sabato 26 settembre 2020
L'arte è recitazione?
sabato 19 settembre 2020
L'essenziale capovolto, Georg Baselitz
mercoledì 16 settembre 2020
La fotografia tra la realtà e l'irreale
Se,
come sosteneva Alfred Stieglitz, “Nella fotografia c’è una realtà così sottile
che diventa più reale della realtà”, quest’ultima superando se stessa si
annulla.
Ciò
che vediamo in una fotografia è l’immagine di un istante che sta tra il prima e
il dopo, quell’istante che nella realtà non può essere “fermato”.
Se
blocchiamo quello che nella realtà non è possibile bloccare il risultato non
può essere parte del nostro mondo ma la riproduzione di un sistema
interdimensionale.
Questo
ci porta a pensare che se la fotografia è più reale della realtà stessa siamo
davanti ad uno specchio che ci permette di vedere cosa c’è oltre il nostro
riflesso, perché solo fermando il tempo possiamo viaggiare in più direzioni
contemporaneamente.
Foto by Alfred Stieglitz
sabato 12 settembre 2020
La perfezione delle forme, Jannis Kounellis
Davanti al nome di Jannis Kounellis gli appassionati e la critica d’arte si schierano in due distinte fazioni, da una parte c’è chi lo definisce un maestro assoluto, dall’altra un cialtrone sopravvalutato che di artistico non ha mai presentato nulla.
Se ci accodassimo a uno di questi schieramenti rimarcheremmo il clima da stadio e ignoreremmo ciò che le opere di Kounellis (indipendentemente dal fatto che ci piacciano o meno) tentano di spiegarci.
Voglio focalizzare l’attenzione
sulla performance del 1969 all’interno della galleria romana “L’attico”,
l’artista di origini greche “espone” dodici cavalli vivi, opera replicata successivamente in altre città tra cui Napoli e New York.
La reazione, legittima, che abbiamo nell’immediato è: “questo lo troviamo in una qualsiasi scuderia”.
E’ proprio questo il punto, perché
una dozzina di cavalli, che tali restano all’interno di una stalla, diventano
un’opera d’arte se “esposti” in una galleria?
Qui c’è il senso della lettura del
concetto di arte contemporanea, l’indicazione di una consapevolezza che funge da
base “comprensiva” dell’arte dal secondo dopoguerra ad oggi.
Kounellis espone i cavalli vivi
non in quanto animali ma in quanto forme, in un qualsiasi maneggio possiamo
ammirare i cavalli come esseri viventi, nella galleria ammiriamo la forma
perfetta della rappresentazione del cavallo.
L’artista vuole uscire dalla
cornice del dipinto classico, cornice che per secoli ha fatto da confine a
innumerevoli rappresentazioni di cavalli, sia come palcoscenico per il nobile
di turno, sia come “racconto” dell’animale inserito nel suo habitat naturale.
Dunque se il dipinto di un cavallo
che bruca l’erba in un prato o mangia della biada in una stalla è un’opera
d’arte, perché una rappresentazione ancor più realistica, come dei cavalli
autentici, non può esserlo?
Se poi aggiungiamo il fatto,
tutt’altro che secondario, dell’essere esposti in una galleria d’arte ecco che
il concetto si fa più chiaro (o meno nebuloso).
Da quest’idea dobbiamo partire per
comprendere l’arte dei nostri tempi, senza l’abbandono dei canoni artistici
ottocenteschi, che ancora oggi la fanno da padrone, sarà sempre complicato
capire quello che gli artisti contemporanei ci vogliono dire.
L’aspetto puramente estetico rischia
di scomparire se scisso dal concetto di base, difficile apprezzare l’insieme
limitandoci a cercare la sola bellezza “visiva”.
Ancora più importante l’aspetto
sollevato da chi si oppone all’utilizzo di animali vivi, proteste giustificate anche
se attenti controlli (soprattutto nella più recente esibizione newyorkese)
garantiscono il rispetto degli animali stessi.
L’uso di animali nell’arte (è non
solo) è, secondo me, da evitare assolutamente, la mia è un’analisi di un
pensiero “assoluto” che va letto seguendo una precisa direzione, se ci si
limita ad osservare passivamente restano solo i dubbi e le perplessità di un’operazione “complessa”.
sabato 5 settembre 2020
Le opere e i loro autori, scindere le due dimensioni o le une sono indissolubilmente legate agli altri?
La questione all’apparenza sembra di facile soluzione ma siamo sicuri che sia veramente cosi?
La notizia è di questi giorni, la Collezione Pinault, a Punta della Dogana a Venezia, ha ritirato un’opera di Saul Flechter, l’artista tedesco nello scorso luglio ha ucciso, prima di togliersi la vita, la compagna Rebecca Blum.
Il mondo dell’arte,
e non solo, si è diviso, la maggioranza ha fatto pressioni ai vari musei e
gallerie affinché si adoperino a togliere dai loro cataloghi ed esposizioni
tutte le opere di Flechter, altri, una minoranza, sottolineano quanto sia
pericoloso mescolare le opere e l’artista
con il lato strettamente umano.
Da una parte
viene spontaneo reagire con sdegno verso l’uomo Flechter, ma siamo sicuri che
cancellare l’intera “storia” artistica” sia la soluzione migliore?
Quanti dipinti, quante
sculture, non sarebbero arrivate a noi se nel corso della storia il giudizio
sul comportamento della persona avesse avuto ricadute sulle opere che la stessa
ha realizzato.
Sono sempre
stato contrario a “mischiare” l’artista con l’uomo, il grande pittore, il
geniale musicista, l’immenso scrittore, giudizi legati alle opere, se andiamo a
“scavare” nella vita privata dei grandi dell’arte e usassimo il metro che si
vuole utilizzare per Flechter resterebbe ben poco della storia dell'arte.