“La bellezza sta nell’incontro fortuito, su un tavolo operatorio, di una macchina da cucire e un ombrello”.
Questa
frase, di Isidore Ducasse (noto anche con lo pseudonimo di Lautréamont) è la
sintesi di un movimento, quello dadaista che partiva da una visione extra ordinaria.
André Breton nel primo Manifesto dadaista cita i Les Chants de Maldoror, dello stesso Ducasse, definendoli la nascita del
Surrealismo.
L’opera di
cui voglio parlare è Cadeau di Man Ray, inutile dire che le parole di
Ducasse calzano alla perfezione, un ferro da stiro in ferro sulla cui piastra
vengono saldati 14 chiodi di rame (l’originale è andato perduto e l’autore ha
dato vita ad alcune repliche, ecco perché si possono riscontrare alcune
differenze nei dettagli).
In un
secolo di vita abbondante, l’opera è del 1921, si sono susseguite numerose
letture, naturalmente pensare di comprendere una scultura dadaista è un’utopia,
semmai possiamo tentare di trarre una nostra personalissima interpretazione.
Il ferro
da stiro, che ci può condurre in un ambiente legato alla sartoria, alla moda,
al teatro, viene accostato ai chiodi che fanno pensare al lavoro manuale, ai
cantieri, alle falegnamerie, due mondi lontani e al contempo meno distanti di
quanto si potrebbe pensare.
Se il
ferro da stiro e i chiodi hanno uno specifico compito, uniti perdono il loro
“senso” e si annullano a vicenda, questo è il fine dell’operazione, togliere un
oggetto costruito per un uso specifico e trasformarlo in un’opera il cui scopo
è quello di trasformarsi in opera d’arte.
D’altro
canto se sono in molti a pensare che questa non possa essere annoverata nella
schiera delle opere d’arte. Penso che tutti saremo concordi che non può certo
essere materialmente utile.
La
provocazione, perché in fondo il movimento dada questo era, serve a spingere la
visione artistica del tempo oltre i canoni consolidati, senza questa apertura
staremmo viaggiando su strade più “sicure” ma concettualmente più limitanti.
L’opera nell’immagine
è custodita alla Tate Modern di Londra.