sabato 25 gennaio 2020

Il visibile e ... Hans Jean Arp


Autore:   Hans Jean Arp
(Strasburgo, 1886 – Basilea, 1966)

Titolo dell’opera: Foglie e ombelichi I - 1930

Tecnica: Legno dipinto

Dimensioni: 101 cm x 81 cm

Ubicazione attuale:  MoMA (Museum of Modern Art), New York






L’immobilità dell’opera è punteggiata da piccole forme circolari la cui ombra interrompe l’omogeneità cromatica del dipinto.

Le forme sono disposte apparentemente a caso ma creano in questo modo un’armonia sia visiva che nella percezione concettuale.

Ad un primo sguardo evocano la disposizione delle gocce  di pioggia su un vetro, comprese le quattro figure a destra dall’aspetto di foglie fluttuanti, ma questa potrebbe essere un’interpretazione forzata dal titolo.

Quest’opera sembra sospesa nel tempo, tutto sembra immobilizzato, fermo in attesa che qualcosa succeda o che semplicemente il tempo stesso torni a scorrere come se nulla di eclatante fosse successo.

Le foglie (del titolo), le gocce d’acqua (nella percezione) e il simbolo “ombelicale” delle forme circolari contribuiscono a creare l’illusione di un ipotetico centro strutturale, un universo infinito e al contempo limitato dal bordo della tavola.

Arp si è dedicato, oltre alla pittura su legno, anche alla poesia ed è forse da quest’ultima che ha attinto per dare vita a questo quadro, non va inoltre ignorata la “presenza” fondamentale dell’artista nel cuore dei più importanti movimenti artistici che hanno rivoluzionato l’arte nei primi anni del novecento, in particolare il movimento dadaista che apre ulteriori strade interpretative di una concezione unica del mondo visibile e non solo.

sabato 18 gennaio 2020

Siamo pronti per un viaggio nel passato?


Sentiamo spesso dire che l’arte contemporanea è difficile da comprendere rispetto all’arte classica che, sempre secondo la convinzione comune, è più “fruibile” in quanto immediata visivamente.

Se facciamo fatica a comprendere ciò che viene realizzato nel nostro periodo storico come pensiamo di capire quello che è stato realizzato in un contesto a noi sconosciuto?

Pensiamo che basti osservare un dipinto di Vermmer, una scultura del Bernini o un affresco di Masaccio e, per miracolo, tutto ci è chiaro.

Davanti a un quadro di Kiefer possiamo fermarci e riflettere mettendo sul piatto la conoscenza del nostro tempo (che è lo stesso dell’opera di Kiefer) serve una dose di impegno ma possiamo “avvicinarci” al pensiero artistico del pittore tedesco.

Davanti ad un’opera di tre o quattro secoli fa (pur mettendo in conto conoscenze e studi approfonditi) non andremo mai oltre una personale interpretazione, è impossibile comprendere l’essenza di un’opera se non abbiamo “toccato” fisicamente e spiritualmente la vita sociale e culturale del tempo in cui viene eseguita.

Se l’arte contemporanea è “difficile”, quella precedente è praticamente "impossibile".


Anselm Kiefer – Dragon (Drache) 2001, olio su tela cm. 185 x 220,5. Hig Museum of Art, Atlanta

sabato 11 gennaio 2020

Il particolare che cambia l'interpretazione, Lorenzo Lotto


Autore:   Lorenzo Lotto
(Venezia, 1480 – Loreto, 1556/1557)

Titolo dell’opera: Deposizione nel sepolcro – 1512

Tecnica: Olio su tavola

Dimensioni: 298 cm x 197 cm

Ubicazione attuale:  Pinacoteca Civica, Jesi





La grande pala d’altare  datata 1512 viene realizzata dopo l’esperienza romana del pittore veneziano e prima del trasferimento a Bergamo.

E’ evidente l’influenza della pittura romano-toscana, in particolare spicca il richiamo a Raffaello con cui si è confrontato nel suo soggiorno a Roma.

In questo caso voglio soffermarmi su un piccolo particolare, in alto a destra, incastonato sulle colline laziali notiamo il Golgota rappresentato nell’istante successivo alla deposizione di Gesù dalla croce.

Otto  figure, due sono dei “ladroni” crocifissi con il Cristo, popolano la scena, a sinistra un uomo è impegnato nell’atto di slegare il corpo inerme dalla croce, accanto a lui un'altra figura sembra raccogliere qualcosa da terra.
Ai piedi della croce che ha “ospitato” il corpo di Gesù si stanno smontando le scale utilizzate per portarne a terra il corpo.

Interessanti le tre presenze a destra ai piedi del’altra croce, una è seduta a terra è non è chiaro cosa stia effettivamente facendo, un soldato armato di lancia e scudo è fermo in piedi alle spalle della figura più enigmatica, quest'ultimo infatti lascia spazio a molteplici interpretazioni e, per come è rappresentato, ci porta a “viaggiare” senza limiti verso congetture più o meno realistiche.

Questo particolare sfugge al primo sguardo quando ci si trova davanti al grande dipinto che colpisce per ben altri particolari, tecnici, cromatici e concettuali.
In alto gli angeli sostengono una nuvola su cui campeggia il monogramma “YHS” (Gesù), ma sono i protagonisti in baso a catturare l’attenzione dell’osservatore.

Come in tutte le deposizioni il corpo di Cristo passa quasi in secondo piano, questo è dovuto alle azioni degli altri personaggi che si apprestano a chiudere la vicenda legata alla passione e morte del figlio di Dio.

La disperazione della madre e la prostrazione della Maddalena sono rappresentate in modo teatrale ma di grande impatto emotivo, in particolare Maria Maddalena che vorrebbe sfogare il proprio dolore con un grido liberatorio che però rimane chiuso in gola.

Nicodemo con i denti sostiene il lenzuolo, lo sforzo evidente nasconde la rabbia e la frustrazione, Pietro mostra i chiodi simbolo di una eredità sinistra. Giovanni in lacrime stringe i pugni che sono nascosti, solo apparentemente,dal mantello.
Ai piedi del sepolcro i simboli della passione, la corona di spine, la tenaglia e il martello.


Ci sono particolari che sommati creano l’insieme di una composizione e vanno a completare una costruzione globale, il particolare del calvario, in quest’opera, va oltre la composizione e proietta l’interpretazione in un’altra dimensione concettuale.

sabato 4 gennaio 2020

Visioni o premonizioni? Alfred Kubin


Bertold Brecht riassunse la condizione della Germania in un arco di tempo che va dalla guerra franco-prussiana al secondo conflitto mondiale passando per la grande guerra: “Cartagine portò avanti tre guerre, era ancora potente dopo la prima, ancora abitabile dopo la seconda. Dopo la terza non era più individuabile”.


Alfred Kubin, nato a Leitmeritz, (oggi Repubblica Ceca ma che allora era parte dell’impero austro-ungarico), nel 1887, le vicissitudini famigliari (perse la madre a dieci anni colpita da tubercolosi e subì costantemente le violenze fisiche e psicologiche di un padre che lo reputava un fallito) e la situazione politica, sociale e culturale di una nazione allo sbando, hanno indirizzato Kubin a una “rappresentazione” artistica che mostrava con realismo concettuale e “follia” simbolica il vissuto di quegli anni e, soprattutto, una visione limpida e cruda di ciò che sarebbe successo di li a breve.

Queste tre opere, due incisioni e un disegno, sono l’esempio della percezione del momento dell’artista boemo.


 L’ora della morte, datata 1900, ci presenta la porta che conduce all’’inferno, l’ora inesorabile della morte, l’uomo che vede la luce per pochissimo tempo ed è costretto a lasciare questa breve e violenta esistenza senza poter fare nulla per contrastare l’inesorabile “lancetta” di questo orribile orologio.


L'ora della morte, 1900 - incisione, cm. 19 x 8,5
Collezione privata

L’anno dopo esegue La donna a cavallo, qui non è più l’ineluttabile ciclo vita-morte a essere protagonista, la donna elegantemente vestita di nero cavalca un cavallo a dondolo che alla base ha due mezzelune, le classi agiate si dondolano su quelle più povere, la “base” viene triturata dalle élite che con supponenza voltano lo sguardo davanti alle loro nefandezze.


Donna a Cavallo, 1901 - penna, inchiostro e guazzo su carta, cm. 39,7 x  31
 Städtische Galerie, Monaco


Nel 1903 ecco apparire Il tiglio di Hausham, in una radura, dove le molteplici sfumature di grigio la fanno da padrone, una strada è costeggiata da un albero costellato da corpi impiccati, l’esecuzione dei disperati, tragedia che non può non fare riferimento a ciò che accadrà.


Un simbolo tutt’altro che nascosto lascia però spazio a all’interpretazione, nel particolare al centro della scena, una volpe esce dall’erba alta e si siede in mezzo alla strada (l’altra volpe rimane nell’erba incuriosita dall’albero e allo stesso tempo dall’altro animale) e guarda con attenzione il terribile spettacolo, cosa “scorre” nei pensieri della volpe non lo sappiamo, forse quella volpe siamo noi e a questo punto ognuno può farsene un’idea.


Il tiglio di Hausham, 1903 - incisione, cm. 17 x 28
Collezione privata