giovedì 30 marzo 2023

Uso, abuso e depotenziamento dell'idea di "provocazione".

A Vevey, una località svizzera bagnata dalle acque del lago Di Ginevra, una forchetta di grandi dimensioni si erge maestosa infilzando prepotentemente le acque del limpido specchio d'acqua.

L’opera in sé è decisamente piacevole, interessante punto di vista, originale (almeno parzialmente) nella sua concezione legata al Museo dell’Alimentazione (Nestlè Alimentarium Museum) che ha sede nella cittadina.


Potremmo approfondire l’opera in quanto tale, infatti solo “pensandola” come riferimento all’alimentazione, al legame vitale con l’acqua, alla comunione con la “terra” andiamo oltre il mero aspetto visivo. Ma non c’è molto altro da aggiungere.

Allora mi soffermo su altri particolari, sfumature nate più da come viene “raccontata” l’opera che da solide basi artistiche.

Innanzitutto la “Fourchette geante” viene attribuita a Georges Favre che l’ha realizzata sul disegno di Jean-Pierre Zaugg.

Le varie testate online riportano quasi esclusivamente il nome di Favre, solo in seguito ci dicono chi l’ha disegnata, chi è in pratica l’autore dell’opera?

Mi verrebbe da dire che il merito va dato esclusivamente a Zaugg, l’idea è predominante, a meno che sia Favre ad avere avuto l’illuminazione di infilarla nelle acque di fronte a Vevey.

Ma ad incuriosirmi, e a deprimermi, è l’inclusione di quest’opera, in moltissimi articoli di varie testate online, tra le più strane, provocatorie, destabilizzanti (hanno usato proprio questo termine) e incomprensibili, opere d’arte contemporanea.

Ad accompagnare la “forchetta” tra i manufatti più assurdi (sempre secondo tali testate) troviamo il solito “orinatoio” di Duchamp, La “Merda d’artista” di Manzoni, l’immancabile “taglio" di Fontana e, forse l’unica veramente provocatoria e comunque nulla di più, “Brown-nosers di David Černý.

Inutile sottolineate che chi si chiede, nella terza decade del XXI secolo, che senso hanno le opere sopracitate evidentemente di è dedicato ad altro, evitando di perdere tempo studiando la storia dell’arte occidentale del secolo scorso.

La forchetta lacustre non è certo provocatoria, strana, spiazzante o incomprensibile, si tratta di una forma, molto ben fatta, di marketing “artistico”, dove l’installazione è  legata indissolubilmente ad un determinato marchio.

Casomai se c’è qualcosa di provocatorio è nel contenuto di certi articoli, accostare, mettendole sullo stesso piano, opere come quelle di Fontana, Manzoni e Duchamp con questa del duo Zaugg-Favre, mi lascia quantomeno perplesso.

Il dubbio non nasce dalla visione delle opere ma da ciò che rappresentano e da quello che hanno saputo dare all’arte negli anni, è vero che la “Forchetta” è più giovane delle altre e che probabilmente necessita di altro tempo per evolvere, ma nei suoi trent’anni di vita non ha dato il benché minimo contributo all’evoluzione artistica nel suo insieme, al contrario delle altre si limita a stupire (o cercare di farlo) i turisti che si trovano a passare da quelle parti, insomma opera di discreto valore “visivo”, molto meno "stimolante" quello artistico.

sabato 25 marzo 2023

La percezione illusoria di una realtà intangibile

Un colore che annulla il colore, un colore che da vita all’assenza di colore.

Anish Kapoor acquista l’esclusiva di un materiale (la definizione di colore è decisamente forzata) che distribuito su una qualsiasi superficie cattura il 99,965 % della luce, il nero più nero mai visto prima: il Vantablack.


Non voglio soffermarmi sulle polemiche che l’esclusiva dell’artista anglo indiano ha scatenato, sono molti infatti gli artisti che vorrebbero una vendita libera del materiale che Kapoor ha, con grande intuizione, tempestivamente “bloccato”.

Ciò che mi interessa è l’applicazione del Vantablack nell’ambito artistico, a cosa serve un nero talmente nero che annulla ogni possibilità percettiva in un’opera d’arte?

La prima reazione ci porta a pensare che forse l’arte può fare a meno di questo non-colore, inserirlo in un dipinto o utilizzarlo per una scultura o parte di essa può sembrare quasi inutile ma …

Ma capita che durante una visita ad una galleria, passeggiando tra le opere distribuite nelle varie sale, sono sbucato in una stanza completamente bianca, alle pareti non era appeso nulla, non vi era alcuna scultura posizionata al centro della stanza stessa, solo una delle quattro pareti non era immacolata, al centro era dipinto un cerchio di una sessantina di centimetri di diametro, un cerchio nero.

Ma il nero era qualcosa di mai visto, non rifletteva alcuna luce proveniente dai faretti appesi al soffitto (e non erano pochi) mi sono avvicinato ma non si capiva se il cerchio era un semplice dipinto o se si trattasse di un buco nel muro.

Superato il desiderio di toccarlo, sarebbe stato l’unico modo di dare una risposta al quesito, ho continuato a fissarlo cercando qualsiasi cosa che mi permettesse di capire. Niente da fare, il disco nero era imperscrutabile.

Come trovarsi davanti a qualcosa che ambisce a diventare un “buco nero”, manca ancora un piccolo sforzo (in realtà passare dal 99,965 al 100 % è uno sforzo immane, anzi impossibile) ma quel cerchio rende l’idea.

Chissà se avessi avuto la sfrontatezza di toccarlo, cosa che andava contro le direttive della galleria (trovo fondamentale il rispetto delle cose altrui e per lo schema artistico, toccarlo andrebbe contro ogni logica) cosa mi sarebbe successo, anch’io come la luce sarei sparito nel buio più totale? La risposta è ovvia ma la domanda è parte dell’opera.

Questo ci riporta al quesito iniziale, il Vantablack, usato in un determinato modo, può trasformare un muro bianco in un viaggio dalla meta sconosciuta. 


domenica 19 marzo 2023

Omaggio ai papà, ai figli e al talento "luminoso" di Georges de La tour

 

Georges de La Tour – San Giuseppe falegname - Olio su tela cm 137 x 102
Museo del Louvre, Parigi

De La Tour mette in scena un soggetto tra i più comuni nella storia dell’arte, soggetto che mette in luce il rapporto tra padre e figlio, unione che va al di là del legame “fisico”, ad emergere è un’affinità più “alta”.

Il pittore francese però sa andare oltre la canonica rappresentazione, celebre per i suoi favolosi “giochi” di luce da vita ad un intenso momento appartenente alla quotidianità.

San Giuseppe sta lavorando ad una trave, inutile cercare altrove, il riferimento alla croce che diverrà il simbolo della passione del figlio è evidente (o quantomeno non possiamo ignorarlo) mentre Gesù lo aiuta illuminando il luogo di lavoro.

Padre e figlio, Giuseppe e Gesù, il rischio di una banalizzazione simbolica è grande, se ci concentriamo sulla scena prendendo in considerazione solo il concetto religioso emergono determinate linee interpretative, al contrario se spostiamo il tutto in una più ampia visione ad emergere è lo “spirituale” che lega un padre ad un figlio.

Il genitore ha il dovere di “illuminare” la propria progenie ma è quest’ultima che offre la spinta, che dona la forza, al padre perché questa “illuminazione” abbia un senso.

Indipendentemente dal punto di vista da cui parte la nostra personale osservazione è innegabile che il fulcro del quadro lo troviamo oltre i soggetti, è il “lume di candela” ad ergersi a protagonista, il talento di de La Tour spicca in tutto il suo splendore. Considerazione quest’ultima che avrebbe fatto estremamente piacere al pittore che, dalle poche fonti disponibili, sembrava essere tutt’altro che affabile e particolarmente presuntuoso.

Ma il lato caratteriale del nostro Georges in questo momento interessa relativamente, quest’opera, estremamente suggestiva, parla da sola, quale sia il messaggio che raggiunge ogni singolo spettatore non possiamo saperlo (ognuno conoscerà il proprio) resta il capolavoro che non si ferma alla luce e alle ombre, si spinge fino alla costruzione della scena e ad un concetto che va ben al di là del pensiero comune.  

mercoledì 15 marzo 2023

L'abbandono della bellezza (nella percezione canonica)

Senza alcun dubbio siamo di fronte ad uno dei più famosi dipinti di Picasso (superato per fama solo da Guernica) ma possiamo, con altrettanta sicurezza, affermare che è l’opera più importante del panorama artistico del pittore catalano.

Pablo Picasso, Le demoiselles d’Avignon, 1907  Olio su tela, 243,9 cm x 233,7 cm  The Museum of Modern Art (MoMA), New York


Le demoiselles d’Avignon è un’opera che «ha ucciso il diciannovesimo secolo»(Livio Partiti) dando vita ad un percorso innovativo mettendo fine ad un’idea artistica accademica.

Se accostiamo questo quadro a I due fratelli, (nell'immagine in basso) realizzato dallo stesso Picasso solo un anno prima, ci rendiamo conto della rivoluzione in atto in quei giorni.

Il 1907 è un anno particolare per Picasso, scopre l’arte “oceaniana”, le maschere e la pittura africana nel suo insieme, si avvicina al primitivismo iberico, conosce, e ne diviene amico, Braque.

Passato il malinconico periodo blu e la rinascita del periodo rosa Pablo si lascia alle spalle tutto ciò che conosceva e intraprende una strada dove l’unico punto fermo è l’assenza di qualsiasi punto fermo.

La progettazione del dipinto è uno dei lavori più complessi e faticosi del suo infinito “mondo artistico”, sono più di un centinaio gli schizzi e i disegni preparatori che per mesi hanno impegnato l’artista prima della realizzazione definitiva del dipinto, anche dopo una prima stesura apparentemente definitiva ha modificato la scena ribaltandone il concetto.

All’inizio infatti sulla scena apparivano due personaggi maschili, un giovane studente di medicina faceva il suo ingresso a sinistra affacciandosi dalle tende mentre un marinaio, o cosi sembra, stava al centro circondato dalle donne.

I due uomini, oltre ad un teschio e ad un mazzo di fiori, spariscono dal dipinto lasciando sole le cinque figure femminili.

Ma il quadro si è appena messo in moto, con i sette personaggi la rappresentazione orizzontale costruisce una narrazione, il dipinto racconta una scena di vita quotidiana.

Eliminate le figure maschili la struttura da orizzontale diviene verticale passando dalla narrazione ad una raffigurazione iconica, prima un tentativo di raccontare qualcosa, dopo il desiderio di dare vita ad un simbolo.


Uno degli abbozzi iniziali dell'opera dove erano presenti due figure maschili



Pablo Picasso – Due fratelli, 1906 Guazzo su cartone cm 80 x 59 Museé Natipnal Picasso, Parigi


venerdì 10 marzo 2023

L'enigma, l'identità celata agli occhi dell'apparenza esteriore, Lorenzo Lotto

Non importa quanto tempo passiamo davanti ad un’opera, pochi secondi o giorni interi, ci sarà sempre un particolare che ci sfuggirà, inoltre senza le dovute informazioni certe “sfumature” non verranno mai alla luce.

Lorenzo Lotto – Ritratto di Lucina Brembati. 1518 ca. Olio su tavola cm. 52,6 x 44,8  Accademia Carrara, Bergamo


Lorenzo Lotto è stato un artista complesso, enigmatico, dal carattere tutt’altro che affabile, ha sempre cercato un suo canone narrativo nascondendo dietro a simboli, più o meno palesi, il vero significato delle sue opere.

In questo caso non vi è nulla di clamoroso ma c’è un divertente rebus che conferma l’identità del soggetto raffigurato.

La figura in primo piano occupa la quasi totalità del quadro, si tratta evidentemente di una nobildonna, l’acconciatura elaborata, le vesti pregiate, i gioielli e la pelliccia, tutto indica che appartiene ad una casata prestigiosa.

L’anello all’indice della mano sinistra raffigura lo stemma dei conti Brembati, questo basterebbe a definire l’identità della donna, ma Lotto si spinge oltre, costruendo ad arte ciò che sta dietro alla protagonista.

L’ambientazione,  nonostante l’illuminazione frontale, è notturna, dietro la donna notiamo un pesante tessuto damascato rosso che restringe il paesaggio in lontananza, resta infatti un piccolo spicchio in alto a sinistra dove possiamo ammirare uno splendido cielo nero dove, tra le nubi cupe e minacciose, emerge un’altrettanto meravigliosa luna.



Ed è proprio l’astro a svelarci definitivamente il nome della donna, un rebus appunto, all’interno della luna vediamo le lettere C e I, che se inserite tra le due sillabe che compongono il nome della luna ci danno il seguente risultato: Lu-ci-na.

Un particolare difficile da comprendere se non siamo correttamente indirizzati, piccoli e curiosi particolari che fanno dell’arte un mondo meravigliosamente infinito.

domenica 5 marzo 2023

L'immagine artistica della musica

Le copertine degli album realizzate da grandi artisti sono opere d’arte in quanto tali o per il semplice motivo che sono state “disegnate” da un artista?

L’immenso mondo delle copertine dei vari LP ci ha regalato perle di valore assoluto, molte sono entrate nella storia per ciò che gli album hanno rappresentato, altre per l’immagine che diventa icona indipendentemente dal disco.


Per dare un giudizio globale dovremmo scandagliare l’intero panorama musicale da decenni a questa parte, cosa complessa soprattutto per quello che un LP rappresenta per ognuno di noi.

Trascuriamo per un momento l’insieme prendendo in considerazione un piccolo “spezzone” dei questo vasto mondo, ho scelto a caso (più o meno) alcune opere realizzate da artisti che hanno scritto la storia dell’arte degli ultimi 60 70 anni.

Lasciamo da parte le celebri copertine di Andy Warhol, dalla “banana” dei “The Velvet Undergound & Nico” al famosissimo album degli Stones, in questo caso le copertine sono opere d’arte in quanto hanno trasmesso una visione fino ad allora mai presa in considerazione.

Altri sono i casi da prendere in considerazione, quand'è che il nome dell’artista orienta lo spettatore? Quanto, al contrario, l’opera riesce ad andare oltre il nome che l’ha creata?

Ne propongo alcune dandone una personalissima interpretazione, lettura che si slega (operazione non proprio corretta) da ciò che il disco ci offre. 

Prendiamo ad esempio Damien Hirst, con “Ali in the Jungle” dei The Hours  sembra ricalcare uno schema già visto e riproposto in tutte le salse, con “I’m With You“, dei Red Hot Chili Peppers  sa, al contrario, andare al di là dei suoi schemi abituali, pur rimanendo fedele ai suoi dettami.

Poco originali “Artpop” di Lady Gaga realizzato da Jeff Koons, sembra eseguire lo schema pseudo artistico del periodo "Staller", e “Think Tank” dei Blur ad opera di Banksy che copia sé stesso per l’ennesima volta.

“Let’s Dance” di  David Bowie è lo specchio di Keith Haring, un marchio di fabbrica per un artista che a causa della precoce scomparsa non ha potuto evolvere il proprio sguardo artistico, resta l'impronta iconica, sicuramente legata a quegli anni ma che è entrata nell'immaginario collettivo.

Andres Serrano artista di primissimo piano che con “Load” dei  Metallica ricalca una controversa tecnica che mischia il sacro con il profano, anche in questo caso copertina d’effetto ma l’idea non è innovativa, inoltre sembra autocelebrarsi senza prendere in considerazione ciò che dovrebbe rappresentare.

Molto interessante “Live in Shanghai”  di Day & Taxi dove Ai Weiwei riesce a trasmettere la sensazione di un ribaltamento apparente che a prima vista non si percepisce.

Robert Mapplethorpe  con “Night Work”  degli Scissor Sisters si perde tra la provocazione sensazionalistica (che in fondo non è riuscita) e il tentativo di dare vita a qualcosa di nuovo (anche in questo caso non sembra riuscirci) peccato perché sembrerebbe giusta la strada intrapresa.

Con “One Hit (To The Body)” dei  Rolling Stones  Francesco Clemente emerge con prepotenza, esteticamente efficace, mantiene un equilibrio complesso reggendo il peso degli Stones, potrebbe sembrare ininfluente ma certi nomi si sentono eccome.

Chiudo con “By the Way” dei Red Hot Chili Peppers opera di  Julian Schnabel, visivamente forse la copertina più “bella” (con tutte le virgolette del caso) tra quelle proposte, probabilmente quella che più rappresenta lo stile del gruppo o del cantante, veri “padroni del disco.

Queste mie interpretazioni si elevano (o si abbassano) staccandosi dai brani inclusi nei vari album, si tratta solamente di un piccolo viaggio in un mondo che vede incrociarsi l’arte della pittura, della fotografia e, naturalmente, della musica.

“Ali in the Jungle” The Hours – Damien Hirst

I’m With You“ Red Hot Chili Peppers - Damien Hirst

“Artpop” Lady Gaga - Jeff Koons

“Think Tank” Blur - Banksy

“Let’s Dance” David Bowie – Keith Haring

"Load" Metallica - Andres Serrano

“Live in Shanghai” Day & Taxi - Ai Weiwei

“Night Work” Scissor Sisters – Robert Mapplethorpe

“One Hit (To The Body)” The Rolling Stones – Francesco Clemente

“By the Way” Red Hot Chili Peppers – Julian Schnabel

mercoledì 1 marzo 2023

[Aforismi e arte (e cinema)] Il testamento dell'umanità

“Philippe: Secondo lei, perché la gente si interessa all’arte?

Driss: Non lo so, è un business.

Philippe: No, perché è la sola traccia del nostro passaggio.”

 

Da: Quasi amici


Robert Motherwell - Untitled, 1944