martedì 31 ottobre 2023

Andare alla ricerca di altri punti di vista

Questa lettura dell’opera di Mirò, ci offre un punto di vista che non è il nostro, la recensione non ha nome (scelta che io e l’autore abbiamo fatto per togliere ogni riferimento lasciando spazio al dipinto) ne ci indica alcun aspetto dello stesso, anche se conoscere chi propone un punto d’osservazione apre ad altre ipotesi artistico-filosofiche. 

Questa lettura è differente da quello potrei immaginare io, penso che lo sia anche riguardo a quella di molti altri, il che ci permette di vedere attraverso gli occhi, le conoscenze e le esperienze di altre persone, visioni che altrimenti noi non avremmo mai comosciuto.

Joan Mirò – Nascita del mondo,1925 – Olio su tela cm 251 x 200 – Museum of Modern Art (MOMA) New Tork


“Io vedo nella parte bassa una  costruzione che indica la civiltà e la vita ordinaria. Il cerchio bianco indica la razionalità del pensiero che si eleva al di sopra della banalità del quotidiano.

Il cerchio rosso indica la spiritualità dell’uomo che eleva l ‘anima al di sopra del pensiero per un altro itinerario.

Il triangolo nero indica la divinità. Solitamente Dio viene rappresentato con un triangolo luminoso giallo, ma l’autore ha voluto rappresentare il mistero che avvolge la divinità .

L’oscurità del triangolo indica il mistero che non si lascia illuminare dal pensiero.

Il triangolo della divinità e  la spiritualità (cerchio rosso ) non si incontrano. Sono distanti, non dialogano, non hanno niente in comune.

Anche il filamento che scende dal triangolo della divinità ( che per me rappresenta l’apertura al dialogo della divinità) non incontra ...non trova un punto di incontro col movimento ascensionale della spiritualità umana.

È un rapporto dialettico nel quale non c’è una sintesi; un punto di incontro.

Alla solitudine umana corrisponde la solitudine divina. Sullo sfondo c’è l’indifferenziato che precede la creazione.

Al caos primordiale fa da contraltare la solitudine assoluta di due entità che vorrebbero incontrarsi e dialogare, ma le loro nature sono troppo diverse per poterlo fare.

Dal vuoto di prima alla solitudine di dopo la creazione. È per me un quadro che nasconde la disperazione dietro il camuffamento di immagini geometriche...che indicano la razionalità di una forza che organizza e sottende tutto...ma non ci si può confrontare e dialogare con una legge che non presenta un volto umano”.

 


mercoledì 25 ottobre 2023

Il triangolo (artistico) perfetto

Salvador Dal' - Donna con testa di rose (part.)

C’è la regina, altera e inarrivabile, dietro la maschera di modella e musa si nasconde una cinica “manipolatrice” capace di stravolgere qualsiasi mente, facendo credere di esserne al servizio ma fondamentalmente continuando a muovere i fili, la regina ha un nome, questo nome riecheggia nel tempo, a volte come un sussurro, a volte assordante: Gala.

Poi c’è il creatore di sogni, eccentrico, spavaldo, presuntuoso, arrogante e … in balia degli eventi, l’ingegno, il talento, l’essere visionario, lo stordiscono fino al punto di non accorgersi che i suoi movimenti sono controllati dall’alto, da un’entità “regale” di cui non può non innamorarsi, anche il creatore di sogni ha un nome, Salvador ma il nome stesso si perde nei meandri della storia, Dalì è il suono che scaturisce dalla voce di chi lo ricorda.

Infine c’è l’angelo, l’affinità spirituale, il creatore di sogni la ricorda così, un angelo apparso dal nulla a rischiarare le zone d’ombra, a riscaldare le gelide stanze dell’anima, anche l’angelo ha un nome: Amanda, ma al contrario dei precedenti il nome risuona forte e chiaro.

Amanda col tempo lascerà il creatore, o forse è il creatore che abbandona l’angelo, per seguire altre strade, ma questa è un’altra storia.

venerdì 20 ottobre 2023

La linea di confine è stata oltrepassata? L'arte tra etica e trasgressione

Dal 1997 quest’opera di Cattelan, intitolata “Novecento”, fa inevitabilmente discutere, può irritare, infastidire, ci può lasciare indifferenti o incuriosire.

Maurizio Cattelan - Novecento

Possiamo definirla di cattivo gusto, posiamo dubitare che sia arte o credere che sia tale, è impossibile avere un giudizio uniforme, ognuno di noi può trarne delle conclusioni (la conclusione dipende dalla quantità e qualità di informazioni in nostro possesso, quantità è qualità non fanno propendere per forza verso un giudizio positivo, anzi avere le giuste informazioni può spingerci a rifiutare l’opera come artistica).

Ma non è questo il punto, a lasciarmi perplesso è il fatto che dopo più di 25 anni ci sia ancora qualcuno che chiede: “ma il cavallo è vivo?”.

Onestamente sono domande che lasciano basiti, trovo incredibile che, con l’accesso ad un’infinità quantità di informazioni, ci sia ancora qualcuno (sono moltissimi, le stesse domande le hanno fatte per un’opera simile esposta qualche anno fa sulle rive del lago d’Iseo) incapace di valutare ciò che vede ed eventualmente informarsi.

Spesso a queste domande corrispondono le risposte più disparate, da chi conferma che Cattelan esponga un cavallo vivo e di conseguenza aumenta l’indignazione, a chi da la stessa risposta ma in modo ironico.

In entrambi i casi chi ha posto il quesito non distingue il “tono” della risposta, da per scontato che la propria impressione sia l’unica esatta ed è per questo che non vengono poste le domande "giuste" (virgolettato perché la domanda giusta non esiste) ma si innescano futili polemiche ignorando quelli che forse sono quesiti fondamentali. 

Infatti non è questa sterile diatriba l'obbiettivo del mio scritto (è evidente che il cavallo non sia vivo) la questione è un’altra, il cavallo di Cattelan è una scultura o si tratta di un animale imbalsamato?

Siccome si tratta appunto di un animale imbalsamato ci dobbiamo interrogare se l’esibizione di un animale impagliato (o “in tassidermia” per rendere la cosa più accettabile) sia corretta, infatti il “Rinoceronte appeso” di Stefano Bombardieri, che ho ammirato sulle rive del lago d’Iseo, citato poco fa, è in resina, in questo caso si elimina la questione legata all'utilizzo di un essere "organico".


Stefano Bombardieri - Tempo sospeso

Da una parte la discutibile scelta di Cattelan, dall’altra quella di Stefano Bombardieri, entrambe artisticamente e concettualmente ineccepibili, al di là del fatto che le si possa o meno considerare opere d’arte, ma materialmente diverse.

Questo ci porta ad un’altra opera, per l'esattezza A Thousand Years di Damien Hirst, dove lo scontro tra l’artista è chi ha a cuore il rispetto degli animali raggiunge l’apice.

Damien Hirst, - A Thousand Years

La struttura consiste in una teca di vetro e acciaio di grandi dimensioni divisa al centro da una lastra in plexiglas forata, da una parte vi è una scatola contenente delle larve di mosca, dall’altra la testa di una mucca appena acquistata, e ancora abbondantemente grondante di sangue, da un mattatoio (Hirst si difende sostenendo che la mucca non è stata soppressa apposta ma che la testa sarebbe stata gettata come rifiuto organico) le larve si trasformano in mosche che a loro volta si dirigono verso la carcassa sanguinolenta (la testa è reale, il sangue no in quanto acqua zuccherata e colorata di rosso, per rendere l'effetto più duraturo).

Ma la cosa che ha fatto infuriare gli animalisti è il fatto che sopra la testa era posizionata una lampada anti zanzare che uccideva sistematicamente le mosche accorse verso la carne in decomposizione.

Riepilogando, tre modi di esprimere un pensiero artistico, in tutti e tre i casi emerge un concetto sicuramente profondo, tutti partono dalla stessa idea ma utilizzando metodi differenti.

Se vogliamo evitare di fare del falso moralismo e limitare un’immancabile ipocrisia dovremmo constatare che nel nostro quotidiano non ci comportiamo molto meglio, è sicuramente il caso di sottolineare le storture di queste opere d’arte (tali per ciò che esprimono) senza eccedere in false indignazioni.

Pur apprezzando tutti e tre gli artisti citati non posso non provare un certo fastidio per le opere di Cattelan e Hirst, la domanda che mi faccio è: si potevano “costruire” diversamente queste opere?

Per quanto riguarda Novecento di Cattelan sicuramente si, infatti Bombardieri lo ha fatto, riguardo a Hirst è il discorso è più complesso, la testa era uno scarto di macelleria (anche le larve delle mosche erano destinate alla pesca ma stranamente nessuno ha alcunché da eccepire, nonostante la si possa affiancare alla caccia) ma l’eliminazione sistematica delle mosche per un futile motivo non è accettabile, questo ci porta a più profondi ragionamenti, qual è il limite che possiamo raggiungere? Forse il vero significato di queste opere è questo: Il limite è abbondantemente superato? sarebbe forse il caso di prenderne coscienza e fare un passo indietro?

Partendo dalle puerili domande che in molti si fanno davanti al cavallo di Cattelan ho cercato di andare oltre, porci ulteriori domande che alla fine ci portano alla conoscenza dei nostri lati oscuri.


domenica 15 ottobre 2023

La luce che illumina il vuoto (delle idee)

Rieccoci a discutere su una cosa che trovo sconfortante, mi riferisco alla banalità dei dipinti che invadono le varie piattaforme sul web.

Il “giro che conta”, controllato dalle grandi gallerie che a loro volta orientano il mercato (che comunque promuovono grandi artisti, al netto di molte “cadute”) lascia poco spazio ad aspiranti pittori che senza l’aiutino delle suddette gallerie non riescono ad emergere.

Goffredo Dalmonte - Fessura con vista, 2023 - Acrilico e cemento su tavola 30x40


A questi artisti (cosi si definiscono in molti) emergenti non resta che tentare la via delle vetrine online, ormai i vari social hanno dato vita a gruppi o pagine (chiamatele/i come volete) che danno visibilità alle loro opere (purtroppo danno spazio ai commenti ma questo è un altro discorso).

Ogni tanto vado alla ricerca di qualcosa che mi colpisca, lavori che sappiano destare interesse (in questo caso il mio, per quello che vale) in un mare prevalentemente piatto.

Da molto tempo non visitavo queste pagine/gruppi e ci sono tornato con la speranza di trovare qualcosa di nuovo, come sempre ho trovato moltissimi dipinti, e come sempre poco o nulla di interessante.

Le solite cose, i soliti soggetti, in alcuni casi dalla tecnica imbarazzante, mediamente meno che discreta, fino a punte ottime fino all’eccellenza, ma stiamo parlando solo di tecnica, il resto è nullo.

Paesaggi bucolici, ritratti di bambini, attori e cantanti famosi, animali, nudi in tutte le salse, insomma niente che non si sia già visto, rivisto e stravisto, alla banalità dei quadri si aggiunge la “piattezza” delle descrizioni, per non parlare dei titoli (chi mi segue sa quanto io li ritenga importanti).

Nella nebbia creativa ecco che spunta un dipinto che cerca di dire qualcosa senza buttarci tutto in faccia con quel realismo da superficie, oggi tanto di moda, mi riferisco all’opera di Goffredo Dalmonte (nell’immagine).

Davanti a questo quadro è impossibile non soffermarci a chiedere, chiederci, dove siamo, prima ancora di chiederci cosa rappresenti. I materiali, in particolare il cemento, e il titolo, “Fessura con vista”, hanno il compito di indicarci un determinato percorso, quale sia è difficilissimo da comprendere.

La fessura che ci permetterebbe di vedere oltre la materia non è chiaro dove sia situata, il gioco di ombre porta l’occhio là dove la personale percezione ci conduce, trovare il pertugio però è tutt’altro che semplice.

Non va certamente ignorato il fatto che sia il quadro stesso la “fessura”, un passaggio materiale, solo visivo, mentale o spirituale, un autentico portale che solo chi è in grado di comprenderne la struttura può utilizzare.

La tecnica nella realizzazione del quadro è ottima, a questo va aggiunta l’idea di non mostrarla palesemente lasciando all’osservatore il compito di cercarla, nonostante non sia scontato che ci sia (o meglio, l’idea c’è, potrebbe però essere lontana da quello che gli indizi ci portano a pensare).

Non sono propenso a descrivere queste opere come se si trattasse di dipinti figurativi, è fastidioso sentire descrizioni di opere astratte dove l’osservatore cerca a tutti i costo il paesaggio, il ritratto, o qualsiasi cosa materiale, ignorando totalmente la sfera incorporea, spirituale, psicologica.

Davanti al dipinto di Dalmonte sento delle vibrazioni che non si trasformano in descrizioni, c’è un messaggio che è diretto a chi lo osserva e che viene elaborato in base allo stato d’animo dello spettatore stesso, è il famoso specchio che riflette, non tanto il volere dell’autore quanto l’essenza di chi lo osserva.

martedì 10 ottobre 2023

L'era della copia preferita all'originale

Strani giorni, viviamo strani giorni” cantavano Nicola Walker Smith e Franco Battiato nel lontano 1996, dopo quasi trent’anni quelle parole sono quanto mai attuali.

Roy Lichtenstein - Crack 1964

Non voglio scomodare i grandi sistemi globali ma fare luce su un piccolo particolare che ci fa capire che ci stiamo incamminando (o lo abbiamo già fatto) per un sentiero … strano.

Avevo già parlato della mostra intitolata “ da Monet a Warhol” (di cui propongo tre opere tra quelle esposte) che dal 19 maggio ha offerto agli abitanti, e a chi si trovava a passare, delle sponde del lago d’Iseo un interessante spaccato dell’arte dalla metà del XIX secolo agli anni ottanta del 900.

Questi sono gli ultimi giorni in cui si possono vedere opere di artisti come Picasso, Monet, Courbet e molti altri, che hanno scritto pagine fondamentali della storia dell’arte.

La rassegna ha avuto un buon riscontro di pubblico, specialmente i turisti, al punto che l’apertura è stata prorogata di un mese (doveva chiudere agli inizi di settembre) ma stranamente (forse nemmeno tanto) non ha suscitato l’interesse dei dirigenti delle scuole del territorio.

Ed è proprio qui che mi soffermo, le scuole primarie e secondarie di alcuni centri limitrofi a Sarnico (comune che ospita la mostra) hanno organizzato una visita ad un altro evento in corso in un altro comune in riva al lago, tutto bene, tutto bello ma …

Gustav Courbet - La scogliera a Etretat, 1869

Perché  chi di dovere ha deciso di portare gli studenti a queste ultime mostre ignorando quella di Sarnico? Perché nessuno ha portato i ragazzi a vedere le opere autentiche realizzate da artisti fondamentali per l’arte negli ultimi due secoli, ma non ha esitato ad accorrere a due rassegne che, grazie al titolo altisonante: “Nel cuore di Van Gogh e Caravaggio” hanno destato un interesse che non avrà un corrispettivo adeguato alla visione delle mostre stesse?

Ai nomi di Caravaggio e Van Gogh corrispondono delle semplici “riproduzioni fedeli di alcune opere dei due pittori”, dunque solo delle, seppur ottime, copie.

Niente in contrario a questo tipo di eventi (anche se li ritengo inutili artisticamente) infatti va molto di moda un qualcosa di simile dove le proiezioni dei dipinti ci fanno immergere, cosi ci dicono, nell’arte, ma almeno siamo di fronte a riproduzioni fotografiche.

Ammesso che una mostra fatta di copie possa avere un interesse artistico,mi chiedo perche portare i bambini e i ragazzi solo lì e non ad una mostra dove erano esposte delle opere originali?

Jean Baptiste Camille Corot - Paesaggio


giovedì 5 ottobre 2023

L'arte e i bambini

Perché, in concreto, l’arte è così importante per lo sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale di bambini e ragazzi?

I programmi educativi tradizionali sono prevalentemente incentrati sulle “risposte corrette” e sulle “regole”, mentre attraverso l’arte ci si allena ad esprimere le proprie opinioni e i propri giudizi. L’arte sviluppa il senso critico, permettendo fin da bambini di elaborare una prospettiva multipla che influenza il modo di osservare e interpretare la realtà attraverso il coinvolgimento dell’individuo in un processo del “come” e del “perché”. Inoltre, la fruizione artistica sviluppa il libero giudizio, favorendo l’autonomia, intesa come l’indipendenza emotiva dal giudizio degli altri.

Attraverso l’arte si possono sviluppare altre due abilità indispensabili per migliorare la qualità della vita di bambini e ragazzi, ovvero il pensiero creativo e la capacità di problem solving.

L’arte, infatti, aiuta a comprendere che i problemi possono avere più di una soluzione e che le soluzioni raramente sono fisse, ma cambiano in base alle circostanze e alle opportunità.

L’arte educa all’intelligenza emotiva, favorendo l’ascolto di se stessi e degli altri, sviluppando l’empatia. Osservare e sentire un’opera d’arte, è, in un certo senso, sentire noi stessi. Nell’arte ci si sposta da un atteggiamento di mera osservazione esterna, al come ci si sente interiormente mentre si sta facendo quella esperienza. Bambini e ragazzi imparano così ad ascoltare se stessi, le proprie sensazioni e emozioni. E non solo. Attraverso l’ascolto di se stessi imparano ad ascoltare l’altro, ad andare verso l’altro sviluppando un rapporto di empatia.

Nell’incontro con l’altro, la prospettiva dei ragazzi si amplia e si arricchisce e permette loro di aprirsi verso cose che non conoscono o che sono lontane dalla loro sfera abituale. Il linguaggio dell’arte, fatto di tempi e di forme emotive proprie, ha, infatti, la capacità di colmare le lacune di lingue, culture e generi, favorendo così l’integrazione e il superamento delle “diversità”.

Il semplice guardare un’opera d’arte è un impegno che a sua volta diventa esperienza e che entra a far parte integrante della costruzione dell’identità di bambini e ragazzi. L’esperienza dell’arte è, dunque, un processo creativo che favorisce l’attivazione e quindi il cambiamento. Attivazione e cambiamento che possono svilupparsi, ad esempio, verso una maggiore consapevolezza e sensibilità alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico-monumentale delle loro città”.

( Giusi Andolina - Maredolce.Com)

 

I musei sono troppo “seriosi”? Si tratta di luoghi dove un bambino non può che annoiarsi?

Là dove molti adulti vedono solo artefatti inanimati, “pitture” statiche o incomprensibili, i bambini trovano un mondo fantastico dove tutto è possibile.

I bambini hanno la naturale curiosità che permette di “entrare” nell’anima di un’opera, hanno una visione di ciò che li circonda che va al di là di quello che effettivamente vedono.

I bambini in un museo acquisiscono un'abilità “visionaria”, elaborano una crescita culturale dovuta alla capacità di esplorare, di investigare oltre le apparenze.

Ma per fare in modo che un bambino entri in un museo ci deve essere la “spinta” dei genitori e degli insegnati (questi ultimi hanno bisogno comunque della partecipazione attiva dei primi) e qui nasce il problema maggiore, sono ancora troppi i genitori che reputano un museo “luogo serioso e noioso”.

domenica 1 ottobre 2023

L'enigma dell'esistenza, 42!

42, l’interessante e geniale la “storia” di questo numero inserita nella serie di romanzi di fantascienza di Douglas Adams Guida galattica per autostoppisti, per l’esattezza nel secondo volume della saga Il ristorante al termine dell’universo.

La scintilla dell'assenza - Tatiana Trouvé

L’eterna ricerca del fine ultimo dell’esistenza, il senso della vita e dell’universo. Per fare luce sul fondamentale quesito esistenziale viene costruito il più grande computer che si possa realizzare, al calcolatore vengono affidati tutti i dati possibili, l’elaborazione delle informazioni inserite dura sette milioni e mezzo di anni, il responso è categorico: “42”.

La risposta lascia tutti senza parole ma nel libro emerge il fattore principale: “… ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda".

Il punto è questo, cerchiamo sempre la risposta a tutto senza saper formulare la domanda, ciò che riceviamo, di conseguenza, è incomprensibile.

Partendo da questa riflessione mi sposto in un campo a me più familiare (che poi è il fulcro del mio blog) e cioè l’arte.

Un approccio filosofico ad un’opera d’arte è auspicabile? o ne possiamo fare a meno? o ancora, è fondamentale?

Naturalmente queste domande, se prendiamo in considerazione il percorso che ho intrapreso in questo post, non hanno una risposta, probabilmente qualcuno di voi ha un’idea di quale potrebbe essere la variante ottimale, qualsiasi sia non può escludere le altre.

Da anni percorro in lungo e in largo il pianeta “Arte”, durante il viaggio le convinzioni si trasformano in dubbi, le certezze vacillano, ciò che consideravo incomprensibile si rivela più accessibile, quello che sembrava evidente, approfondendo, diviene incerto.

Il confronto con artisti, storici e insegnati dell’arte ha cambiato il mio modo di vedere, guardare, affrontare, le varie opere che ho avuto il piacere di scoprire in questo lungo lasso di tempo hanno tracciato un percorso interessante ma lungi dall'essere alla conclusione. 

Dopo tanti anni molte cose sono più chiare ma molte altre necessitano di ulteriori approfondimenti, per continuare a “scavare” in profondità servono però nuovi mezzi, nuovi approcci, quello filosofico è sicuramente il più “profondo”.

Escludendo l’interpretazione superficiale, cosa che ho già abbondantemente ribadito, che non porta da nessuna parte (anche se ancora in molti sono convinti del contrario) tutto quello che è ricerca, accettazione e approfondimento di ciò che ci appare incomprensibile, elaborazione del pensiero complesso, è la strada giusta per raggiungere quell’equilibrio necessario per entrare in contatto con l’arte.