domenica 30 novembre 2025

I semplici tratti (caratteriali) dell'arte

Davanti a questa piccola tela difficilmente pensiamo di trovarci immersi nell’arte di inizio novecento, il semplice ritratto di una giovanissima donna dalla chioma ramata sembra realizzato nel tempo che stiamo vivendo.

Helene Schjerfbeck – La ragazza dai capelli rossi, 1915 – Olio e grafite su tela cm 37 x 36 – Art Museum Gösta, Mänttä


Questo ci può portare ad alcune considerazioni, è una fuga dagli stravolgimenti artistico culturali dell’epoca (il dipinto è datato 1915) o la proiezione è spinta tanto lontano che dopo oltre un secolo è fresca, attuale?

Gli illustratori, i pittori in generale hanno subito l’influenza delle opere di Helene Schjefbeck tanto da ripercorrerne il sentiero dando vita ad un’arte contemporanea che si contrappone, o meglio, affianca quella più concettuale che oggi va per la maggiore?

Il dipinto è semplice (sempre apparentemente) niente fronzoli, niente esibizione di fredda tecnica fine a sé stessa, è il ritratto di uno stato d’animo, di una sensazione, il tempo si ferma per un attimo cogliendo la protagonista nella profondità di un’emozione.

Qual è l’emozione che la pittrice finlandese decide di immortalare? La risposta sta nello stato d’animo di chi osserva, ognuno di noi può, senza il rischio di essere smentito, dare una propria lettura.

Ad un primo sguardo, probabilmente per alcuni anche ai successivi, non sembra trasparire nulla di particolarmente importante, ma è proprio questa apparente semplicità, che sfocia nel quotidiano vivere, nel banale corso delle emozioni personali che non appartenendoci perdono valore a causa della nostra superficialità, un’attenzione ridotta allo zero quando non si tratta di noi. Troppo spesso non cogliamo l'intensità altrui, se non ci appartiene non notiamo alcunché di ciò che ci circonda.

Eppure questo dipinto ci parla, lo fa con un linguaggio che non riconosciamo, o non vogliamo riconoscere, siamo chiusi da una morsa che ci vede da una parte ignorare ciò che sembra scontato, mente dall’altra ci aspettiamo che l’arte comunichi utilizzando un codice complesso, lamentandoci poi di non saperlo decifrare, e per questo passare oltre. 

giovedì 20 novembre 2025

Qual è il risultato?

Questo lo facevo anch’io (odiosa affermazione che tutt'ora esce dalle bocche dei detrattori dell'arte dell'ultimo secolo)… e infatti l’ho fatto, o almeno ci ho provato, qual è però il risultato?



Non avendo la minima possibilità di possedere un “taglio” di Lucio Fontana me lo sono costruito in casa.

I celebri, e bistrattati, concetti spaziali dell’artista italo argentino da sempre mi affascinano e mi donano, quando ho la possibilità di ammirarli, un’assoluta serenità, un pace interiore che solo poche altre opere riescono a regalarmi.

Dunque è vero che un taglio di Fontana lo può fare chiunque? Tecnicamente sono in molti a poter rifare (fondamentale quel “ri” davanti al “fare”) questo tipo di opera ma qual è il risultato ottenuto?

Come detto io ci ho provato, ho preso una tela, l’ho trattata e colorata di bianco (i tagli bianchi e rossi sono i miei preferiti) con un taglierino, non avevo un bisturi, strumento che il nostro Lucio alternava al taglierino stesso, con una lama nuova ho fatto due tagli netti, seguendo le istruzioni raccolte nei libri e sul web ho applicato dietro ai tagli delle garze nere che danno profondità allo “spazio” e impediscono ai tagli di continuare la divisione della tela.

Tecnicamente non è un granché, anche se a prima vista il senso è chiaro e in fondo anche questa brutta copia un po’ di pace me la regala, concettualmente è il nulla assoluto, semmai mi trovo di fronte ad un surrogato che goliardicamente ottiene il suo posto a tavola (la mia tavola) ma niente di più.

Chiunque di voi mi può far presente che il risultato tecnico è scarso perché scarsa è la mia tecnica (ammetto che avrei potuto fare di più in quanto ho utilizzato il colore acrilico al posto dell’idropittura usata da Fontana (che gli permetteva di cogliere l’attimo in cui tagliare grazie al fatto che l’asciugatura è più lenta) ma se il risultato visivo fosse stato migliore sarebbe cambiato qualcosa? Naturalmente no, un opera esclusivamente concettuale va oltre la tecnica, se anche avessi fatto i tagli più vicini alla perfezione di quelli di Fontana non avrei mai avvicinato le opere originali per il semplice motivo che l’ho fatto in ritardo.

Se il mio “taglio” avesse anticipato quelli dell’artista di Buenos Aires, avrebbe diritto ad essere al centro dell’attenzione indipendentemente dalla tecnica utilizzata.

Anche le opere apparentemente facili da copiare (cosa molto meno probabile di quanto si pensi) perdono consistenza per il solo fatto di arrivare dopo, il tempismo è fondamentale ma non si tratta solo di arrivare prima, ciò che conta è avere l’idea giusta nel momento giusto.

A me resta l’immenso piacere provato nel realizzare quest’opera (con migliaia di virgolette) sempre pronto a cogliere al volo l’occasione di ammirare gli originali. 

lunedì 10 novembre 2025

Il dipinto premonitore

Victor Brauner ritrae sé stesso senza un occhio, non si tratta di un occhio ferito, lesionato, spento, l’occhio non c’è, è stato esportato.

Victor Brauner - Autoritratto , 1931 – Olio su tavola cm 22 x 16


Non si sa il motivo per cui Brauner si sia ritratto in queste condizioni in quanto non aveva alcun problema di vista, aveva due occhi entrambi funzionanti.

Va detto che gli occhi e la loro “posizione” decontestualizzata vengono rappresentati spesso, in un dipinto il pittore dipinge con gli occhi, in un altro sono incastonati nel palmo di una mano, atri ancora rappresentano oggetti inanimati (come un tavolo) che prendono vita in quanto in possesso di occhi vigili. Nulla però di cosi esplicito come un suo autoritratto con l’orbita oculare vuota ed il sangue che scorre a dirci che la causa di ciò è un gesto violento.

Sette anni dopo, durante una delle tante convulse serate surrealiste, dove spesso finiva in rissa a causa delle contestazioni del pubblico che non amava farsi insultare, e dall’eccesiva circolazione di bevande alcoliche, gli “scontri” vanno un po’ oltre, una persona completamente ubriaca lancia una bottiglia, il destinatario riesce a schivarla ma Brauner no, una scheggia di vetro, o la bottiglia stessa (le versioni variano) colpisce in pieno viso l’artista rumeno danneggiandogli irrimediabilmente l’occhio, la corsa all’ospedale non serve a ridargli la vista ma neppure a salvare il globo oculare che verrà espiantato. In seguito il gruppo di amici farà una colletta per acquistarne uno di vetro.

Nel dipinto del 1931 dunque il pittore aveva previsto tutto? Difficile pensare che sia cosi ma è altrettanto incredibile pensare che un incidente tanto raro e difficile da preventivare fosse il soggetto di un opera di sette anni prima.

L’occhio che indaga in profondità e la perdita dello stesso, l’incapacità dell’uomo, nel tempo, di saper andare oltre il visibile, la perdita di quell’occhio interiore che ci spinge ad accettare il fatto che ci basti quello che c’è in superficie, cosa che spesso coincide con la banalità.

Forse proprio per il dilagare di tale mediocrità spinge il pittore a rifugiarsi in montagna e a proseguire la propria esistenza in solitudine.