Pagine

sabato 11 giugno 2022

Doppio negativo, la visione "positiva" dell'arte

Non si tratta certamente di un’opera che cattura lo sguardo dello spettatore che, più o meno casualmente, capita da quelle parti (ancora più ostica se si considera la visione per immagini).



Tra il 1969 e il 1970, Michael Heizer, realizza nel deserto del Nevada la sua opera più nota, Doppio negativo: due lunghi solchi profondi 15 metri scavati con le ruspe come a formare due canyon artificiali in asse tra loro e solcati nel mezzo dal declivio naturale del terreno.

Uno degli esponenti più importanti della “Land art” o “Earth art”, corrente artistica che si pone l’obbiettivo di portare l’arte fuori dalle gallerie e utilizzare la terra come “tela” sulla quale “dipingere” le proprie emozioni.

Double Negative è stato anche accostato ad una ipotetica “architettura del paesaggio” dove il paesaggio è in sintonia con l’opera realizzata, ma fondamentalmente non si tratta di un lavoro inserito in uno scenario, è la scena stessa che viene plasmata, la lavorazione dello spazio ne implica un cambiamento, l’obbiettivo di Heizer è però, probabilmente, un altro, in una zona praticamente deserta, da vita al vuoto, all’assenza di materia laddove c’è solo materia.

Resta il dubbio se siano i due solchi l’essenza dell’opera o se gli stessi solchi ne siano solamente la cornice.

Doppio Negativo è la coppia di “assenze materiali”, dove la doppia negazione annulla la negazione stessa proiettandone l'opposto, ma potrebbe fungere da amplificatore per tutto quello che sta attorno ai canyon artificiali.

La risposta ufficiale è la prima ma non possiamo escludere a priori la seconda ipotesi.

Dopo più di mezzo secolo anche le indicazioni dell'autore, sempre se riusciamo a trovarle (in mezzo a dichiarazioni difficilmente autenticabili) non hanno più la valenza che potevano avere allora, il tempo la collocazione temporale ha preso possesso del concetto dell'opera, plasmandone il pensiero, o venendo plasmato a sua volta, fino a cadere nell'oblio.


4 commenti:

  1. Di primo acchitto rimango, se non infastidito, sicuramente perplesso. Forse perché mi sembra una ferita fatta all'ambiente naturale... ci dovrò riflettere su... Post, come al solito, per niente banale
    😉

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Alberto, infatti ho premesso che l'opera non cattura lo sguardo, potremmo aggiungere, come sostieni tu, che infastidisce.
      Per "entrare" nell'idea di Heizer dobbiamo contestualizzare il suo lavoro, un periodo di scombussolamenti culturali, anni complessi che oggi ci sembrano lontanissimi.
      Il fatto che la "scultura" sia stata fatta in un territorio desertico ferisce un ambiente apparentemente "morto", questo ci spinge ad altre riflessioni, la tua affermazione "ci dovrò riflettere su ..." ne è la conferma.
      Grazie buona giornata.

      Elimina
  2. L'idea dell'ipotetico asse che continua da una sponda all'altra della montagna non è poi male.. certo farei passeggiare Heizer per i quattro chilometri di canyon che portano a Petra tanto per capire che qualsiasi cosa possiamo inventarci a livello di manipolazione geologica, in natura già c'è. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Vero Franco ma non dimentichiamoci il senso di un'opera, la natura non da mai vita ad opere d'arte, queste ultime sono prerogativa dell'uomo, c'è un pensiero dietro ogni lavoro che si possa definire arte, la natura ha altri fini, ma noi non ne siamo a conoscenza.
      Grazie Buona giornata.

      Elimina

Se vi va di lasciare un commento siete i benvenuti, i commenti contenenti link esterni non verranno pubblicati.
I commenti anonimi sono impersonali, conoscere il nome di chi lascia il proprio pensiero facilita il confronto, grazie.