lunedì 1 luglio 2024

Convergenze

Cosa accomuna una poesia di Jorge Luis Borges e un dipinto di Marc Chagall?

Naturalmente a fare da filo conduttore è la grande arte, opere di due artisti eccelsi che hanno saputo raccontare e raccontarsi utilizzando forme d’arte che li rendono immortali.

Marc Chagall - Il paesaggio blu, 1949 - Guazzo su carta cm 77 x 56 - Musem Von der Heydt, Wuppertal 



La Luna

C’è tanta solitudine in quell’oro.

La luna delle notti non è la luna che vide il primo Adamo.

I lunghi secoli della veglia umana l’hanno colmata di antico pianto.

Guardala. È il tuo specchio.


Il titolo della Poesia di Borges: “La Luna”, può non avere nulla in comune con “Il Paesaggio blu” del pittore russo, il poeta argentino si riferisce alla luna, Chagall sembra metterla in secondo piano, quasi non fa parte del suo “racconto”.

Ma dietro queste due visioni apparenti si cela l’amore dei due artisti per le donne che hanno amato, che hanno segnato le loro vite: Maria e Bella.

Borges racconta la sua amata Maria Kodama paragonandola alla luna, una personalità che aveva, come il satellite terrestre, il lato luminoso, riconoscibile da chiunque ed uno più nascosto, visibile solo da chi sapeva scendere in profondità.

La stessa visione ce l’ha Chagall che racconta la moglie, Bella Rosenfeld, andando oltre la realtà, ne narra i sentimenti, le sensazioni, le emozioni, collocandole in una dimensione eterea, spirituale.

Dietro queste due struggenti opere c’è la forza di un amore eterno che sa spingersi oltre l'orizzonte terreno, oltre ogni confine visibile, al di là di ogni immaginazione.


martedì 25 giugno 2024

Arte, poesia e mercato

1919, Marcel Duchamp salda il conto del proprio dentista con un finto assegno, il medico, che non è uno sprovveduto, capisce che non si tratta di un pagamento regolare ma si guarda bene dal rifiutare il pezzo di carta, sapeva benissimo che quello che l’artista francese gli stava dando aveva un valore bel più alto della cifra scritta sul foglio.

Marcel Duchamp - Tzank Cheque

Questa è la narrazione, romanzata, che accompagna l’ennesima trovata geniale di Duchamp, se sia o meno andata cosi poco importa, ciò che veramente conta è il significato dell’operazione.

L’assegno del nostro Marcel ha lo stesso valore di una banconota? Un qualsiasi biglietto di qualsiasi taglia che valore avrebbe senza la firma di un governatore della banca centrale? In entrambi i casi il valore sarebbe pari zero

Una banconota da 50 euro varrà nel tempo sempre la stessa cifra, tutt'al più perderà valore d’acquisto, l’assegno di Duchamp invece modificherà il proprio valore in base all’evoluzione del mercato delle opere dell’artista.

A questo punto possiamo giungere alla conclusione che non solo il dentista non è stato truffato ma, al contrario, ha ricevuto una somma superiore a quella che aveva richiesto.

L’arte è legata da sempre al mercato e al denaro, il valore artistico si somma a quello economico, non sempre le due strade proseguono nella stessa direzione ma la base di partenza molte volte è la stessa, Quale sia il fine è quale il mezzo dipende dalla sensibilità soggettiva, da quello che ognuno di noi ritiene prioritario, io penso che l’aspetto artistico prevalga sempre su quello “monetario” ma anche il più grande e imperterrito sognatore non deve escludere il lato materiale.

giovedì 20 giugno 2024

L'unione fa il capolavoro

Nel mese di marzo di quest’anno Mark Knopfler esaudisce un suo grande desiderio, mettere assieme i più grandi musicisti viventi nello stesso brano, viene pubblicato “Going Home (Theme From Local Hero)”dei Guitar Heroes.

Il disco ha un fine benefico, i fondi raccolti vanno a due associazioni impegnate nella ricerca contro il cancro.

Tantissimi gli artisti che hanno preso parte al progetto (l’elenco in ordine alfabetico lo trovate alla fine del post) vede i grandi chitarristi che hanno fatto la storia della musica, ai quali si aggiungono, ad esempio, Ringo Starr alla batteria, e Sting al basso, nel video che propongo appaiono i nomi dei musicisti impegnati in quel singolo momento.

Going Home, brano inserito nella colonna sonora del film “Local Hero”nel lontano 1983 è stato proposto moltissime volte nei concerti di Knofler spesso accompagnato da illustrissimi ospiti, in questo caso però il risultato è incredibile, un susseguirsi di suoni e stili, le varie anime che si fondono fino a raggiungere un livello estremo, non lineare e armonico ma complesso, geniale, estatico.

Ho sempre amato questo brano per la capacità di “salire” costantemente, un crescendo che, in alcune versioni di più in altre meno, coinvolge dalla prima nota all’ultima.

Ora il brano ha raggiunto la perfezione, tanti suoni, apparentemente contrastanti, si uniscono dando vita ad un grande capolavoro.

L’inizio del disco propone l’ultima registrazione di Jeff Beck prima della scomparsa.

Autore della copertina è Sir Peter Thomas Blake autore della celeberrima cover dei Beatles “Sgt. Pepper's Lonely Hearts clun band", a cui si ispira questa nuova realizzazione.

I nomi dei musicisti che anno partecipato sono stati presi dal canale YouTube ufficiale di Mark Knopler.

Joan Armatrading, Jeff Beck, Richard Bennett, Joe Bonamassa, Joe Brown, James Burton, Jonathan Cain, Paul Carrack, Eric Clapton, Ry Cooder, Jim Cox, Steve Cropper, Sheryl Crow, Danny Cummings, Roger Daltrey, Duane Eddy, Sam Fender, Guy Fletcher, Peter Frampton, Audley Freed, Vince Gill, David Gilmour, Buddy Guy, Keiji Haino, Tony Iommi, Joan Jett, John Jorgenson, Mark Knopfler, Sonny Landreth, Albert Lee, Greg Leisz, Alex Lifeson, Steve Lukather, Phil Manzanera, Dave Mason, Hank Marvin, Brian May, Robbie McIntosh, John McLaughlin, Tom Morello, Rick Nielsen, Orianthi, Brad Paisley, Nile Rodgers, Mike Rutherford, Joe Satriani, John Sebastian, Connor Selby, Slash, Bruce Springsteen, Ringo Starr and Zak Starkey, Sting, Andy Taylor, Susan Tedeschi and Derek Trucks, Ian Thomas, Pete Townshend, Keith Urban, Steve Vai, Waddy Wachtel, Joe Louis Walker, Joe Walsh, Ronnie Wood, Glenn Worf, Zucchero.


sabato 15 giugno 2024

L'immortalità della filosofia


Tess (R. R.) - Filosofia teoretica, 2024 - Acrilico su tela cm 40 x 30

Nel libro “Il grande disegno” di Stephen Hawking e Leonard Mlodinow, c’è un passaggio che gli amanti degli aforismi attribuiscono a Hawking ma che, "conoscendo" il grande fisico, sarei più orientato a “darlo” a Mlodinow:

«La filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza, e in particolare della fisica. Così sono stati gli scienziati a raccogliere la fiaccola nella nostra ricerca della conoscenza …».

Secondo Hawking (o Mlodinov) gli scienziati hanno sostituito i filosofi, hanno dunque portato avanti la ricerca della conoscenza ponendosi delle domande che hanno dato ulteriori spunti per altre domande, questa continua osservazione, indagine ed esplorazione ha portato la scienza a teorie mosse ad una ulteriore ricerca.

Questo “modus operandi” ha un solo nome, filosofia.

La scienza non può fare a meno della filosofia, l’universo ha molte risposte da darci, per ottenerle la scienza deve porre delle domande “assolute” e l’unico modo di procedere è quello filosofico.

lunedì 10 giugno 2024

L'innata essenza e la sua contaminazione

“Definita la nostra anima per gli spirituali, il nostro cervello per i razionali, il nostro cuore per i sentimentali, ognuno può usare il suo termine, ma ciò che si racchiude nelle profondità del nostro essere è la nostra essenza, l’intrinseco di noi stessi senza il quale non esisteremmo neanche come cenere. L’innato è ciò che esiste da sempre e rinasce ad ogni vibrazione del cosmo risvegliandosi e sopendo nel corso di quegli istanti definiti esistenza …”

(da valeriaromsel.com)

Valeria Romsel - Il risveglio dell'innato 2021 - Acrilico su tela cm 70 x 100

Questa è parte della lettura che l’autrice fa del suo dipinto, spesso gli artisti lasciano volutamente degli spazi interpretativi a disposizioni dell’osservatore che in questo modo si può sentire parte attiva nella costruzione dell’opera, Valeria Romsel invece mette in chiaro la sua visione ma l’opera è talmente complessa e affascinante che la sua interpretazione si trasforma in un mezzo con cui iniziare il viaggio nel dipinto.

La creatura, apparentemente mostruosa, ancora in fase di trasformazione, cosa rappresenta? Tutto ciò che è reale e tutto quello che reale non è, se leggiamo le parole di Valeria non possiamo non prendere la strada che ci ha tracciato, ma questo non basta, è necessario intraprendere un percorso all’interno di noi stessi per sbrogliare la matassa, un viaggio tutt’altro che semplice.

Una cara amica, Xoana Nuñez, appassionata d’arte, che prende spunto dalle sue grandi conoscenze in psicologia e filosofia, cosi si esprime: “…credo che sia un po’ tutti e tre, anima cervello e sentimenti, siamo così complessi. E tante volte la complessità è vista come una caratteristica negativa, io invece la considero maestosa”.

Sia la pittrice che Xoana vanno nella medesima direzione ma, pur navigando verso la tessa meta, lo fanno in modo diverso, aggiungono l’una all’altra tasselli fondamentali.

Sempre restando aggrappato alla descrizione dell’artista voglio sottolineare un passo imprescindibile, l’innato è un: “essere di luce, di speranza, gioia pura ingenuità …”, dunque siamo di fronte alla perfezione, al Noi prima della contaminazione.

Xoana Nuñez invece ci mette di fronte a ciò che non riusciamo a cogliere, la maestosità di tutto quello che non comprendiamo o che non è allineato al sentire comune, un sentire che, se non siamo coscienti del nostro essere, ci travolge fino ad annullarci.

Contaminato da chi ci circonda, a sua volta stravolto da noi stessi che ci vergogniamo della purezza nascondendola dietro ad infinite maschere, finzioni che finiscono per renderci veramente “mostruosi”, siamo intimoriti dalle nostre paure, dalle nostre insicurezze, in apprensione per il giudizio altrui, celiamo la nostra bellezza perché pensiamo di non esserne degni.

mercoledì 5 giugno 2024

Chi l'ha fatto?

La fotografia è una forma d’arte nata recentemente, dopo il naturale “rodaggio” oggi è considerata alla pari delle altre arti definite nobili.



Quest’immagine, simile ad altre che possiamo trovare sul web, è un’istantanea del delirio in atto in Ucraina (ma può valere per molti altri luoghi, come il Medioriente).

Se parliamo di arte fotografica viene da chiedersi chi sia l’autore di questa immagine, al giorno d’oggi spesso sono i droni a premere il pulsante che permette di catturare un’immagine, chi è dunque l’artista?

Come non andare, a questo punto, al celebre aneddoto che vede protagonista Picasso e la sua “Guernica”, alla domanda di un gerarca nazista davanti al dipinto: “Ha fatto lei questo orrore?” il pittore risponde: “No, l’avete fatto voi”.

Chi ha dato vita a questa immagine? Semplice, Putin, Zelenski, Biden, i leader europei, quelli cinesi, quelli mediorientali … (potremmo andare avanti parecchio) le multinazionali fabbricanti di armi, le banche, i fondi che finanziano le varie missioni e quelli che già pregustano la ricostruzione.

La fotografia, in quanto opera d’arte, dovrebbe far riflettere, scuotere le coscienze, svegliare una umanità dormiente ma … ma l’umanità continua indifferente il proprio deambulare, adiafora a tutto ciò che non porta benefici, insensibile, apatica di fronte all’arte e di conseguenza indifferente a ciò che la circonda.

Chi dunque ha fatto questa fotografia? ... Noi.


giovedì 30 maggio 2024

Onestà intellettuale cercansi

Un canale su Youtube, dedicato all’arte, pubblica un video dove si discute sul “senso” dell’arte contemporanea, il proprietario del canale ospita uno storico dell’arte (o sedicente tale) in quelle che sono diventate (tristemente) la moda di questi ultimi anni, le famigerate Live.

Manolo Valdés - Recent Works

Il titolo, “Comprendere l’arte contemporanea” mi incuriosisce, mi aspettavo una visione “altra” su un argomento sempre molto discusso.

L’ospite inizia con una frase perentoria “l’arte contemporanea non ha alcun senso”, e motiva la sua affermazione sostenendo che chiunque si recasse in un museo d’arte contemporanea “Il MoMA di New York o la Tate di Londra (curioso che non sia uscito dalla banalità citando i luoghi più celebri, lasciando il sospetto che non ne conoscesse altri) quando esce proverà sempre una sensazione di vuoto, non potrebbe essere altrimenti perché nei suddetti musei non c’è nulla”.

Chi visita una esposizione d’arte contemporanea normalmente parte da due posizioni differenti ma entrambe a seguito di una logica, entra perché è attirato da ciò che si appresta a vedere o con la curiosità di vedere ciò che non lo attira ma con la curiosità di capire perché per alcuni è cosi interessante. Nel caso uno entrasse senza interesse o curiosità ci porta ad una domanda: Non aveva nulla di meglio da fare?

Gli appassionati dell’arte dei giorni nostri non hanno bisogno di qualcuno che gli spieghi il senso, resta dunque la persona curiosa che cerca di capire quello che non apprezza.

Senza scomodare i due celebri musei sopracitati basterebbe entrare in un piccolo spazio di provincia dedicato alle opere degli ultimi decenni per capire che se uno esce con una sensazione di vuoto è perché il vuoto ce l’ha dentro, l’arte contemporanea può non piacere, sa essere spiazzante, incomprensibile, destabilizzante, ma ci spinge sempre a porci delle domande.

Alla fine del percorso potremmo trovarci in una situazione di scombussolamento, sommersi da informazioni apparentemente incomprensibili, magari storditi, un’overdose di “dati” da decifrare, possiamo dire che non ci è piaciuto ma non potremo mai affermare che di quello che abbiamo visto non è rimasto nulla.

Il vuoto semmai è in queste “lezioni”, che “influencer” improvvisati alla ricerca del famoso quarto d’ora di celebrità, buttano nel mucchio l’esca della superficialità aspettando che qualcuno, insofferente all’approfondimento, abbocchi.

sabato 25 maggio 2024

La forza della mente

"Non si sottomette un fiume con la forza, devi arrenderti alla corrente e usare la sua potenza come fosse tua. Il tuo intelletto ti ha portato lontano nella vita, ma non ti porterà oltre, silenzia il tuo ego e il tuo potere aumenterà".

(cit. dal film "Doctor Strange")


Simona Cristofari - Onda


lunedì 20 maggio 2024

Maestri senza luce

“ … se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa”.

Pieter Bruegel (il vecchio) – La parabola dei ciechi, 1568 – Tempera su tela, cm 86 x 154 – Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli.


Il passo dal vangelo di Matteo è il soggetto di questo interessante dipinto di Pieter Bruegel (il vecchio)

Rappresentazione della cecità umana dove la spiritualità lascia il posto alla miopia di un materialismo sempre più presente, l’avanzare affidandosi a chi è altrettanto cieco, in questo modo l’umanità sarà destinata a cadere inesorabilmente, un destino che sembra ormai segnato.

Il paesaggio luminoso sullo sfondo dove spicca una chiesa che a sua volta è parte di un piccolo gruppo di abitazioni che partono dall’estrema sinistra e si allontanano lievemente dalla scena.

Il centro della scena è naturalmente occupato dal corteo di ciechi diretti, l’uno dietro l’altro, nella medesima direzione, aggrappati a chi sta davanti si dirigono verso un fosso dove è già caduto il primo della fila.

Cromaticamente spento il dipinto incarna la miseria umana, i colori freddi e cupi riflettono l’incapacità di scegliere la strada da percorrere, ci si aggrappa agli altri senza valutare se questi ultimi sono in grado di “vedere” dove vanno.

Coperti da pesanti abiti invernali dove si notano i mantelli svolazzanti, mossi dal freddo vento dell’inverno ma anche simbolo di una superficiale leggerezza, i personaggi mostrano la loro cecità tramite le cavità oculari completamente vuote, questo non da adito a fraintendimenti, la cecità è assoluta e irreversibile.

Il dipinto è realizzato con la tecnica della tempera su tela, questo permette di vedere la grana della tela stessa, è infatti strano che il pittore fiammingo abbia deciso di realizzare l’opera utilizzando una tela al posto di una tavola, cosa che faceva regolarmente se non utilizzava la pittura ad olio.

mercoledì 15 maggio 2024

L'inizio del mito

La Tour Eiffel, simbolo riconosciuto di Parigi e della Francia, quante volte è stata ritratta dal giorno della sua realizzazione?

Georges Surat – Tour Eiffel, 1889, olio su tela cm 24 x 15,2 – The Fine Arts Museum, San Francisco


La ovvia risposta ci dice che è impossibile quantificare i dipinti che l’hanno immortalata, chiediamoci allora chi lo ha fatto per primo.

Il celebre monumento è stato inaugurato il 31 marzo del 1889, quest’opera di Georges Surat è dello stesso anno, il dipinto però sembra non essere compiuto, a ben guardare il quadro è finito ma la torre no, manca ancora la parte finale, in linea di massima un quinto dell’intera costruzione, il pittore dunque ne ha fatto un ritratto prima del completamento, alcuni studi sostengono che la tela sia stata realizzata nel gennaio dello stesso anno (la data del dipinto non permette di andare ulteriormente a ritroso nel tempo).

Verosimilmente Surat è stato il primo in assoluto a dare vita ad una riproduzione della torre.

Ad avvalorare questa ipotesi vi è il fatto che quasi a nessuno piacque la costruzione, addirittura più di trecento intellettuali dell’epoca si schierarono ufficialmente contro tale monumento, anche gli artisti contemporanei non ne erano entusiasti, in pratica chi non la osteggiava si limitava ad ignorarla.

Non era però il caso di Surat che era attratto dalla crescente “visione” industriale, le fabbriche e i sobborghi che nascevano attorno ad esse furono il soggetto di molti dipinti del pittore parigino.

L’artista non si limita a rappresentare il grande monumento in modo realistico, lo dipinge vestito a festa, utilizzando la tecnica che lo ha reso immortale ne traccia un profilo gioioso, come se un’infinità di coriandoli annunciassero un nuovo modo di pensare, un lettura del suo contemporaneo che si fa meno cupa e più speranzosa, una boccata d’ossigeno in vista di un esaltante futuro.

venerdì 10 maggio 2024

Anche gli incapaci possono scrivere la storia

Louis Leroy, giornalista di punta del quotidiano satirico “Le Charivari” (che tra gli altri vedeva anche Félix Tournachon, noto come Nadar, tra i suoi caricaturisti) ha il privilegio di scrivere la storia dell’arte grazie alla propria incompetenza e all’arroganza tipica di chi pensa, a torto, di essere al di sopra di tutto e di tutti.

Camille Pissarro – Geléee Blanche, 1873 – Olio su tela cm 65 x 93 – Museo d’Orsay, Parigi  


Nel 1874, per la precisione dal 15 aprile al 15 maggio, a Parigi va in “scena” la mostra della “Società anonima di pittori scultori e incisori”, la rassegna artistica si tiene proprio nello studio del fotografo Nadar, collega di Leroy.

La recensione del critico de “La Charivari” è diretta e senza fronzoli, davanti al dipinto di Claude Monet “Impression solei levant”, si lascia andare a dichiarazioni che passeranno alla storia, “…Impressione, ne ero proprio certo, mi stavo dicendo che nel momento che ero impressionato doveva esserci una certa impressione in esso […] che libertà e che facilità di lavorazione, un disegno preliminare per un modello di carta da parati è più rifinito di questo paesaggio marino”.

Naturalmente la sua ampia visione non si ferma all’opera di Monet, riferendosi a tutto il resto afferma: “Questi sedicenti artisti si definiscono degli intransigenti, degli impressionisti. Prendono delle tele, del colore e dei pennelli, buttano giù a caso qualche tono e firmano il tutto …”.

Partendo dall’impressione del titolo del quadro di Monet e utilizzando il termine stesso in modo dispregiativo, Leroy, suo malgrado da il nome ad uno dei più importanti movimenti artistici, gli Impressionisti.

A volte non serve essere seri e competenti, non è necessario saper fare il proprio lavoro e nemmeno avere una mente aperta e una visione ancor più ampia, con un po' di fortuna si può passare alla storia per la propria stupidità o anche solo per il fatto che si voglia dire qualcosa pur non avendone le capacità.

Questo esempio, e ce ne sono moltissimi altri, è servito a rendere più cauti gli stroncatori contemporanei? Naturalmente la risposta è no, altrimenti non dovremmo assistere alle innumerevoli prediche di chi volge il proprio sguardo solo al passato.

lunedì 6 maggio 2024

E se fosse ora di passare oltre (l'immobilismo dei cultori dell'accademia)?

“Elle a chaud au cul” foneticamente è questo il risultato di “L.H.O.O.Q.” il titolo del ready-made conosciuto come la “Gioconda con i baffi”.

La traduzione letterale dal francese dice: “Lei ha caldo al culo” che può essere rimodulato in: “Lei si concede facilmente”.

Un continuo gioco di parole che conduce al pensiero primario dell’artista francese, sganciarsi dal conformismo imperante, seguire una via nuova, e cosa c’è di più conformista (artisticamente) della Gioconda di Leonardo?

L’opera in questione (Duchamp ne ha realizzate varie copie) è semplicemente una riproduzione fotografica della “Monna Lisa” esposta al Louvre con la sola aggiunta di un vistoso paio di baffi e un pizzetto, l’obbiettivo di Duchamp era quello di mettere in luce l’opera più celebre e “dare scandalo” stravolgendone il senso, lo stesso artista dichiarò: “Ho cercato di rendere quei baffi veramente artistici”.

Ma, come saprà chiunque conosca, anche superficialmente, Duchamp, servono dei particolari ragionamenti per entrare nel concetto espresso dalle sue opere, troppo facile estremizzare visivamente l’essere disponibile della Gioconda, sfruttata fino a farle perdere ogni parvenza artistica fino a renderla una sterile attrazione turistica, serviva un particolare percorso per arrivare alla meta, se fosse stato immediato si sarebbe rivelato a sua volta conformistico.

La moda (fuori moda) di ritoccare la Gioconda è, aimè, in grande spolvero, ma al contrario di quello che fece Duchamp è tutto esplicito, si comprende al primo sguardo, dalla Monna Lisa con il telefonino a quella con la mascherina (le vicende degli ultimi anni non hanno certo sviluppato la fantasia) la Gioconda rocker, quella vampiro ecc. tutto banalmente trito e ritrito.

Duchamp, è sempre bene ricordare che siamo nel 1919, da una scossa ulteriore al conservatorismo dell’epoca, legato ad un accademismo stagnate  che non vuole accettare che il tempo scorre e che vi è una impellente necessità di cambiamento.

La “Gioconda con i baffi” non ha lo stesso impatto mediatico di “Fontain” ma trasmette il medesimo messaggio, probabilmente perché il primo è rimasto un unicum nel panorama artistico mentre la seconda si è via via inflazionata a causa delle continue ripetizioni. Il fatto che il grande pubblico gradisca ancora queste rivisitazioni conferma che, come più di un secolo fa, c’è un impellente bisogno di cambiamento.

domenica 28 aprile 2024

La pioggia come simbolo di redenzione

“Fa che piova, fa che il cielo mi lavi il dolore, fa che piova che sia la pace il nome d’amore”

Claude Monet – Mattina di pioggia sulla Senna, 1897 – Olio su tela – Mational Museum of Western Art, Tokyo






domenica 21 aprile 2024

La direzione dello sguardo

"Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango".

(da Interstellar)

 

René Magritte – I misteri dell’orizzonte, 1955 – Olio su tela cm 50 x 65 

Quando pensiamo al film di Nolan, Interstellar appunto, andiamo con la memoria al pianeta di Man e alle sue gigantesche onde, al tempo che scorre lentamente nei pressi di un buco nero rispetto a ciò che succede sulla terra, pensiamo a Gargantua, forse la più realistica rappresentazione dei giganteschi Black Hole.

Ma è proprio la frase sopra citata che rivela il “limite” umano, sia nel film che nella nostra quotidiana realtà.

Cooper esclama quelle parole dopo che l’insegnante della figlia stigmatizzava il fatto che la giovane ragazza sostenesse la tesi della veridicità dell’allunaggio del programma Apollo.

L’insegnate sostiene che le missioni sono state una finzione atta a mettere in crisi l’Unione Sovietica, e denuncia il fatto che la ragazza si azzuffasse con i compagni per: “questa assurdità dell’Apollo”.

Queste assurdità, una teoria che ha molti seguaci oggigiorno, e che, se stiamo all’esito raccontato nel film, non ci condurranno molto lontano.

Tornando alla frase iniziale, non possiamo non accorgerci che stiamo abbassando sempre più la testa, sono pochi quelli che hanno ancora il coraggio di guardare in alto, o forse sembrano pochi perché lo fanno in silenzio, in contrapposizione dei cultori del nulla che non fanno altro che urlare.


lunedì 15 aprile 2024

L'arte, i sogni, i ricordi

Qualche anno fa ebbi l’occasione di visitare una mostra a Brescia, nelle sale della Pinacoteca Tosio Martinengo erano esposti numerosi dipinti “raccolti” tra le numerose collezioni private della provincia omonima.

Cesare Bortolotti - Castagno secolare, 1904 - Olio su tela cm 95 x 130 - Collezione privata

Il titolo dice: “Picasso, De Chirico, Morandi, 100 capolavori del XIX e XX secolo dalle collezioni private bresciane”, naturalmente i nomi di spicco sono quelli che appaiono nel titolo ma è l’intero percorso, dove artisti celebri si accompagnano ad altri meno conosciuti, ad essere particolarmente affascinante.

Seguendo la guida che ci illustrava le varie opere lo sguardo mi cade su un dipinto che si inseriva perfettamente nel contesto della sala, sulle pareti erano appesi numerosi paesaggi, il rischio di passare inosservato era alto, quantomeno c'era la possibilità che il resto lo inglobasse.

La mia prima reazione, immediata, sta nella frase che ho detto a mia moglie: “mi sembra di essere tornato a Paspardo”.

Paspardo è un piccolo comune della Valle Camonica in cui ho vissuto dall’età di sette anni fino al compimento dei 14, la scena, ma soprattutto il paesaggio del quadro mi ha riportato agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, avevo la sensazione di essere stato proprio nel posto “raccontato dal dipinto.

Ad un certo punto la guida prende in considerazione proprio quest’opera e le prime parole sono state: “Cesare Bertolotti con questo quadro racconta i boschi di castagno che, a tutt’oggi, circondano il paese di Paspardo”.

Dunque non si trattava di suggestione ma quel posto era veramente il luogo che conoscevo, in cui ho vissuto fino a quarant’anni  prima, i castagni, le rocce, bianche, ora ne sono certo, so esattamente dove Bertolotti si è fermato a dipingere quello scorcio.

La tecnica non perfetta trasmette una sensazione di leggerezza poetica, non è la fotografia di un luogo, è la proiezione di sensazioni intense legate a quel posto, la poesia che emerge da quella donna che con la “gerla” colma d’erba fa ritorno a casa, ed è proprio il ritorno il tema che il mio vissuto percepisce dal dipinto.

In quell’istante vengo proiettato indietro nel tempo, non è l’istantanea di quella località a permettermi il viaggio, è la poesia dell’arte a tracciare la via.

Pensare che un dipinto del 1905 sappia, nel 2019, aprire un portale che porta al 1975 ...  

mercoledì 10 aprile 2024

L'eterogeneo universo dell'arte (al di là dei riferimenti personali)

“In realtà Hopper è semplicemente un cattivo pittore, ma se fosse un pittore migliore, probabilmente non sarebbe un artista cosi grande”.


Edward Hopper – Gas, 1940 – Olio su tela cm 66,7 x 102,2 – The Museum of Modern Art (MoMA) New York 

Questa frase, apparentemente paradossale, di Clement Greenberg, mi spinge all’ennesima riflessione: è sempre più evidente che non tutti quelli che dipingono si possono definire pittori, a maggior ragione sono pochi i pittori che si possono definire artisti.

L’illusoria semplicità, un “disordine” tecnico o una cromia “sporca”, o al contrario, la complessità descrittiva, una tecnica inappuntabile o una pulizia assoluta, non sono un parametro sufficiente per considerare o meno “artista” chi si dedica alla pittura.

L’artista è colui che “dice” quello che fino ad allora nessuno aveva nemmeno pensato.

Hopper sicuramente non è un cattivo pittore (come sostiene provocatoriamente Greenberg) ma non possiamo nemmeno definirlo un’eccellenza tecnica, Hopper è un artista che tramite la pittura ha “detto” qualcosa che fino ad allora nessuno aveva pensato di fare.

Ha raccontato l’animo umano come nessuno aveva fatto fino ad allora, ne ha mostrato le debolezze, ha dato volto alla solitudine, ha descritto la “strada” della modernità dal punto di vista delle emozioni o della limitazione delle stesse.

Se il pittore americano è riuscito ad entrare negli occhi e nel cuore di moltissimi appassionati d’arte non è per la sua tecnica pittorica ma per la capacità di comunicare, attraverso le sue opere, con l’osservatore in cerca di sé stesso, grazie ad un linguaggio solo apparentemente semplice ma estremamente efficace.

 

venerdì 5 aprile 2024

L'arte in movimento

L’arte deve viaggiare o deve essere meta di un viaggio?

Giovanni Bellini (con intervento sul paesaggio di Dosso Dossi e Tiziano Vecelio) - Festino degli dei, 1514 – Olio su tela cm 170 x 188 – National Gallery of Art, Washington


Da tempo si discute sulla libera circolazione delle opere d’arte, è il caso di farle circolare per i cinque continenti o fare in modo che siano visibili nelle loro “cattedrali”?

In entrambi i casi c’è un beneficio ed il naturale “altro lato della medaglia”.

Le opere in movimento darebbero la possibilità a chi non può viaggiare di poterle ammirare, ma non è da sottovalutare il rischio (altissimo) di danneggiamento per non parlare di un deterioramento che le condannerebbe all’oblio.

Se restano definitivamente nei loro luoghi abituali si riduce sensibilmente il numero di persone che possono ammirarle ma, oltre al discorso conservativo, si aggiunge l’importanza della visita legata alle culture che le ospitano.

In molti sono convinti che le opere d’arte debbano “risiedere” nel paese dove sono state realizzate, questo però impedirebbe uno scambio artistico e culturale che reputo fondamentale.

Un dipinto realizzato in Italia da un pittore italiano ha il diritto di “prendere casa” negli Stati Uniti, in Asia o in Sudamerica, naturalmente il discorso cambia per quelle opere che sono state trafugate da paesi, che si dichiarano “civili”, a scapito di altri popoli indifesi.

Oggi, al netto di tante opere che andrebbero restituite, abbiamo l'infinita opportunità di ammirare dipinti, sculture e fotografie di paesi lontani esposte, legalmente, in altri luoghi in giro per il mondo.

A Parigi, Londra, Cracovia, Washinton, si possono ammirare quadri di Leonardo da Vinci, questo permette di osservare le opere del grande artista toscano senza doversi recare in Italia, noi possiamo fare altrettanto con Pollock senza l'incombenza di attraversare l’Atlantico (questo è solo un esempio tra moltissimi altri).

Non so quale sia la scelta ideale, forse la via di mezzo è la scelta più logica, peraltro già attuata, il movimento limitato a mostre particolari che riuniscono le opere di un singolo artista.

sabato 30 marzo 2024

Un altro sguardo sull'ultima cena

A Barcellona, sulla “Facciata della Passione” del Tempio Espiatorio della Sacra Famiglia, universalmente conosciuto come Sagrada Familia, possiamo ammirare il favoloso Ciclo della Passione realizzato dallo scultore catalano Josep Maria Subirachs.


La serie di sculture inizia nel 1987 e si conclude nel 2009, l’incontro tra Gesù e gli apostoli che da il via alla Passione è la prima opera del ciclo stesso.

Sull’ultima cena l’arte si è esibita praticamente da sempre, le tredici figure sono rappresentate in modi e contesti differenti, alcuni dipinti, alcune sculture, sono diventati iconici, parte della storia stessa dell’arte.

Lo schema di quest’opera riesce ad essere differente, anche se non unico, Gesù, normalmente è inserito al centro con gli apostoli di fianco, se questi ultimi non sono allineati con il Cristo sono rappresentati di spalle, il Figlio di Dio è sempre di fronte all’osservatore.

In questo caso da le spalle alla gente e si rivolge esclusivamente ai propri amici (che poi altro non sono che un sunto dell’umanità intera) in particolare posa lo sguardo su Giuda, quello che più di altri rappresenta l’uomo nella sua “povertà”, infatti la targa, in catalano, riporta le parole che Gesù rivolge a Giuda: “ quello che devi fare fallo al più presto” (in catalano: “più in fretta”).

Non intendo approfondire l’Ultima cena in quanto tale, vorrei solo lasciarvi alle suggestioni che quest’opera ci regala, l’ennesima visione che lascia da parte i canoni regalandoci un altro punto di vista.



lunedì 25 marzo 2024

La materia e il linguaggio interpretativo

In una trasmissione televisiva (ebbene si, ci sono ancora programmi di alto livello) è stato formulato un interessante quesito: “ la matematica è un’invenzione dell’uomo o una scoperta in quanto già esistente?”.


Jacopo de Barbari (attribuito) – Ritratto di Luca Pacioli, 1495 ca. – Olio su tavola cm 99 x 120 - Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli


Durante la trasmissione sono comparsi altri “particolari” che hanno indirizzato le ipotesi verso quella che potrebbe essere la strada giusta, la matematica è il linguaggio che permette all’umanità di comprendere sé stessa e ciò che la circonda.

Questo non risponderebbe alla prima domanda ma darebbe vita ad altri interrogativi, se la terza ipotesi è la più verosimile le prime due passano in secondo piano (momentaneamente).

Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dalle cellule alle galassie, ogni cosa viene compresa grazie alla matematica.

Considerato il livello di conoscenza della matematica stessa dell’uomo medio chi è veramente in grado di “conoscere sé stesso”? Perché senza la conoscenza di sé è impossibile comprendere “l’altro”.

Ma “l’altro” non sono solo le persone che incontriamo, “l’altro” è tutto ciò che ci circonda.

La matematica ci permette di “misurare” la materia di cui è composto il nostro mondo, è in grado di misurare le emozioni, le sensazioni positive e quelle negative?

La matematica ci può aiutare a comprendere la musica, la poesia, la pittura e qualsivoglia proiezione dell’essenza dell’uomo?

Siamo i figli della matematica o ne siamo la genesi?