L’ipotetico inizio nel 1869
la naturale conclusione nel 1950, Magritte rilegge la celeberrima opera di Manet proiettandola
nel “quotidiano”, la costante presenza della morte, un epilogo naturale nel
percorso “vitale”.
da sinistra: Edouard Manet – Il balcone, 1868-69. Olio su tela cm
170 x 124. Musée d’Orsay Parigi
René Magritte – Il balcone di Manet, 1950. Olio su tela cm
81 x 60. Museum voor Schone Kunsten, Gand
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Manet, seguendo un percorso differente rispetto ai canoni cari agli impressionisti, presenta un ritratto “classico” che segue un’indicazione “modernista”.
Pur allontanandosi dai dettami
accademici non si abbandona alla ricerca del colore ma insiste sul contrasto
tra il bianco ed il nero, questa interpretazione cromatica conferisce una forza
di rara intensità ai protagonisti che prendono pienamente possesso della scena.
Le due donne in
primo piano catturano l’attenzione ma anche l’uomo dietro di loro, nonostante
l’abito scuro, si erge a protagonista. Solo la quarta figura alle loro spalle si
perde nel buio dello sfondo, sarà proprio Magritte, ottant’anni dopo, ad
avvicinare i quattro personaggi.
Il pittore belga
rielabora il ritratto sul balcone, a distanza di molti anni i quattro
personaggi vengono sostituiti da altrettante bare.
Fisicamente non ci
sono più, resta il loro ricordo, unico segno del loro passaggio e ineluttabile
simbolo della precarietà della vita.
Lo sfondo è lo
stesso, le suppellettili e le cornici sono ancora al loro posto cosi come il
vaso e la sedia, il fiore azzurro viene sostituito da uno bianco, naturalmente
il balcone è lo stesso con le persiane aperte e l’identica ringhiera.
A parte il fiore
non vi è altra traccia di vita, è scomparso il cagnolino e restano appunto le
bare a simboleggiare il tempo passato che non c’è più.
Surreale e,
apparentemente, assurda la lettura di Magritte che, se approfondita, si ammanta
dell’unica sostanziale verità nell’effimero percorso umano.
La struttura delle
opere di Manet e Magrit inevitabilmente crea un collegamento diretto tra le due
tele ma non possiamo ignorare l'influenza che ha avuto sul pittore francese
l’opera di Francisco Goya “Majas al balcone”.
Il dipinto di Goya
ha ispirato sicuramente Manet, le due figure femminili in primo piano, la sedia
sulla quale siede la donna a sinistra e la ringhiera, sono fedelmente
riportati sulla tela da Manet stesso, i personaggi maschili invece, nell'opera dello
spagnolo, sono più sfuggenti, cercano di celarsi nell'ombra, al contrario l'artista
parigino mette in posa l’uomo alle spalle delle giovani fanciulle.
Il quadro di Goya
è servito come fonte d'ispirazione per Manet mentre Magrit ha rielaborato i dipinti dando agli stessi un’impronta
irreale e al contempo realisticamente "futura".
Qui sopra:
Francisco Goya - Majas al balcone, 1808-14. Olio su tela cm. 195 x 125,5. Metropolitan Museum of Art, New York
Curioso modo di "rielaborare" un'immagine! Non che da Magritte ci si possa aspettare una rielaborazione non curiosa... 😉
RispondiEliminaCuriose anche queste opere al balcone, mi pare un'ambientazione poco comune, comunque deliziosa, trovo che guardare delle persone affacciate al balcone sia piacevole, intimo, o megio quasi intimo: che succeda in un dipinto o nella realtà le vediamo a casa loro senza entrare in casa loro, siamo sul confine tra un mondo geberico e un mondo familiare, personale.
Grazie per gli ennesimi interessanti spunti!
* ovviamente volevo scrivere geNerico, nin geBerico 😜
EliminaCiao Anna, grazie a te, l'interpretazione di Magritte è geniale, il "surrealismo" lascia, in parte, spazio al "realismo" come se l'evoluzione fosse del tutto naturale.
EliminaInteressante l'idea del balcone come confine tra il pubblico ed il privato.
Buona serata.
Una bellissima opera che non conoscevo, pur essendo una sua fan!
RispondiEliminaCiao marina, ti riferisci all'opera di Manet, di Magritte o ... Goya?
EliminaBuona serata.
A quella di Magritte
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