martedì 23 luglio 2024

Il contesto dell'arte e le deviazioni concettuali

È triste la notte

Tra le nubi scure

Il suo tetto è il cielo

La mente è vagante

Dentro un labirinto

Senza via d’uscita


Se prendiamo due opere, l’una pittorica, l’altra una poesia, le decontestualizziamo, le uniamo come se si trattasse di un’opera unica e ne “ritocchiamo” l’aspetto visivo, possiamo ottenere qualcosa di diverso da quello per cui sono state create?

La poesia di Sara Acireale non lascia spazio a molti fraintendimenti, va dritta al punto raccontando le sensazioni claustrofobiche dei momenti più cupi della vita di molti.

Il “Cappio” di Michelangelo Pistoletto invece, anche se non può sembrare cosi, permette molte interpretazioni, più o meno serie, più o meno cupe.

In apertura al post ho affiancato alla poesia l’immagine dell’opera di Pistoletto (serigrafia su carta argentata, 1973) ritoccata in modo da renderla più tetra, il risultato è di sicuro impatto ma non è quello che gli autori volevano trasmettere (perlomeno per ciò che riguarda l’artista biellese).

Una di queste serigrafie fa mostra di sé nello studio-sala da pranzo nella casa dello stesso Pistoletto, secondo lui il cappio non rappresenta il lato più cruento ma quei legami che non ci permettono la massima libertà, non è detto che si tratti di legami negativi o fastidiosi anzi, legami affettivi che siamo felici di avere ma che influenzano inevitabilmente le nostre scelte.

Un aneddoto racconta che Gianni Agnelli si recò a casa di Luca Cordero di Montezemolo il giorno delle sue nozze, portava con sé un regalo per la copia, naturalmente stiamo parlando dell’opera in questione realizzata da Pistoletto.

Tra il serio e il faceto Agnelli omaggia gli sposi di un’opera d’arte e al contempo sottolinea quello che, secondo lui, è il matrimonio.

Il cappio di Pistoletto dunque è lontano da quello che potrebbe apparire affiancato alla poesia della Acireale, le due opere assieme raggiungono un livello tragico altissimo, separate prendono una strada, anche se non completamente diversa, sicuramente meno angusta.



Michelangelo Pistoletto - Cappio 1973- Serigrafia a specchio su policarbonato cm 82x58,5




 

lunedì 15 luglio 2024

Ma alla fine c'è sempre una speranza

Pochi giorni fa è scomparso Bill Viola, artista newyorkese, a tutti gli effetti una delle massime espressioni dell’arte contemporanea, considerato il padre della video art.

Per ricordarlo ho scelto “The raft”, opera del 2004.


Bill Viola, con quest'opera, ha rappresentato il mondo, l’umanità, prima e dopo un cataclisma immane, una moderna “Zattera della Medusa”.

Il video ci mostra un gruppo eterogeneo di persone, diversi per genere, etnia, stato sociale, sono disconnesse l’una dall’altra, sono sospese in un’attesa "a tempo" dove sembra poter accadere qualunque cosa in qualsiasi momento ma nessuna delle diciannove figure pensa ad altro che non a sé stessa.

Il mondo dove il gruppo è collocato è quello contemporaneo dove però è assente ogni riferimento ambientale, niente cielo, niente terra, non ci sono alberi, non ci sono costruzioni di alcun tipo, è tutto asettico, nulla si è formato o tutto è scomparso.

All’improvviso  un getto d’acqua investe il gruppo che ne viene travolto, nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto che un altro violento flusso colpisce dalla parte opposta, un autentico diluvio che sommerge tutto (anche se del tutto c’è solo il suo contrario) e tutti.

Ad un certo punto il cataclisma perde forza fino a scomparire, ciò che resta è un cumulo di “macerie” umane, questa distruzione però non riesce a radere al suolo qualunque stato d’animo anzi, quelle che erano persone isolate dalle altre mutano il loro modo di agire, si aiutano a vicenda cercando di dare conforto all’altro e cercando a propria volta conforto nell’altro.

Bill Viola con quest’opera ci dona un po’ di speranza, forse è proprio nei momenti difficili che emerge quel senso di umanità che a volte pensiamo sia in via d’estinzione.


martedì 9 luglio 2024

La libertà espressiva dei colori

 

Helen Frankenthaler – Montagne e mare, 1952 - Olio su tela cm 220 x 298 -
National Gallery of Art, Washington 


Pioniera di una tecnica che è diventata parte integrante dell’espressionismo americano, Helen Frankenthaer dipinge su una tela non mesticata, questo permette ai colori di muoversi liberamente al contatto con la tela stessa come l’inchiostro si spande a contatto della carta assorbente o l’acquerello su un foglio di carta bagnato abbondantemente.

I soggetti citati nel titolo si possono intravedere o forse sono frutto dell’influenza del titolo stesso che ci spinge a notare anche ciò che non c’è.

Sicuramente la pittrice statunitense ha dipinto le montagne e il mare ma è proprio la libertà del colore di andare dove vuole a portare l’opera da un’altra parte.

La tela non trattata dunque si trasforma in un passaggio che permette ai colori di vivere di vita propria seguendo strade ignote all’autrice, la Frankenthaler da inizio ad un “racconto” ma non sa dove questo porterà.

Ad ingigantire l’effetto “liberatorio” dei colori è il formato delle tele su cui l’artista riversa il proprio pensiero, grandi supporti che acuiscono la sensazione di infinita libertà espressiva.

lunedì 1 luglio 2024

Convergenze

Cosa accomuna una poesia di Jorge Luis Borges e un dipinto di Marc Chagall?

Naturalmente a fare da filo conduttore è la grande arte, opere di due artisti eccelsi che hanno saputo raccontare e raccontarsi utilizzando forme d’arte che li rendono immortali.

Marc Chagall - Il paesaggio blu, 1949 - Guazzo su carta cm 77 x 56 - Musem Von der Heydt, Wuppertal 



La Luna

C’è tanta solitudine in quell’oro.

La luna delle notti non è la luna che vide il primo Adamo.

I lunghi secoli della veglia umana l’hanno colmata di antico pianto.

Guardala. È il tuo specchio.


Il titolo della Poesia di Borges: “La Luna”, può non avere nulla in comune con “Il Paesaggio blu” del pittore russo, il poeta argentino si riferisce alla luna, Chagall sembra metterla in secondo piano, quasi non fa parte del suo “racconto”.

Ma dietro queste due visioni apparenti si cela l’amore dei due artisti per le donne che hanno amato, che hanno segnato le loro vite: Maria e Bella.

Borges racconta la sua amata Maria Kodama paragonandola alla luna, una personalità che aveva, come il satellite terrestre, il lato luminoso, riconoscibile da chiunque ed uno più nascosto, visibile solo da chi sapeva scendere in profondità.

La stessa visione ce l’ha Chagall che racconta la moglie, Bella Rosenfeld, andando oltre la realtà, ne narra i sentimenti, le sensazioni, le emozioni, collocandole in una dimensione eterea, spirituale.

Dietro queste due struggenti opere c’è la forza di un amore eterno che sa spingersi oltre l'orizzonte terreno, oltre ogni confine visibile, al di là di ogni immaginazione.