“Nulla è perduto”, questo è il titolo della mostra in corso alla GAMeC (Galleria d’arte moderna e contemporanea) di Bergamo.
Un percorso, perché letteralmente si tratta di un viaggio, tra le infinite trasformazioni della materia, i quattro elementi che mutano continuamente rigenerandosi all’infinito.
Si parte con una
incredibile passeggiata su un pavimento di conchiglie, opera dell’artista
svedese Nina Canell, l’imbarazzante confronto con i miliardi di metri cubi di
cemento che scorrono sotto i nostri piedi (materiale che non si rigenera) è
palese, camminare sul letto di materiale organico, che frantumandosi si rimette
in circolo assorbito dalla terra che ne trae nutrimento, è di per se
un’esperienza unica.
Le quattro sezioni
della mostra, aria, acqua, fuoco e terra, si snodano e vengono rappresentate da
opere realizzate nell’arco di un secolo da diversi artisti, incontriamo il
surrealismo e il dadaismo con Man Ray, Duchamp, Ernst e Carrinton, il pioniere
della Land Art Robert Smithson, esponenti dell’arte povera come Calzolari e
Icaro, fino ai contemporanei come Eliasson e Gaillard.
Tutti sensi vengono
messi alla prova, oltre al tatto (camminare sulle conchiglie o toccare i
cristalli colorati, e naturalmente la vista, entra in gioco l’olfatto con
l’odore dei Sali che si compongono e scompongono tramite “percorsi” chimici naturali, e
l’udito con i suoni che accompagnano il visitatore in tutto il viaggio.
L’insieme è
affascinante, ma lo sono anche le singole opere che prese una ad una raccontano
la loro epoca e la proiettano ai giorni nostri, l’impressione che ne ho
ricavato è che la proiezione stessa non
si limita all’oggi ma si dirige nel futuro.
Oltre ai già citati
artisti la mostra ci offre opere di De Chirico, Ana Mendieta, Yve Tanguy,
Otobong Nkanga, Gerda Steiner, Renata Boero, Yves Klein, Pamela Rosenkrand Andy
Warhol e molti altri.
Il cammino si
conclude con un video di Mika Rottenberg “Spaghetti blockchain” dove la
trasformazione della materia si fonde con i suoni provocati dalla manipolazione
stessa, sensazioni intense che proviamo immersi dai “rumori”, dai colori e dal
concetto.
Ma una mostra non è
solo ciò che vediamo (o come in questo caso sentiamo, tocchiamo o “annusiamo”)
ma quello che rimane dopo una breve o lunga “decantazione”, le informazioni
raccolte, l’elaborazione delle emozioni, delle sensazioni, tutto prende corpo e
il risultato finale è quello che la mostra ci ha offerto e che noi abbiamo
saputo assimilare.
Non affronto mai
una visita ad un museo in modo casuale, qualcuno può obiettare che cosi facendo
mi perdo l’effetto sorpresa, cosa di cui ero convinto anch’io in passato,
naturalmente dipende da cosa si decide di visitare e dalle conoscenze che si
hanno (un percorso come questo è difficile da pianificare, ci si deve lasciare
trasportare in quanto non si conosce il pensiero alla base della mostra, se non
superficialmente).
Affrontando al buio
una visita “artistica” è assicurato il già citato effetto sorpresa ma è
impossibile il successivo passo, lo studio che precede la visita deve essere
posticipato, con il rischio di non riuscire ad andare in profondità.
Immagine tratta dal video di Mika Rottenberg “Spaghetti blockchain” |