Benito Quinquela Martín – Día de sol, 1956
Olio su tela - cm 200 x 170 - MUMART (Museo Municipal de Arte de La Plata, Buenos Aires |
Noto nel suo paese,
l’Argentina, dove è considerato una delle figure più importanti nel mondo
dell’arte e non solo, è meno conosciuto, quantomeno tra il grande pubblico, in Europa nonostante abbia
esposto le sue opere nelle maggiori città del vecchio continente, Madrid,
Londra, Roma, Parigi, stella indiscussa a New York, capitale assoluta dell’arte mondiale nella seconda metà del secolo scorso.
Quinquela ha
dedicato molto tempo e molte opere alla rappresentazione della sua città, Buenos
Aires, in particolare la zona portuale di La Boca, centro nevralgico
dell’economia argentina e specchio di
un’umanità laboriosa ma ai margini.
Abbandonato in
fasce davanti ad un orfanotrofio accompagnato da un foglio dove si indicavano
il nome e il cognome con cui era stato battezzato (Benito Juan Martín) la data
di nascita è stata ipotizzata dalle suore che lo avevano raccolto nel 1 marzo
1890 (è stato stimato che il bimbo, al momento del rinvenimento, avesse una ventina di giorni).
Qualche anno dopo,
venne adottato da una famiglia di origini italiane, da qui l’aggiunta del
cognome del patrigno, Chinchella, che in seguito si trasforma in uno
spagnoleggiante Quinquela.
Il dipinto a cui
voglio dedicarmi è realizzato a metà degli anni cinquanta, la città di Buenos Aires è in continua espansione ed evoluzione, il pittore ne racconta una
giornata qualunque, Día de sol, è la
rappresentazione di una comune giornata di sole ma bastano pochi istanti
davanti alla tela per capire che il mondo a cui si riferisce Quinquela è
tutt’altro che un semplice giorno soleggiato.
Il quadro può
essere diviso in tre “fasce” ben distinte, quella in primo piano, all’ombra,
quasi perennemente al buio, racconta le sofferenze, gli stenti e i sotterfugi
di chi fatica ad arrivare a sera, economicamente e fisicamente, sono scure le
figure al lavoro, scure le imbarcazioni, scura l’acqua, tutto ha un’accezione
negativa.
La “fascia”
centrale al contrario è illuminata dal sole, i colori sono accesi, gioiosi,
quella parte della città vive nell’abbondanza, tra gli agi e confortata da un
benessere che ad altri è negato, le case e le barche ci parlano di un mondo
“positivo” dove la gente vive la propria vita serenamente ignara, più o meno
consapevolmente, di ciò che accade nel quartiere vicino.
La terza “fascia”
ci mostra il cielo azzurro, o almeno cosi dovrebbe essere, che viene a sua
volta oscurato da quello che è il prezzo da pagare per l’eccesso di consumo di
una parte della popolazione, le abitazioni, le fabbriche, la città stessa, sono
un susseguirsi di ciminiere e camini che eruttano costantemente fumo nero che
va a colorare di grigio il paesaggio, l’azzurro del cielo dunque viene sommerso
da una costante produzione di gas e fumi.
Contestualizzando
l’opera, cosa tutt’altro che semplice, potremmo vedere la rappresentazione di
uno stile di vita discutibile ma che allora poteva essere inteso come il classico
“progresso che avanza”, vista ai giorni nostri è il racconto della fine.
Sono passati quasi
settant’anni dalla realizzazione di questo dipinto, d'istinto potremmo ricollocare la scena ai giorni nostri e sottolineare che
siamo esattamente nelle stesse condizioni, ma l'arte vuole andare oltre, quale sia la direzione non lo sappiamo, ognuno, forte (o debole) del proprio "sguardo" ne trarrà le conclusioni (ammesso che ci siano).