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martedì 30 agosto 2022

Previsioni, osservazioni, semplici dissertazioni o ...

A più di trent’anni dalla realizzazione di quest’opera possiamo quantomeno chiederci se Mario Schifano avesse intuito la deriva, soprattutto morale, del calcio moderno.

Ognuno ne può trarre le più “personali” indicazioni, non possiamo però ignorare che la visione artistica è proiettata nel tempo.

L'unico soggetto riconoscibile è il campo di calcio, il resto è lasciato all'interpretazione di chi osserva, il titolo è indicativo ma vi è traccia di una narrazione lineare, la percezione di ognuno di noi è influenzata dal nostro pensiero e da un preciso periodo storico, il resto "viaggia" autonomamente, senza controllo alcuno. 

All’epoca il pittore aveva 56 anni e uno “sguardo” disilluso … ma forse sono solo suggestioni.

Mario Schifano - Abita a casa del diavolo, 1990, Smalto e acrilico su tela, 250 x 250 cm



sabato 27 agosto 2022

Oltre la tecnica, dentro l'idea

 

Gianpiero Riccobello – Golgota, Getsas, Gesù e Disma

Legno, vernice, corda e chiodi

Continuo il mio peregrinare tra le pagine "virtuali" dedicate a chi vuole mostrare i propri lavori di carattere artistico.

Tra le centinaia di opere, per lo più si tratta di dipinti, spuntano autentiche dimostrazioni di talento, ritratti, paesaggi, nature morte, realizzati in maniera impeccabile (per quanto si possa comprendere da una riproduzione fotografica).

Ciò che è veramente difficile da trovare è l’idea, l’espressione di un sentire intimo che va al di là del “bello visibile”.

Scorrendo le decine di opere pubblicate giornalmente mi ha colpito questo lavoro,  un manufatto dal concetto originale, un’opera che emerge dalle banalità che ci sommergono, mi ha colpito perché riesce a trasmettere una sensazione claustrofobica, angosciante, un senso di violenta oppressione, più psicologica che fisica , un “disegno” ineluttabile che si compie malgrado tutto.

Tecnicamente ci sono opere di maggior spessore, ma il risultato si raggiunge quando si riesce a trasmettere un messaggio andando oltre l’apparenza, oltre la bellezza estetica. 

Il retro di un telaio in legno, della vernice scura, spago e tre chiodi usati e piegati, tutto assemblato senza una logica apparente ma evidentemente seguendo un disegno preciso.

Il titolo non da adito a fraintendimenti, siamo idealmente proiettati in una dimensione mistica senza però riuscire ad emergere dall’oppressiva visione della realtà, imprigionati dalla fitta rete e bloccati dal freddo metallo dei chiodi.

Il portale non sembra avere pertugi che ci permettono di sperare in una imminente apertura, ci dice che non siamo pronti, che la strada è ancora lunga, possiamo oltrepassarlo solo se lasciamo la nostra forma corporea e se il nostro essere spirituale si è liberato dalle catene del pensiero “materiale".


martedì 23 agosto 2022

[Pillole] La grandezza di un gruppo tanto amato quanto sottovalutato.

« Gli Abba hanno raggiunto ciò che di più vicino c’è alla perfezione, SOS è il brano che amo di più, l’essenza stessa della musica pop».

(John Lennon)


«Il sound degli Abba è pop allo stato puro, sono riusciti a rendere semplici, canzoni complesse ed intense».

(Camilla Pia)


Sono moltissimi a sostenere che il gruppo svedese degli ABBA ha scritto pagine immortali nella storia della musica degli anni settanta e ottanta ma quando ci si riferisce ai gruppi che hanno fatto la storia gli ABBA vengono presi in considerazione molto raramente.

Musiche che, nella maggior parte dei casi, ci spingono allo spensierato desiderio di un gioioso divertimento, ma che facevano (fanno) da cornice a testi tutt'altro che "leggeri", Slipping Through My Fingers (di cui ho parlato anni fa in uno dei miei primi post del blog) è solo uno dei numeroso esempi di "profondità" testuale del gruppo svedese.

Sono numerose le canzoni che raccontano temi complessi e personali velati da melodie più lievi. Tematiche che non cercano l'impossibile, raccontano la quotidianità, loro e nostra, piccoli grandi problemi, piccole e grandi gioie, momenti fondamentalmente banali ma che sono la trama della vita di tutti i giorni.

La cosiddetta canzone popolare, con gli ABBA, raggiunge vette a molti precluse, ma a volte, per non dire spesso, certe melodie vengono catalogate immediatamente verso il basso senza un minimo approfondimento (o anche perché sembra che tutto debba essere catalogato per forza). 

Questo però è solo il mio personale pensiero, di conseguenza ho preferito lasciare a due figure decisamente più competenti di me il compito di descriverne la grandezza.



sabato 20 agosto 2022

Una soluzione ovvia che di ovvio (alle nostre latitudini) non ha alcunché

Quella che voglio raccontare è una delle poche intuizioni positive delle amministrazioni italiche.

Siamo a Rimini, città che deve la sua fama al turismo balneare ma che da qualche tempo cerca di rilanciarsi con la cultura, la storia, l’arte e la promozione di un bagaglio che, se sviluppato, può innalzarne il livello. 




Qualche anno fa, passeggiando lungo l’argine del canale che porta dal mare al Ponte di Tiberio, ci si imbatteva nei resti semisepolti di un’antica porta.

L’accesso, datato attorno ad 1200, è stato restaurato due secoli e mezzo dopo dal signore del luogo, Sigismondo Pandolfo Malatesta. Alcune monete coniate a quel tempo dallo stesso Malatesta, che celebrava le opere da lui realizzate, confermano le fonti.


La Porta Galliana, questo è il nome, col passare del tempo, è stata dimenticata e seppellita quasi fino alla sommità, il “manufatto” era ridotto ad un fastidioso intralcio, gli unici ad essere interessati a ciò che emergeva dal terreno erano i soliti imbrattamuri che deturpano le città, a qualsiasi latitudine.

Molte volte in questi casi le amministrazioni locali (indipendentemente dal “colore” politico) risolvono il problema eliminando il fastidio, con una spesa esigua si rade al suolo il tutto e si da vita ad una strada o ad un terreno edificabile.

Non è il caso di questo capolavoro di architettura medievale, con la volontà e con una buona dose di denaro, sono iniziati gli scavi, il recupero e la messa in sicurezza del sito, il risultato è eccellente, nel “buco” fatto nel terreno troviamo una perla unica e, storicamente, artisticamente e culturalmente inestimabile.

Come da copione anche questo intervento ha visto molti tentativi atti a bloccarne il progetto, fortunatamente l’esito è stato positivo, visitare questo sito, per me che avevo visto il luogo prima dei lavori, è stato come entrare in una dimensione spesso ignorata dai più, la dimensione di chi vede in prospettiva, di chi sa valorizzare il patrimonio andando oltre il paraocchi del falso progresso fatto di colate di cemento.

Ma anche a lavori ultimati non sono mancate le, spesso inutili, ricerche di pretesti atti a criticare l'operato "perché ci hanno messo un ponte e un piccolo laghetto?"  è una di queste, "hanno fatto terra bruciata vicino alla porta eliminando i due alberi già esistenti" questa è un'atra dimenticando che nel sito sono stati piantati nuovi alberi, invece di apprezzare ciò che viene fatto (certo c'è sempre un margine di miglioramento) ci si lamenta a prescindere, d'altro canto quella che appunto dovrebbe essere una logica "visione" culturale nel nostro paese è solo uno dei tanti motivi validi per lanciarsi nello sport nazionale (non è più il calcio) la lagnanza, il lamento.

Le due immagini raccontano la metamorfosi, il viaggio (parziale) a ritroso nel tempo, il prima e il dopo di un’impresa che dovrebbe essere addirittura scontata ma che nel corrente modo di pensare non lo è affatto.


martedì 16 agosto 2022

La conoscenza del gesto, la comprensione dell'opera, Lucio Fontana

 

“Un giorno un noto chirurgo venne nel mio studio e notando una mia opera mi disse che quei buchi li sapeva fare anche lui.

Gli risposi che una gamba la so tagliare anch’io ma nel mio caso il paziente sarebbe morto mentre con lui la faccenda sarebbe stata diversa”.

Lucio Fontana


Ci sono “gesti” che possiamo fare tutti ma non tutti comprendono la genesi del gesto stesso e ne sanno indirizzare il percorso.


Lucio Fontana - Concetto spaziale (1965)

sabato 6 agosto 2022

Giornata di sole ... apparente

Benito Quinquela Martín – Día de sol, 1956

Olio su tela - cm 200 x 170   -  

MUMART (Museo Municipal de Arte de La Plata, Buenos Aires


Noto nel suo paese, l’Argentina, dove è considerato una delle figure più importanti nel mondo dell’arte e non solo, è meno conosciuto, quantomeno tra il grande pubblico, in Europa nonostante abbia esposto le sue opere nelle maggiori città del vecchio continente, Madrid, Londra, Roma, Parigi, stella indiscussa a New York, capitale assoluta dell’arte mondiale nella seconda metà del secolo scorso.

Quinquela ha dedicato molto tempo e molte opere alla rappresentazione della sua città, Buenos Aires, in particolare la zona portuale di La Boca, centro nevralgico dell’economia  argentina e specchio di un’umanità laboriosa ma ai margini.

Abbandonato in fasce davanti ad un orfanotrofio accompagnato da un foglio dove si indicavano il nome e il cognome con cui era stato battezzato (Benito Juan Martín) la data di nascita è stata ipotizzata dalle suore che lo avevano raccolto nel 1 marzo 1890 (è stato stimato che il bimbo, al momento del rinvenimento, avesse una ventina di giorni).

Qualche anno dopo, venne adottato da una famiglia di origini italiane, da qui l’aggiunta del cognome del patrigno, Chinchella, che in seguito si trasforma in uno spagnoleggiante Quinquela.

Il dipinto a cui voglio dedicarmi è realizzato a metà degli anni cinquanta, la città di Buenos Aires è in continua espansione ed evoluzione, il pittore ne racconta una giornata qualunque, Día de sol, è la rappresentazione di una comune giornata di sole ma bastano pochi istanti davanti alla tela per capire che il mondo a cui si riferisce Quinquela è tutt’altro che un semplice giorno soleggiato.

Il quadro può essere diviso in tre “fasce” ben distinte, quella in primo piano, all’ombra, quasi perennemente al buio, racconta le sofferenze, gli stenti e i sotterfugi di chi fatica ad arrivare a sera, economicamente e fisicamente, sono scure le figure al lavoro, scure le imbarcazioni, scura l’acqua, tutto ha un’accezione negativa.

La “fascia” centrale al contrario è illuminata dal sole, i colori sono accesi, gioiosi, quella parte della città vive nell’abbondanza, tra gli agi e confortata da un benessere che ad altri è negato, le case e le barche ci parlano di un mondo “positivo” dove la gente vive la propria vita serenamente ignara, più o meno consapevolmente, di ciò che accade nel quartiere vicino.

La terza “fascia” ci mostra il cielo azzurro, o almeno cosi dovrebbe essere, che viene a sua volta oscurato da quello che è il prezzo da pagare per l’eccesso di consumo di una parte della popolazione, le abitazioni, le fabbriche, la città stessa, sono un susseguirsi di ciminiere e camini che eruttano costantemente fumo nero che va a colorare di grigio il paesaggio, l’azzurro del cielo dunque viene sommerso da una costante produzione di gas e fumi.

Contestualizzando l’opera, cosa tutt’altro che semplice, potremmo vedere la rappresentazione di uno stile di vita discutibile ma che allora poteva essere inteso come il classico “progresso che avanza”, vista ai giorni nostri è il racconto della fine.

Sono passati quasi settant’anni dalla realizzazione di questo dipinto, d'istinto potremmo ricollocare la scena ai giorni nostri e sottolineare che siamo esattamente nelle stesse condizioni, ma l'arte vuole andare oltre, quale sia la direzione non lo sappiamo, ognuno, forte (o debole) del proprio "sguardo" ne trarrà le conclusioni (ammesso che ci siano).


mercoledì 3 agosto 2022

[Pillole] L'anima cromatica

Yves Klein sosteneva che l’azzurro è l’invisibile diventato visibile … non ha dimensioni. E’ oltre le dimensioni di cui sono partecipi gli altri colori”.

Pizzi Cannella - Blue K (omaggio a Yves Klein)

L’azzurro è un colore che sovrasta gli altri colori senza metterli in secondo piano anzi, ne risalta le “capacità” eleggendoli a protagonisti assoluti.

L’azzurro come essenza stessa del colore?