sabato 28 agosto 2021

il colore e il movimento

Prendiamo una fotografia scattata in qualsiasi posto, con un qualsiasi soggetto, senza particolari “appostamenti”, in pratica uno scatto “a caso”.

Con una qualsiasi applicazione che permette di ritoccare l’immagine proviamo a scomporla cromaticamente, qual è il risultato?


Premetto che questo “esperimento” (so che il termine è altisonante ed eccessivo ma non saprei come definirlo diversamente) avrebbe avuto un riscontro maggiore con una fotografia dai colori più vari e vivi, ma ho cercato di basare questo mio ragionamento partendo da un’immagine che ci porta ad una visione “quotidiana”, tutt’altro che ricercata.

Altra premessa fondamentale, La teoria dei colori di Wolfgang Goethe (1810) e il capitolo dedicato ai colori stessi in Lo spirituale dell’arte di Vasilij Kandinskij (1910) mi hanno indirizzato a questo maldestro tentativo di “vedere” oltre la forma (in presenza della forma) e dentro il colore, preso singolarmente.

Mentre le teorie spiegate nei due libri sopra citati hanno un peso specifico dove il colore è l’unico protagonista, ho cercato di prendere in considerazione i colori stessi in una posizione secondaria, quando osserviamo una fotografia la forma influisce inevitabilmente sul nostro giudizio (l’alba tra i monti, un tramonto sul mare ci affascinano per i colori ma li collochiamo immediatamente, mare o montagna appunto).

Questa banale fotografia, dove le varie sfumature si presentano l’una senza le altre, è in grado di farci muovere in una qualsiasi direzione?

Proviamo a “saturare” in modo innaturale i colori per rendere più evidente lo “scorporamento”, l’effetto potrebbe essere più immediato ma perderebbe quel suo essere “quotidiano”.


Il primo quartetto di fotografie è naturale, il secondo è ritoccato (mi riferisco ai colori, solo una fotografia è naturale) non so se riesco a cogliere, ma soprattutto a comunicare, l’essenza dei colori secondo una profondità di pensiero che nasce nell’ottocento e si sviluppa all’inizio del secolo scorso.

Una sfumatura tra l’arancione e il marrone (senza essere nessuno dei due) il blu e il verde, il primo colore tende ad andare incontro all’osservatore, il secondo al contrario cerca di allontanarsene, il terzo è fermo mantenendo un equilibrio materiale e psichico.

Non è detto che questa prova riesca nel suo intento (è anzi probabile che l’intero discorso sia incomprensibile) ma …

Il colore, la forma, l’idea, il soggetto (inteso come veicolo delle sensazioni che portano a determinate emozioni) può l’immagine “vivere” senza alcune di queste componenti?

Cosa cambia, se cambia, nella nostra visione l’assenza di un colore o l’isolamento degli stessi?

PS. si potrebbero utilizzare tecniche di fotoritocco decisamente più "professionali" ma non è questo il punto, non interessa il risultato "tecnico" ma l'impressione visiva e soprattutto quella emozionale.


mercoledì 25 agosto 2021

E' sempre (purtroppo) il momento opportuno

Il delicato argomento trattato da questa intensa poesia di Alda Merini è purtroppo sempre attuale, quando pensiamo alla violenza sulle donne, quando leggiamo scritti, sentiamo canzoni, captiamo voci, la reazione è sempre la stessa “nonostante gli anni è sempre attuale”.

Questi versi della Merini, che spesso vengono pubblicati incompleti in quanto sembra che si debba accorciare tutto (i lettori, in particolare quelli “social” evitano qualsiasi scritto che superi la decina di parole) esprimono una forza immensa, l’energia data dalla sofferenza ma anche l’energia scaturita dalla speranza.

Alda Merini ha vissuto sulla propria pelle la violenza, in particolare quella psicologica, e grazie alla poesia ha saputo affrontare i propri, e altrui, demoni.

Questi drammi interiori riaffiorano con la poesia dove le difficoltà si palesano senza però cadere nella disperazione, al contrario i versi ci danno quella speranza che conduce alla serenità.




Farfalle libere - Alda Merini


O donne povere e sole,

violentate da chi non vi conosce.

Donne che avete mani sull’infanzia,

esultanti segreti d’amore

tenete conto che la vostra voracità

naturale non sarà mai saziata.

Mangerete polvere, 

cercherete d’impazzire e non ci riuscirete, 

avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due.

Ma da queste profonde ferite 

usciranno farfalle libere. 





(nell’immagine: Katsushika Hokusai – Peonie e farfalla, 1833-35 ca.

Museum of Art, Honolulu)



sabato 21 agosto 2021

Il quadro sotto il quadro

“Bisognerebbe poter mostrare i quadri che sono sotto il quadro.”

Partendo da queste parole, attribuite a Pablo Picasso, possiamo cercare di vedere il “quadro” con un occhio diverso.

Non sto certo parlando di un dipinto coperto da un altro dipinto ma di quello che vuole rappresentare il pittore senza essere estremamente palese.

La frase però non ci invita a guardare in profondità, in questo caso sarebbe giusto dire: “bisognerebbe guardare i quadri che sono sotto i quadri”, quel “poter mostrare” ha un altro significato, non ci resta che cercare di comprenderlo o quantomeno di afferrarne i concetti basilari.

Cosa cerca Picasso nel quadro sotto il quadro? O meglio, perché è impossibilitato a mostralo?

L’inconscio o un senso, anche solo velato, di pudore impedisce all’artista di raccontare e raccontarsi alla luce del sole? Probabilmente c’è nel profondo dell’animo del pittore qualcosa che, riversato sulla tela, si nasconde dietro un’immagine semplificata.

Un’altra teoria, che reputo più vicina alla verità, ci racconta dell’artista che si specchia nella tela ma il riflesso potrebbe essere incomprensibile all’occhio dello spettatore che in questo caso potrebbe distogliere l’attenzione e andare oltre.

“Bisognerebbe mostrare” perché chi sta di fronte al quadro comprenda le emozioni di chi lo ha realizzato, ma queste emozioni sono lecitamente “mostrabili”? Il pittore mettendosi a nudo (e facendo leva sulla capacità introspettiva dell’osservatore) non rischia di mostrarsi vulnerabile?

Picasso chiede agli artisti, e a sé stesso, un atto di coraggio o il medesimo coraggio lo chiede al mondo dell’arte, compreso il fruitore “visivo”?

Ma tutto gira attorno la "poter", chi o cosa impedisce anche al più coraggioso degli artisti di mostrare il cuore dell'opera (o meglio ancora del proprio pensiero)?

Forse la soluzione ideale è quella di nascondere il quadro “vero” sotto il quadro di facciata, ciò obbliga chi si pone davanti all’opera a prendere una decisione fondamentale. Può decidere di fermarsi davanti alla superficie e accontentarsi di quello che ci trasmette istintivamente, oppure immergersi (qui servono impegno e dedizione) fino a trovare il quadro nascosto.

L'arte è semplice e terribilmente complessa allo stesso tempo, l'artista vorrebbe renderla più accessibile ma a condizione che non ci si fermi alla prima impressione, questo probabilmente non sempre è possibile (direi che non è mai possibile).

Come sempre accade le domande che pongo non necessitano per forza di risposte, semmai spingono a riflettere portando ad altre intuizioni (che ignoro e che potrebbero aprire un sentiero a me sconosciuto) non so dove il discorso possa portare ma ovunque si vada sarà un posto meraviglioso.


nell’immagine: Pablo Picasso – La cucina, 1948.  Olio su tela - cm 175 x 250   Musée National Picasso, Parigi


sabato 14 agosto 2021

L'arte e le sfide impossibili

Mona Hatoum – Bunker (angle bldg I)

Tubi in acciaio dolce - cm 190  x 82 x 90

PART (Palazzi dell’arte) Collezione Fondazione San Patrignano, Rimini


“Voglio che la realtà diventi punto di discussione”

Con queste parole Mona Hatoum ci conduce all’interno della sua opera, cosa possiamo trovarci sta a noi scoprirlo.

Finalmente dopo continui rinvii, causati dalla situazione che tutti conosciamo, sono riuscito a visitare il nuovo museo d’arte contemporanea di Rimini, tra le interessantissime opere esposte (con una cornice strutturale a dir poco fantastica) la mia attenzione si è posata sulla scultura dell’artista libanese.

131 tubi di acciaio di diversa lunghezza uniti tra loro a formare una struttura cupa e compatta, i tubi presentano “ferite” varie, bruciature, fori, strappi, lacerazioni che naturalmente colpiscono immediatamente lo spettatore.

Come accade sempre per le opere di forte connotazione concettuale non basta lo sguardo per comprendere il senso, il titolo Bunker riduce lo spazio interpretativo e non annuncia nulla di buono, il nostro pensiero va alle infinite sfumature della guerra.

Approfondendo il pensiero della Hatoum tutto prende forma, libanese di nascita e palestinese di origini, richiama, trasmettendolo al mondo, il tema delicato e tragico del Medi Oriente.

Ecco che in modo chiaro e palese davanti a noi appaiono i palazzi sfigurati dai bombardamenti, ma la struttura a griglia ricorda anche gli schemi atti al controllo militare delle masse.

La realtà come punto di discussione dunque ma per dare vita ad una discussione improntata alla ricostruzione culturale è necessario che la parti in causa vadano nella stessa direzione.

Nella stessa direzione non vuol dire pensarla tutti allo stesso modo ma porsi in maniera che l’altro sia il completamento del “noi”, essere dunque disposti a mettere in gioco tutto quello che conosciamo, ma soprattutto essere consci che chi ci sta di fronte ha informazioni, coordinate, a noi sconosciute.

Quest’opera necessita di numerose informazioni, in particolare sono necessari altri punti di vista, non per avere il “quadro della situazione” (quello ce lo ha già offerto l’artista) ma per rendere la nostra visione più nitida e consapevole.


sabato 7 agosto 2021

Lo sguardo d'insieme

 

Salvador Dalì – Viso paranoico (La cartolina trasformata in Picasso) 

Olio su supporto sconosciuto – cm 62 x 80

Ubicazione sconosciuta (probabilmente distrutto)


Dipinto semplice e al contempo complesso per il motivo che l’opera non è reperibile, ci soffermiamo sulla ricostruzione che ha preso vita in immagini.

Il quadro è il seguito di un’idea nata con L’uomo invisibile, a seconda dall’angolo di osservazione o dall’attenzione che l’osservatore presta ad alcuni particolari, si possono vedere due soggetti differenti.

Ad un primo sguardo siamo davanti ad un paesaggio africano, una capanna alle cui spalle emergono le chiome di alcuni alberi e un muro che ne delimita il perimetro, oltre il muro la fine della distesa di sabbia e l’inizio di una catena montuosa, in profondità nubi vagamente minacciose e dal colore ambiguo (potrebbero essere cariche di sabbia).

Davanti alla capanna alcune persone sono seduta per terra, poco importa per quale motivo.

Se ruotiamo l’immagine a destra di novanta gradi ciò che vediamo è tutt’altro, siamo di fronte ad un viso la cui influenza ci porta indubbiamente a Picasso.

La capanna è parte del volto, gli alberi sono i capelli, le figure sedute sono gli occhi, il naso e la bocca.

Le motivazioni che hanno portato a questo risultato (o all’idea di partenza) sono legate probabilmente ad una visione “surrealista”, ma in fondo non è questo che ci interessa (o che mi interessa).

Trovo più interessante l’idea che basti spostare l’attenzione per vedere qualcosa che con un altro punto di vista non vedremmo, ognuno di noi è attratto da un particolare, quell’attrazione ci porterà ad un preciso traguardo, il tempo, la conoscenza e la voglia di modificare i nostri canoni visivi ci porteranno a “vedere” il quadro nella sua interezza.

Altrettanto avvincente è il perché qualcuno al primo sguardo nota la capanna mentre altri notano il viso (la prima ha più probabilità in quanto la scena panoramica è orizzontale) siamo indirizzati dal nostro inconscio? Lo stato d’animo, il luogo dove osserviamo l’opera, l’essere o meno soli davanti al dipinto, queste, e altre, situazioni possono spingerci in una direzione anziché nell’altra?