola dal frastuono che ci circonda immersi nella purezza della poesia.