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sabato 26 settembre 2020

L'arte è recitazione?

Alla domanda “cos'è l’arte?” è impossibile dare una risposta, non c’è alcun riferimento “materiale” che possa permetterci di raggiungere una parvenza di verità.
Ogni appassionato comunque ha provato a dare una descrizione personale, indicazioni più o meno approfondite, “visioni” dettate dall’istinto, nulla può descrivere l’arte ma tutto serve ad aprire nuovi spiragli.
L’arte è dunque recitazione? Nessun artista, pur impegnandosi a fondo, può creare opere d’arte senza che ci sia una, seppur piccola, “sceneggiatura”.
Anche le opere più istintive hanno una genesi “mentale”, scrivere una poesia, comporre musica, scattare una fotografia, “di getto”, apparentemente senza pensarci necessita di un istante infinitesimale dove l’artista decide di eseguire determinate azioni.
La pittura ci ha provato, Pollock lasciava gocciolare la vernice sulla tela, in questo caso non c’è nulla di istintivo, il rito del “dripping” è ragionato, Georges Mathieu dipingeva le sue tele a grande velocità cercando di ridurre il tempo per ragionare e lasciare così spazio all'improvvisazione, ma anche qui tutto parte da una programmazione.
Con la fotografia possiamo scattare “a caso”? Certamente possiamo farlo ma sceglieremo comunque dove puntare l’obbiettivo.
I surrealisti con la scrittura automatica si sono avvicinati ma tutto ha una preparazione, una fase dove nasce l’idea.
L’arte in fondo è finzione, anche quando vuole raccontare la realtà lo fa attraverso l’occhio, l’udito, le sensazioni di chi la crea, dal teatro alla poesia, dalla scultura alla pittura, alla musica, la fotografia e il cinema fino alle moderne installazioni e performance, nulla nasce dal caso, c’è sempre qualcuno che, consciamente o meno, scrive uno spartito, una sceneggiatura, recita o fa recitare un ruolo che ha il compito di trasmettere le proprie emozioni.

(nell’immagine: Georges Mathieu – Polémoine, 1979 – olio su tela, cm 81 x 130)

sabato 19 settembre 2020

L'essenziale capovolto, Georg Baselitz


Autore:   George Baselitz (Hans-Georg Rem)
(Kamenz, 1938)

Titolo dell’opera: Altre bionde, 1992

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 162 cm x 130 cm

Ubicazione attuale:  Anthony d’Offay Gallery, Londra






Duro, aggressivo, senza fronzoli, Baselitz rappresenta un nudo femminile ribaltandone l’interpretazione oltre che la visione.

Tratti inclementi e colpi di pennello decisi sono la tecnica espressiva di questo dipinto, la figura femminile, rappresentata sommariamente, privata di ogni poetica, viene ribaltata e imprigionata in una spessa cornice nera.

Il pittore tedesco crea il “recinto” con una densa colorazione nera impressa sulla tela passeggiandoci sopra, quasi a creare un’isola magica dove è difficile comprendere se l’oppressione del male sia imprigionata all’interno o isolata al di fuori.

La donna raffigurata nell’essenziale, senza possibilità di alcuna distrazione, pronta ad esplodere, a manifestare i secoli di tormentata sottomissione.

O forse questa altro non è che la visione che ne ha l’uomo che ne imprigiona il corpo ignorando il lato fondamentale, lo spirito.

mercoledì 16 settembre 2020

La fotografia tra la realtà e l'irreale

Se, come sosteneva Alfred Stieglitz, “Nella fotografia c’è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà”, quest’ultima superando se stessa si annulla.

Ciò che vediamo in una fotografia è l’immagine di un istante che sta tra il prima e il dopo, quell’istante che nella realtà non può essere “fermato”.

Se blocchiamo quello che nella realtà non è possibile bloccare il risultato non può essere parte del nostro mondo ma la riproduzione di un sistema interdimensionale.

Questo ci porta a pensare che se la fotografia è più reale della realtà stessa siamo davanti ad uno specchio che ci permette di vedere cosa c’è oltre il nostro riflesso, perché solo fermando il tempo possiamo viaggiare in più direzioni contemporaneamente.

Foto by Alfred Stieglitz

sabato 12 settembre 2020

La perfezione delle forme, Jannis Kounellis

 Davanti al nome di Jannis Kounellis gli appassionati e la critica d’arte si schierano in due distinte fazioni, da una parte c’è chi lo definisce un maestro assoluto, dall’altra un cialtrone sopravvalutato che di artistico non ha mai presentato nulla.

Se ci accodassimo a uno di questi schieramenti rimarcheremmo il clima da stadio e ignoreremmo ciò che le opere di Kounellis (indipendentemente dal fatto che ci piacciano o meno) tentano di spiegarci.

Voglio focalizzare l’attenzione sulla performance del 1969 all’interno della galleria romana “L’attico”, l’artista di origini greche “espone” dodici cavalli vivi, opera replicata successivamente in altre città tra cui Napoli e New York.

La reazione, legittima, che abbiamo nell’immediato è: “questo lo troviamo in una qualsiasi scuderia”.

E’ proprio questo il punto, perché una dozzina di cavalli, che tali restano all’interno di una stalla, diventano un’opera d’arte se “esposti” in una galleria?

Qui c’è il senso della lettura del concetto di arte contemporanea, l’indicazione di una consapevolezza che funge da base “comprensiva” dell’arte dal secondo dopoguerra ad oggi.

Kounellis espone i cavalli vivi non in quanto animali ma in quanto forme, in un qualsiasi maneggio possiamo ammirare i cavalli come esseri viventi, nella galleria ammiriamo la forma perfetta della rappresentazione del cavallo.

L’artista vuole uscire dalla cornice del dipinto classico, cornice che per secoli ha fatto da confine a innumerevoli rappresentazioni di cavalli, sia come palcoscenico per il nobile di turno, sia come “racconto” dell’animale inserito nel suo habitat naturale.

Dunque se il dipinto di un cavallo che bruca l’erba in un prato o mangia della biada in una stalla è un’opera d’arte, perché una rappresentazione ancor più realistica, come dei cavalli autentici, non può esserlo?

Se poi aggiungiamo il fatto, tutt’altro che secondario, dell’essere esposti in una galleria d’arte ecco che il concetto si fa più chiaro (o meno nebuloso).

Da quest’idea dobbiamo partire per comprendere l’arte dei nostri tempi, senza l’abbandono dei canoni artistici ottocenteschi, che ancora oggi la fanno da padrone, sarà sempre complicato capire quello che gli artisti contemporanei ci vogliono dire.

L’aspetto puramente estetico rischia di scomparire se scisso dal concetto di base, difficile apprezzare l’insieme limitandoci a cercare la sola bellezza “visiva”.

Ancora più importante l’aspetto sollevato da chi si oppone all’utilizzo di animali vivi, proteste giustificate anche se attenti controlli (soprattutto nella più recente esibizione newyorkese) garantiscono il rispetto degli animali stessi.

L’uso di animali nell’arte (è non solo) è, secondo me, da evitare assolutamente, la mia è un’analisi di un pensiero “assoluto” che va letto seguendo una precisa direzione, se ci si limita ad osservare passivamente restano solo i dubbi  e le perplessità di un’operazione “complessa”.

sabato 5 settembre 2020

Le opere e i loro autori, scindere le due dimensioni o le une sono indissolubilmente legate agli altri?

La questione all’apparenza sembra di facile soluzione ma siamo sicuri che sia veramente cosi?

La notizia è di questi giorni, la Collezione Pinault, a Punta della Dogana a Venezia, ha ritirato un’opera di Saul Flechter, l’artista tedesco nello scorso luglio ha ucciso, prima di togliersi la vita, la compagna Rebecca Blum.



Il mondo dell’arte, e non solo, si è diviso, la maggioranza ha fatto pressioni ai vari musei e gallerie affinché si adoperino a togliere dai loro cataloghi ed esposizioni tutte le opere di Flechter, altri, una minoranza, sottolineano quanto sia pericoloso  mescolare le opere e l’artista con il lato strettamente umano.

Da una parte viene spontaneo reagire con sdegno verso l’uomo Flechter, ma siamo sicuri che cancellare l’intera “storia” artistica” sia la soluzione migliore?

Quanti dipinti, quante sculture, non sarebbero arrivate a noi se nel corso della storia il giudizio sul comportamento della persona avesse avuto ricadute sulle opere che la stessa ha realizzato.

Sono sempre stato contrario a “mischiare” l’artista con l’uomo, il grande pittore, il geniale musicista, l’immenso scrittore, giudizi legati alle opere, se andiamo a “scavare” nella vita privata dei grandi dell’arte e usassimo il metro che si vuole utilizzare per Flechter resterebbe ben poco della storia dell'arte.