mercoledì 30 ottobre 2024

Cornici, esaltazione o prigione dell'arte?

Cornici si, cornici no, cornici … dipende.

Al di là dei gusti personali che indirizzano da una parte o dall’altra è necessaria la cornice per un dipinto o per una stampa fotografica? Qual è il confine che divide la cornice che “completa il quadro” e quella che lo sovrasta, finendo per sminuirne il valore estetico e artistico?


Vincent Van Gogh - Autoritratto, 1889 – Olio su tela cm 65 x 54 – Museo d’Orsay, Parigi 


Nella maggior parte dei casi trovo che le cornici siano più un intralcio che un completamento, naturalmente in un ambiente privato è il gusto del proprietario ad avere la precedenza, ma in una pinacoteca certe cornici, in particolare quelle antiche di un certo valore storico e di eccelsa fattura, non vanno d’accordo con il dipinto a cui sono abbinate.

Qui subentra in effetti il gusto personale, trovo che cornici lignee “importanti” soffochino il dipinto, la loro pesantezza (e non mi riferisco al peso specifico) impedisce la libertà espressiva dell’opera d’arte che viene rinchiusa in un recinto troppo stretto impedendone anche il minimo “movimento”.

Un quadro senza cornice però non sempre riesce ad esprimersi interamente, le tele contemporanee riescono a farne a meno, quelle più “datate” fanno più fatica, le fotografie ne hanno bisogno, a patto che non prendano il sopravvento.

Mi è capitato di osservare dei dipinti (o meglio la loro riproduzione fotografica) in rete o, meglio ancora, stampati su volumi, normalmente li vediamo senza cornici e questo ci porta ad intraprendere un percorso visivo specifico, quando le stesse opere le vediamo dal vivo con tanto di cornice la percezione cambia completamente.

Mentre il passaggio dalla riproduzione alla visione “live” è, nella maggiorana dei casi, un passo avanti, spesso succede il contrario (almeno è quello che succede a me) quando cornici eccessive sovrastano il dipinto, in questo caso può sopraggiungere quella sensazione di delusione nonostante il quadro sia tutt’altro che deludente.

Ho provato ad accennare questo mio pensiero ad un curatore di un piccolo museo ma mi sono trovato davanti a un muro, alla mia domanda: “le cornici possono modificare la percezione dei dipinti?” la risposta è stata: “se il dipinto di una determinata epoca ha quella cornice noi dobbiamo prenderlo in considerazione cosi com’è”. A nulla è servito sottolineare che spesso la cornice è stata aggiunta a posteriori senza che l’artista abbia avuto voce in capitolo (e questo ribalta completamente il concetto del suddetto esperto) va detto, in tutta onestà, davanti ad un’opera di Monet (si trattava di una mostra temporanea) che il curatore ha ammesso che la cornice nulla aveva in comune con il dipinto, in effetti ne era soffocato, ma che andava esposto cosi perché la cornice aveva la stessa età della tela.

Altra cosa che mi piace prendere in considerazione è la moda che ha preso piede negli ultimi anni, quella di appendere alle pareti cornici vuote, in questo caso si tratta di pura decorazione, il concetto iniziale, tutt'altro che banale, emerso da una cornice senza quadro si è consumato nella ripetizione, ha perso ogni valenza artistica, la moltiplicazione di questi manufatti ha cancellato l’aspetto visionario trasformandolo in una banale consuetudine.

Riassumendo, le cornici incidono non poco sulla percezione di un dipinto (fotografia) sia essa positiva o negativa, un quadro senza cornice è libero di esprimersi senza "barriere", anche se spesso la giusta cornice lo completa, la cornice senza quadro ...


mercoledì 23 ottobre 2024

Scortesia, maleducazione e altri problemi, i musei italiani e la svolta che non arriva.

Se vi capita di leggere le recensioni di un qualsiasi museo italiano non vi sfuggiranno le molteplici critiche riferite alla scortesia degli addetti, alla cassa, nelle sale e al bookshop.

Harry Rutherford -The Custodian

È innegabile che lo stesso potrebbero dire gli impiegati riguardo ai visitatori ma forse sarebbe il caso di saper distinguere il cafone dalla persona educata.

Le recensioni sopracitate sono solo lo spunto del mio ragionamento, la mancanza di cortesia e spesso la maleducazione, le ho verificate personalmente e non si limitano a poche eccezioni.

Nel mio caso più che alla cassa o nella “libreria” è nelle sale che si riscontra il problema, tra i vari musei che ho recentemente visitato l’esempio più lampante è alla pinacoteca dell’Accademia Carrara a Bergamo, le sale sono sorvegliate da giovani provenienti dall’accademia stessa, spocchiosi, arroganti, presuntuosi, che guardano tutti dall’alto in basso pensando che il solo fatto di studiare all’accademia li renda superiori a chiunque, se poi qualcuno si azzarda a fare una semplice domanda ti guardano infastiditi e sgarbatamente di rispondono che hanno altro a cui pensare (se li si osserva attentamente ignorando il fastidio della loro maleducazione si capisce che non rispondono perché di tutto ciò che è esposto non capiscono alcunché).

Il problema è lo stesso per tutti musei, chi più chi meno, la vigilanza nelle sale è assegnata a studenti impreparati, poco competenti e, soprattutto, malpagati (spesso nemmeno quel poco) inoltre sotto organico con orari assurdi, questo porta i giovani a svolgere le mansioni assegnate senza lo stimolo giusto, di malavoglia.

Non va dimenticato però il pessimo comportamento di alcuni visitatori, non sono a favore dei musei ultra silenziosi, non siamo in un luogo di culto, ma trovo fastidiosi gli schiamazzi, gente che parla ad alta voce al cellulare, davanti alle opere persone con lo smartphone alzato per improbabili fotografie e gli immancabili selfie, fino al problema più grave dato dal visitatore poco interessato (non si capisce perché ci sia andato) che si avvicina troppo alle opere, non per studiarle da vicino ma rischia di urtarle perché sta “giocando” con gli amici. Vanno aggiunte le devastanti code, spesso non regolamentate, all’entrata dei musei più celebri.

Il sistema museale italiano ha non pochi problemi, prezzi in continua ascesa, sale strapiene, in particolare nel caso di mostre dedicate agli artisti più noti (dove la metà della gente non si sa come ci sia finita) personale non preparato e un’isteria collettiva che sfocia nella maleducazione.

Per completare l’opera ultimamente ha preso piede l’abitudine di mettere il grande nome sulla locandina per poi esporre nelle sale altri artisti che “si ispirano a …”.

Questo non significa che tra i lavoratori nei musei e tra il pubblico non vi siano persone educate e in grado di fare il proprio lavoro anzi, si tratta della maggioranza, ma la tendenza è al peggioramento (come in ogni settore) ed è questa tendenza che andrebbe invertita.


martedì 15 ottobre 2024

"Tu sei quella che paga di più"

Artemisia Gentileschi – Susanna e i vecchioni (part.), 1610 – Olio su tela cm 170 x 119 – Collezione Graf von Schönbom, Pommersfelden


 

Siamo nel 1977, Edoardo Bennato pubblica l’album che l’ha reso celebre, Burattino senza fili è  un concept album che parte da un soggetto di fantasia per raccontare le tematiche di quegli anni.

L’album riprende Le avventure di Pinocchio e le utilizza metaforicamente per mettere in luce alcuni aspetti dell’epoca, le problematiche del mercato discografico (Il gatto e la volpe) l’impatto della cultura sulla società (Dotti, medici e sapienti) la coscienza (Tu grillo parlante) la condizione femminile (La fata).

Ed è proprio di quest’ultimo brano che voglio parlarvi, probabilmente uno dei più belli dell’intera discografia del cantautore napoletano, una poesia amara che, partendo dal dolce sapore musicale, ci mette in guardia (o meglio mette in guardia le donne) dalla falsità delle percezioni maschili di quegli anni, che poi non sono diverse da quelle di oggi a quasi cinquant’anni di distanza.

Il testo parte da un ribaltamento dei personaggi, Pinocchio diventa il maschio adulto “dominante”, la Fata si trasforma nella giovane e ingenua fanciulla ammaliata dal “principe azzurro”, mito che inizia a sgretolarsi proprio negli anni settanta con la presa di coscienza femminista ma che è ancora inconsapevolmente forte.

Ci sono vari modi di ascoltare questo pezzo, lasciarsi cullare dalla melodia dando poco peso alle parole, anche se il ritornello ci “sveglia” e tenta di metterci sulla giusta via, o concentrarci sul testo poeticamente tragico, dove la musica rende il tutto tristemente malinconico.

Possiamo prendere ogni strofa ed interpretarla, non credo che le “letture” di ognuno di noi possano differire se non per piccole sfumature che la sensibilità soggettiva ci porta a cogliere o, al contrario, ci possono sfuggire, il senso penso non si possa travisare, anche nella sua ammaliante vena poetica il messaggio è chiarissimo.

Alcuni passaggi sono apparentemente contrastanti ma tutto fila alla perfezione, lui “Farà per te qualunque cosa” ma tutto ha un prezzo, la freschezza, la bellezza della gioventù sono destinate a cedere il passo, l’inizio è passione dove la “fata” può chiedere e ottenere ciò che vuole ma poi …

Lascio a voi la lettura di questa poesia ma soprattutto vi lascio all’ascolto di un brano meraviglioso, ognuno coglierà ciò che “sente”.  

La fata

C'è solo un fiore in quella stanza
E tu ti muovi con pazienza
La medicina è amara ma
Tu già lo sai che la berrà

Se non si arrende tu lo tenti
E sciogli il nodo dei tuoi fianchi
Che quel vestito scopre già
Chi coglie il fiore impazzirà

Farà per te qualunque cosa
E tu sorella madre e sposa
E tu regina o fata tu
Non puoi pretendere di più

E forse è per vendetta
E forse è per paura
O solo per pazzia
Ma da sempre
Tu sei quella che paga di più
Se vuoi volare ti tirano giù
E se comincia la caccia alle streghe
La strega sei tu

E insegui sogni da bambina
E chiedi amore e sei sincera
Non fai magie, né trucchi, ma
Nessuno ormai ci crederà

C'è chi ti urla che sei bella
Che sei una fata, sei una stella
Poi ti fa schiava, però no
Chiamarlo amore non si può

E forse è per vendetta
E forse è per paura
O solo per pazzia
Ma da sempre
Tu sei quella che paga di più
Se vuoi volare ti tirano giù
E se comincia la caccia alle streghe
La strega sei tu

C'è chi ti esalta, chi ti adula
C'è chi ti espone anche in vetrina
Si dice amore, però no
Chiamarlo amore non si può

Si dice amore, però no
Chiamarlo amore non si può

martedì 8 ottobre 2024

Lo spirito della terra

 

Henri Rousseau – L’incantatrice di serpenti, 1907 - Olio su tela cm 196 x 189,5 - Musée d’Orsay, Parigi


Rousseau era particolarmente legato a Robert Delaunay, anch’gli pittore, di cinquant’anni più giovane e grande ammiratore dell’arte del “doganiere”.

Questo dipinto è la testimonianza di questo legame, la madre del giovane artista parigino intratteneva gli ospiti circondata da numerose piante dalle grandi foglie, sovente raccontava del suo viaggio in India con dovizia di particolari sulla fauna e sulla flora locale, la donna, esortata dal figlio, commissionò questo dipinto a Rousseau che nel frattempo era diventato amico della famiglia, i racconti della signora Delaunay e le piante che riempivano la casa hanno senza dubbio influenzato la visione di Rousseau.

L’opera non ci mostra una giungla infida, pericolosa, al contrario, nonostante i toni cupi, sembra la rappresentazione di un luogo magico, di pace, dove ad emergere è l’aspetto spirituale.

Nella parte sinistra vediamo un corso d’acqua leggermente increspato sulla cui riva troviamo un volatile dall’aria serena, nulla sembra turbarlo.

Nella parte destra c’è la giungla, scura intricata mentre in primo piano, con toni più chiari, troviamo quelle piante a foglia larga che ornavano il salotto dei Delaunay.

Fuori dalla fitta vegetazione ma a stretto contatto con gli alberi ecco la protagonista del dipinto, una figura in ombra, con un serpente sulle spalle, suona un flauto, unica cosa distinguibile assieme agli occhi che fissano l'osservatore, la cui melodia ammansisce e chiama a sé i serpenti, anche questi ultimi in ombra.

È proprio questo tipo di  rappresentazione della donna e dei serpenti che rende tutto magico, incorporeo, spirituale appunto.

L’incantatrice non è un demone, una strega, è una presenza benigna, legata alla madre terra, un’entità “alta” che custodisce gli spiriti della foresta.

Il quadro fu particolarmente ammirato dai surrealisti, Max Ernst realizzo un dipinto dove è innegabile il legame con quest’opera.

Una delle figure più importanti del movimento surrealista, André Breton, negoziò personalmente la vendita del dipinto quindici anni dopo la sua realizzazione.