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martedì 28 giugno 2022

[Pillole] "... perché nessuno sapeva chi era ..."

“Ho dato inizio a un happening a New York dichiarando davanti a tremila spettatori che Cézanne era di una catastrofica inesperienza, un pittore di decrepite strutture del passato. Sono stato applaudito, soprattutto perché nessuno sapeva chi era Cézanne”

Salvador Dalí


Appunto …


Nell’immagine: Paul Cézanne, Castagni e fattoria al Jas de Bouffan, 1884 – Olio su tela, cm 92 x 73. Norton simon Museum, Pasadena


sabato 25 giugno 2022

Tre punti di vista, gli sguardi artistici di Corot

Jean-Baptiste Camille Corot fa il suo primo viaggio di studio a Roma e soggiorna nella capitale italiana tra il 1825 e il 1828, in quel periodo era fondamentale, per la formazione di un artista, visitare la città eterna.

Durante questi tre anni Corot dipinse spesso all’aperto ed è ne 1826 che, in poco più di due settimane realizza tre dipinti che hanno in comune il fatto di essere la realizzazione di altrettante vedute dipinte nello stesso posto e contemporaneamente.

Veduta dai giardini Farnese a Roma, 1826  Olio su carte incollata su tela, cm 24,5 x 41,5
Phillips Collection, Washinnton

Il mattino lavorava alla Veduta dai Giardini Farnese a Roma, a mezzogiorno dirigeva lo sguardo ad est e da quella posizione realizza Il Colosseo, nel tardo pomeriggio lo sguardo si dirigeva a nord dove si poteva vedere il Foro romano, da qui il titolo del terzo quadro.


Il Colosseo, 1826  Olio su carte incollata su tela, cm 30 x 49
Museo del Louvre, Parigi

Le tre opere sono messe in risalto dalle luci del sole che ci indicano il momento del giorno in cui sono realizzate, le ombre si allungano o si accorciano a seconda dell’ora, anche se è possibile notare la resa degli alberi che, al contrario delle costrizioni, sembra meno nitida, l’influenza della pittura paesaggistica da atelier è ancora presente nel giovane Corot, influenza che col tempo si farà sempre più impalpabile, nonostante questo piccolo e probabilmente insignificante particolare la maestria del pittore francese va oltre e ci regala tre capolavori assoluti, il primo custodito nella collezione di Duncan Phillips, gli altri due al Louvre.


Il Foro visto dai giardini Farnese, 1826  Olio su carte incollata su tela, cm 28 x 50
Museo del Louvre, Parigi

Tre punti di vista di un singolo luogo, la capacità di Corot di cogliere gli effetti luminosi naturali, la sapienza nel saper concentrare lo sguardo su un soggetto, subito dopo averne “abbandonato” un altro.



mercoledì 22 giugno 2022

Viviamo il "tempo" sbagliato?

Secondo Raimon Panikkar il passato è passato in quanto ricordo del presente, il passato in quanto passato non esiste, il futuro in quanto futuro non esiste, l’unica cosa che esiste è il presente.

Ma noi non sappiamo vivere il presente e proiettiamo tutte le nostre energie, fisiche e psichiche, nel tentativo di “vivere” in un tempo che non esiste, il risultato è semplicemente catastrofico.

Un altro punto imprescindibile dell’errore umano, sempre secondo Panikkar, sta nel pensare di essere eterni vivendo nel tempo, eternità e temporalità non sono assimilabili anzi, l’una esclude l’altra.

Non siamo eterni dunque viviamo nel “tempo” presente ed è lo stesso Panikkar che traccia quella che potrebbe essere la via maestra da seguire, anche se può apparire spiazzante: “non importa se viviamo quindici, trenta, cinquanta o novant’anni, la cosa fondamentale è vivere il presente consapevoli di essere unici tra miliardi di unicità”.

nell'immagine: Enrico Benetta - Mi riprendo il mio tempo



sabato 18 giugno 2022

Movimenti nascosti ... sotto la neve

«Questa Bonn è una vera città di pensionati. Tutto molto tranquillo, serio, discreto. La zona in cui viviamo ha molte caratteristiche interessanti. Branchi di cani, cavalli e cavalieri, bambini che si picchiano. Poi le case che ti guardano con occhi vivi. Amo molto questa città».

August Macke – Marienkirke sotto la neve 1911 - Olio su cartone, cm 105 x 80.  Hamburger Kunstalle, Amburgo


Questo estratto da una lettera che Macke ha scritto all’amico Franz Marc potrebbe essere la descrizione ufficiale del dipinto, è vero che non si vedono ne cani ne cavalli ne tantomeno cavalieri e bambini ma la dinamicità della scena è rappresentata dalle numerose costruzioni che sembrano stringersi l’una sull’altra senza trovare una posizione definitiva.

Le abitazioni in primo piano sono particolarmente basse, tanto da far pensare ad una sorta di fabbriche, per poi innalzarsi fino alla chiesa e ai campanili sullo sfondo.

Nonostante i colori non siano particolarmente vivi emerge la sensazione che il paesaggio cerchi di emergere dalle “strette” dell’inverno, la neve copre parzialmente i tetti, tutto è in bilico, in attesa.

Se non prendiamo in considerazione le parole della lettera spedita a Marc la sospensione sembra fissata dall’artista, bloccata nel tempo, ma dal punto di vista dello spettatore è impossibile sapere cosa succede nelle strade tra le case, possiamo solo immaginarlo.

La forma cubica degli edifici non può non portarci alle opere di Cezanne e al cubismo che ha da poco preso vita, certo l’evoluzione di Braque e Picasso non è presente ma il concetto espresso da Cezanne si, le “idee dei primi nascono da quella del secondo, difficile ignorarle anche se non sono correlate, almeno ufficialmente.

mercoledì 15 giugno 2022

L'uomo (nero) di San Pietroburgo

L’uomo di San Pietroburgo. Non credo alle premonizioni ma ci sono opere che spesso indagano il futuro, alcuni artisti riescono a farlo consciamente grazie ad una visione non comune, altri, inconsciamente, danno vita a proiezioni che rilette nel tempo aprono a scenari inimmaginabili.

Gennady Blokhin - Black crow, Night St. Petersburg

Questa immagine realizzata dal fotografo russo Gennady Blokhin è carica di energie negative, naturalmente la lettura è “contaminata” dagli eventi di queste ultime settimane, anche se “l’uomo di San Pietroburgo” a cui mi riferisco, da tempo è foriero di sventura.

Il corvo in primo piano e sullo sfondo la strada affiancata da numerose abitazioni, ci appare tetra, tutt’altro che rassicurante (e ben lontana da quella che è realmente, una città meravigliosa).

L’arte, a volte, illumina gli angoli bui della storia futura,  in questo caso la rappresentazione ha colto nel segno.

Sicuramente l’intento di Blokhin non era quello a cui mi riferisco ma … non posso nemmeno escludere il contrario.

Cosa ci voglia (o non voglia) dirci quest’opera non lo sappiamo con certezza ma, con gli occhi “contemporanei” il buio morale di San Pietroburgo, o meglio di un suo celebre, aimè, cittadino, traspare con una forza dirompente.

sabato 11 giugno 2022

Doppio negativo, la visione "positiva" dell'arte

Non si tratta certamente di un’opera che cattura lo sguardo dello spettatore che, più o meno casualmente, capita da quelle parti (ancora più ostica se si considera la visione per immagini).



Tra il 1969 e il 1970, Michael Heizer, realizza nel deserto del Nevada la sua opera più nota, Doppio negativo: due lunghi solchi profondi 15 metri scavati con le ruspe come a formare due canyon artificiali in asse tra loro e solcati nel mezzo dal declivio naturale del terreno.

Uno degli esponenti più importanti della “Land art” o “Earth art”, corrente artistica che si pone l’obbiettivo di portare l’arte fuori dalle gallerie e utilizzare la terra come “tela” sulla quale “dipingere” le proprie emozioni.

Double Negative è stato anche accostato ad una ipotetica “architettura del paesaggio” dove il paesaggio è in sintonia con l’opera realizzata, ma fondamentalmente non si tratta di un lavoro inserito in uno scenario, è la scena stessa che viene plasmata, la lavorazione dello spazio ne implica un cambiamento, l’obbiettivo di Heizer è però, probabilmente, un altro, in una zona praticamente deserta, da vita al vuoto, all’assenza di materia laddove c’è solo materia.

Resta il dubbio se siano i due solchi l’essenza dell’opera o se gli stessi solchi ne siano solamente la cornice.

Doppio Negativo è la coppia di “assenze materiali”, dove la doppia negazione annulla la negazione stessa proiettandone l'opposto, ma potrebbe fungere da amplificatore per tutto quello che sta attorno ai canyon artificiali.

La risposta ufficiale è la prima ma non possiamo escludere a priori la seconda ipotesi.

Dopo più di mezzo secolo anche le indicazioni dell'autore, sempre se riusciamo a trovarle (in mezzo a dichiarazioni difficilmente autenticabili) non hanno più la valenza che potevano avere allora, il tempo la collocazione temporale ha preso possesso del concetto dell'opera, plasmandone il pensiero, o venendo plasmato a sua volta, fino a cadere nell'oblio.


giovedì 9 giugno 2022

[ Pillole ] L'artista ideale

«Bronzino è un perito maestro, e mi piace molto il suo fare, e li son anco parzial per le virtù sue, ma a me più sodisfa Tiziano, e se Tiziano e Michiel Angelo fussero un corpo solo, over al disegno di Michiel Angelo aggiontovi il colore di Tiziano,se li potrebbe dir loro dio della pittura, sì come parimenti sono anco dèi propri …»

(tratto da: Dialogo di pittura di Paolo Pino, 1548)


Tiziano Vecellio - Flora, 1515 ca.   Olio su tela cm 79 x 63

Museo degli Uffizi, Firenze



sabato 4 giugno 2022

L'arte e la moda "museale".

«Tantissima gente entra nei grandi musei, quei musei che fanno tendenza, ma quanti sono quelli che usciti ricordano cos’hanno visto?

Quanti entrano nei musei Vaticani senza ricordare nulla di ciò che vi è esposto?

Troppi entrano al Louvre solo per vedere la Gioconda, ma non vedono neppure quella, si limitano a dire di averla vista ».

 Antonio Paolucci


Nike di Samotracia, 200-180 a.C. - Marmo pario h 245 cm.   Museo del Louvre, Parigi

Questa denuncia, dell’allora direttore dei Musei Vaticani, fa luce su un fenomeno che divide in due il mondo dell’arte e in particolare il sistema museale di tutto il mondo.

Se da una parte l’afflusso crescente dei visitatori riversa “ossigeno” nelle casse dei vari musei, dall’altra mette in evidenza una crescente lacuna culturale.

Nel cercare di comprendere questo fenomeno di massa i pro e i contro sono evidenti ma i punti che considereremmo positivi sono in numero inferiore.

I pro sono legati all’afflusso di denaro e alla possibilità che un numero sempre maggiore di persone di accedere ai luoghi canonici dell’arte.

Il lato economico però si concentra sui musei più noti, il flusso delle masse si dirige esclusivamente nei luoghi più celebri, non importa quali opere custodisca (un’eccezione è la “Gioconda”) è il nome del museo che attira i visitatori.

Se questo è un bene per alcuni, non lo è minimamente per la maggioranza degli altri musei, economicamente sono una piccolissima minoranza a trarne beneficio.

L’altro lato positivo potrebbe essere quello legato all’allargamento dei potenziali fruitori dell’arte, quello che qualche decennio fa era un’esclusiva di una elite oggi è a portata di mano di moltissima gente.

C’è però un rovescio della medaglia, l’esclusione dei musei più piccoli o comunque meno conosciuti (si parla di percentuali enormi, stime vanno da un 90 ad un 99 % dei casi) rende il sistema squilibrato e di conseguenza estremamente fragile, senza appunto un equilibrio è destinato a crollare.

L’altro argomento si riallaccia alle parole di Paolucci, la maggioranza della marea di gente che si riversa nei vari “santuari” dell’arte non è minimamente consapevole di ciò che va a vedere e di quello che, all’uscita, ha visto.

Il mio pensiero si basa su dati raccolti, da varie interviste ai dirigenti che non nascondono quanto sia sbilanciato il confronto tra il numero dei visitatori e la effettiva coscienza degli stessi riguardo a ciò che hanno di fronte.

Se a tutto questo sommiamo la corsa ai cosiddetti selfie da esibire sui social ecco che tutto torna, l’esempio lampante è un sevizio di qualche giorno fa riguardo ai numerosi visitatori si affollano davanti alla Monna Lisa al Louvre: «… migliaia di visitatori entusiasti con in mano uno smartphon per farsi un selfie con la Gioconda …».