Premetto che sono consapevole del fatto
che sia azzardato definire questo brano una “poesia”, ma in fondo perché no?
Si tratta di uno scritto inedito
pubblicato nel 1985 all’interno "scheletri", una raccolta di racconti.
Stephen
King compone questi versi mantenendo una forma narrativa in prima persona dove
racconta la paranoia nella sua forma più eclatante.
Non voglio ripetere quello che troverete
scritto in seguito ma mi piace sottolineare lo spunto, a tratti divertente e
irriverente, che lo scrittore americano riesce a cogliere in una situazione che
è spesso drammatica e terribilmente angosciante.
ODE DEL PARANOIDE
(Stephen King)
Non posso più uscire.
c’è un uomo alla porta
con l’impermeabile
che fuma una sigaretta
ma
ne ho scritto nel mio
diario
e le affrancatrici sono tutte allineate
sul letto, sanguigne nel riverbero
dell’insegna del bar accanto.
Lui sa che se io muoio
(o soltanto scompaio)
il diario va e tutti sapranno
che la CIA è in Virginia.
500 affrancatrici acquistate
da
500 negozi tutti diversi
e 500 quaderni
con 500 pagine ciascuno.
Sono pronto.
Lo vedo da quassù.
La sua sigaretta ammicca appena
sopra il bavero del suo trench
e da qualche parte c’è un uomo in metropolitana
seduto sotto una pubblicità della Black Velvet e pensa il mio nome.
Si è discusso di me
nel chiuso delle stanze.
Se il telefono squilla
c’è solo fiato.
Nel bar di fronte una rivoltella
a canna mozza ha cambiato di mano in gabinetto.
Ogni proiettile ha su il mio nome.
Il mio nome è scritto in schedari segreti
e lo si cerca nei necrologi.
Si è indagato su mia
madre;
grazie a Dio è morta.
Hanno campioni di
scrittura
ed esaminano gli occhielli all’indietro delle pi
e le croci delle ti.
Mio fratello è con
loro, ve l’ho detto?
Sua moglie è russa e lui
continua a chiedermi di riempire i moduli.
Ce l’ho scritto nel mio diario.
Ascoltate …
ascoltate
dovete ascoltare:
bisogna che ascoltiate.
Sotto la pioggia, alla
fermata dell’autobus,
corvi neri con ombrelli neri
fingono di guardare l’orologio, ma
non sta piovendo. I loro occhi sono dollari d’argento.
Alcuni sono studiosi al soldo dell’FBI
i più sono gli stranieri che vagano
per le nostre strade. Li ho giocati.
Sono sceso dall’autobus all’angolo tra la 25esima e la Lex
dove un tassista mi sorvegliava da sopra il suo giornale.
Nella stanza sopra di
me una vecchia
ha applicato una ventosa elettrica al pavimento.
Invia raggi attraverso il mio lampadario
e ora io scrivo al buio
alla luce dell’insegna del bar.
Vi ho detto che io so.
Mi hanno mandato un
cane con macchie marrone
e una radio nel naso.
L’ho annegato nel lavandino e l’ho trascritto
nella cartella GAMMA.
Non guardo più nella cassetta della corrispondenza.
I biglietti d’auguri sono lettere-bomba.
(Indietro! Dico a te,
dannazione!
Indietro, conosco persone alte!
Ti dico che conosco persone molto alte!)
Alla tavola calda
hanno pavimenti parlanti
e la cameriera dice che era sale ma io riconosco l’arsenico
quando me lo mettono davanti. E il sapore giallo di senape
per nascondere l’odore amaro delle mandorle.
Ho visto luci, luci
strane in cielo.
Ieri notte un uomo scuro senza faccia ha strisciato per nove miglia
di fogne per emergere nel mio water, ascoltare
le telefonate attraverso il legno scadente
con orecchie cromate.
Guarda che io sento
Ho visto le impronte
fangose delle sue mani
sulla porcellana.
Non rispondo più al
telefono,
ve l’ho detto?
Vogliono allagare la
terra di fango,
tramano irruzioni.
Hanno medici
fautori di stravaganti posizioni sessuali.
Fabbricano lassativi che danno dipendenza.
E supposte che bruciano.
Sanno come spegnere il sole
con le cerbottane.
Mi riempio di
ghiaccio… ve l’ho detto?
Svia i telescopi a
raggi infrarossi.
Conosco nenie e porto amuleti.
Voi credete di avermi preso ma io vi posso distruggere
Da un momento
all’altro.
Da un momento
all’altro.
Vuoi del caffè amore?
Ti ho detto che non
posso più uscire?
C’è un uomo alla porta
con l’impermeabile.