sabato 26 giugno 2021

Rendere semplice quello che non lo è, Jeff Porcaro

Torno alla batteria (non in quanto musicista, non la so suonare, ma come argomento) per proporre un batterista che ha scritto la storia del rock, ma lo ha fatto quasi in sordina, senza proclami, senza particolari esibizioni, ha scritto la storia celandosi dietro brani eccelsi eseguiti dal gruppo che ha fondato con il fratello Steve.

Siamo parlando dei Toto, gruppo statunitense noto per numerosi capolavori tra cui Africa, Hold the line, Stop loving you, I’ll be over you e naturalmente Rosanna che voglio proporre come esempio della grandezza di Jeff.

Spesso sottovalutato o probabilmente scomparso troppo presto, Jeff Porcaro era, ed è tutt’ora, l’emblema della batteria stessa.

Musicista eclettico e stacanovista, non si è limitato alla partecipare alla “costruzione” dei brani dei Toto ma ha collaborato con centinaia di artisti mettendo la firma ad infinite canzoni.

Come sempre succede per chi muore in giovane età (aveva 38 anni) il percorso musicale è inevitabilmente incompleto, l’evoluzione si è interrotta e dove avrebbe portato il suo “modo” di suonare non lo sapremo mai.

In questo brano storico dei Toto l’immensa classe di Jeff Porcaro si palesa apertamente.

Nell’apparente semplicità si esibisce in un esempio di talento e genio che producono un “suono” vicino alla perfezione.

Quella che doveva essere l’introduzione si trasforma nella colonna portante del brano, dove tutto sembra semplice emerge il talento di Jeff, saper rendere facile quello che in verità è tutt’altro è cosa estremamente rara.

Non sono un esperto e non voglio entrare in tecnicismi e terminologie che non mi competono, mi piace entrare nella magia della musica, in questo caso nella perfezione del musicista.  

Se avete qualche minuto ascoltate questo brano (ho evitato il video ufficiale per eliminare la distrazione delle immagini) e concentratevi sulle percussioni, secondo me è semplicemente favoloso.



Isolando ulteriormente la batteria dal resto ci si rende conto della complessità concettuale nella semplicità dell'esecuzione.

sabato 19 giugno 2021

Il destino e il significato della sua profondità

 Autore:   Franz Marc

(Monaco di Baviera, 1880 – Verdun, 1916) 

Titolo dell’opera: Destini di animale (Gli alberi mostravano i loro anelli annuali, gli animali le loro vene) 1913

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 196 cm x 266cm

Ubicazione attuale:  Kunstmuseum, Basilea



Dobbiamo innanzitutto prendere in considerazione la genesi del titolo, Marc in prima battuta decise di intitolare il quadro “Gli alberi mostravano i loro anelli annuali, gli animali le loro vene” e sul retro del quadro scrisse: “e l’intera esistenza non è che ardente dolore”, solo successivamente, rendendosi conto che era tutto troppo elaborato per il titolo di un’opera, chiese all’amico Paul Klee un suggerimento, il pittore svizzero propose “Destini di animale” come riassunto del concetto di Marc.

Secondo punto fondamentale per comprendere il dipinto non va ignorata una lettera spedita alla moglie Maria, scritta su una cartolina raffigurante il dipinto in questione, che diceva: “E’ come un presentimento di questa guerra orribile e toccante; non riesco quasi ad immaginarmi che l’abbia dipinto io! Nella fotografia sembra essere così incredibilmente vero da essere inquietante.”

Partendo da queste informazioni ci approcciamo al quadro consapevoli che l’apparente astrazione tale non è, dal dipinto emergono, non senza sforzo e fatica, le figure di alcuni animali, maiali, cavalli, lupi e un capriolo che si erge a protagonista al centro del quadro, il dinamismo estremo, il turbinio della scena danno l’impressione che stia accadendo qualcosa di estremamente devastante, come se la natura cercasse di ribellarsi ad una forza oscura che la conduce all’autodistruzione.

Oltre agli animali che sembrano i soggetti meno “esagitati” del quadro vediamo i fusti degli alberi che vorticano fino a spezzarsi, le fronde che prendono una forma minacciosamente appuntita si scagliano sulla fauna nel tentativo di annientarla, le linee tratteggiate in alto a sinistra, tra i due cavalli, sembrano schizzi di sangue, il segno più inquietante dell’intero dipinto.

Come ho già avuto occasione di ricordare quando proposi un’altra opera di Franz Marc, il pittore perse la vita nel corso del primo conflitto mondiale, che nella pittura di Marc ci fosse una sorta di premonizione è una teoria che si ripresenta spesso nelle sue opere, altrettanto vero che nei suoi lavori troviamo una proiezione futura che raramente si riscontra in altri artisti.

sabato 12 giugno 2021

Il "reale" e la realtà

“Un’opera d’arte è degna di questo nome solo se ha la forza di entrare in rapporto all’assoluto della vita e della morte.”

“L’arte è un ponte che porta verso l’assoluto”

“C’è opera d’arte quando quest’ultima si confronta con ciò che appare come impresentabile e la morte è il luogo per eccellenza della “irrapresentabilità”. La morte non ha immagine cosi come l’assoluto della vita.
Nella grande arte esiste un rapporto fondamentale tra l’immagine e ciò che non ha immagine, la forza dell’immagine non è restituire ciò che esiste nella realtà ma restituire quello che non ha immagine.”

Queste tre citazioni, la prima di Mark Rotkho, la seconda di Carol Wojtyla, la terza di Massimo Recalcati ci danno il viatico per una considerazione fondamentale sull’arte e sulla visione artistica che cerca di raffigurare l’irrafigurabile.

Il punto cruciale viene ancora dalle parole di Recalcati: “L’artista non si confronta con la realtà, con quello che semplicemente esiste, si confronta con ciò che non esiste. L’arte è il reale che scuote la realtà”.

Realtà vs reale, potremmo intitolare cosi questo spunto, la realtà è la cornice, la tela, il chiodo che sostiene il quadro, il luogo dove il quadro è esposto, il reale è ciò che emerge dal dipinto, l’essenza stessa dell’opera.

Può apparire una contraddizione o un nonsense ma solo in questo modo possiamo fare una distinzione tra l’opera in quanto “struttura materiale” e l’opera come espressione artistica.

Il fotografo ferma l’attimo, il paesaggio al tramonto è la realtà, la poesia che trasmette è il reale, non è facile capire dove finisca l’uno e inizi l’altro (un confine che sto cercando da molto tempo) ma con un po’ d’impegno si può intravedere una vaga linea di demarcazione che ci indica approssimativamente dove dobbiamo andare.

Jaques Lacan diceva: “siamo nel sonno della realtà”, l’arte ci sveglia portandoci nel “reale”, dunque quest’ultimo altro non è che il luogo della consapevolezza mentre la realtà è l’abitudine quotidiana che ripetendosi sistematicamente intorpidisce i sensi lasciandoci privi di “vitalità”.

L’arte come risveglio dei sensi, oltre che delle coscienze, l’arte ci apre un orizzonte che la nostra monotonia quotidiana ci impedisce di vedere.


(nell’immagine: Claudio Parmiggiani - Senza Titolo, 1995 - Vetro e pigmento su tavola, 100 x 140 cm. - Courtesy Galerie Meessen de Clercq, Bruxelles)


sabato 5 giugno 2021

Veicolare il pensiero, l'arte e la divulgazione delle idee

Voglio addentrarmi nel mondo, complesso e affascinante, artisticamente parlando, delle copertine degli album musicali, dove la contaminazione reciproca unisce i musicisti agli artisti, in particolare pittori (anche se i musicisti stessi sono artisti, almeno alcuni di loro). 

Questa copertina del 1988 è stata realizzata da Gerhard Richter e ed è parte grafica dell’album dei Sonic Youth “Daydrimen Nation”.

Il gruppo newyorkese icona di un rock “noise” legato prevalentemente al rock sperimentale ha regalato parecchie “perle” con le copertine dei propri lavori.

I componenti del gruppo erano a loro volta pittori, poeti, scrittori e fotografi, la collaborazione con Richter sembra quasi naturale.

La copertina in questione propone una limitata scala cromatica cosi come è limitata la varietà di particolari, sfondo anonimo, quasi in dissolvenza e una candela accesa.

L’opera originale di Richter nasce cinque anni prima con il semplice titolo di “Candela”, nell’album viene riproposta senza alcun cambiamento, solo l’aggiunta del titolo dell’album stesso e il nome del gruppo.

Concettualmente però possiamo andare più in profondità, dobbiamo innanzitutto prendere in considerazione la “spinta” politicizzata del gruppo, il titolo correlato all’orientamento politico e dunque dare un’interpretazione alla fiamma che lambisce la parola “Nation”.

Siamo alla fine degli anni ottanta, gli Stati Uniti si dividono in due schieramenti, pro e contro Ronald Reagan, il gruppo in questione è contro.

Seguendo il pensiero dei membri del gruppo quest’opera auspica la fine dell’era reaganiana, secondo i componenti del gruppo si avvicina il giorno in cui si sogna qualcosa di diametralmente differente, un barlume di speranza, la fievole fiamma della candela che illumina la nazione, ed è proprio quel particolare a dirci quale è il messaggio dei Sonic Youth.

Naturalmente non è di politica che volevo parlare ma della “potenza” dell’arte nel veicolare il pensiero che ognuno è libero di esprimere.

Richter da vita ad un’opera apparentemente “semplice” ma che al contempo apre a mille sfumature, infatti bastano poche parole per modificarne il senso, il resto lo fa il concetto che sta dietro ad un lavoro, conoscendone la “storia” anche la nostra interpretazione prende un’altra strada.