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sabato 30 dicembre 2017

Il mito Norreno ed il confrondo con gli dei. Midgard, Wolgfang Hohlbein.


Autore geniale, “creatore” di originali punti di vista Wolfgang Hohlbein, in collaborazione con la moglie Heike, ha raccontato i miti del nord Europa  presentandoli da un’angolazione opposta rispetto alla tradizione.

Un esempio è il romanzo Hagen di Tronje dove nell’epopea di Sigfrido il protagonista diviene Hagen ribaltando la canonica percezione della storia, la saga dei Nibelunghi viene cosi “vista” da un’altra angolazione.


Inizialmente ottiene un enorme successo nei paesi in lingua tedesca e in Scandinavia – dov'è paragonato a Stephen King -  in seguito le traduzioni in lingua inglese gli permettono di varcare la soglia europea fino a sbarcare in Asia dove ottiene numerosi riconoscimenti, è poco conosciuto in Italia limitato dalla carenza di traduzioni di molti suoi romanzi.


Passato inosservato nel nostro paese, Midgard dà uno spaccato del “mito” Norreno uscendo però, come è consuetudine dell'autore, dalla storia tradizionale che viene a contatto con il contemporaneo.

Il protagonista della storia è Lif un giovane orfano allevato fra infinite difficoltà da una povera famiglia di pescatori. Il ragazzo si trova, suo malgrado, catapultato nel magico, misterioso ma soprattutto terribile mondo di Odino.

Visita il Walhalla, il grandioso palazzo degli eroi dove ci si prepara per l’ultima grande battaglia, il Ragnarok.

Si trova ad affrontare i giganti del fuoco, i demoni degli inferi, schierato al fianco di Thor e dell’infimo ed enigmatico Loky attende nel gelo dell’ultimo inverno la venuta dell’ultimo fatale scontro in un mondo che non è il suo.

Altri personaggi entreranno in scena (non voglio svelare troppi dettagli) ma è su di lui che grava la decisione più importante, il giovane diventa l’unico in grado di decidere il futuro, di decidere la sorte del mondo degli umani (Midgard) e quello degli Dei (Asgard).

Un fantasy che scava in profondità nell’animo di tutti i protagonisti fino alla sorprendente rivelazione finale.
(Nell'immagine in alto: Yggdrasil, la mappa del mondo "Norreno". In basso: Wolgfang Hohlbein)



mercoledì 27 dicembre 2017

Chi o cosa rappresenta la "Gioconda"?


Se il dipinto di Leonardo esposto al Louvre non è il ritratto di Lisa Gherardini, che fine ha fatto l’opera commissionata da Francesco del Giocondo?
E perché l’opera del Louvre ha quel titolo se il ritratto è presumibilmente di un’altra donna?
E ancora, perché Leonardo aveva con sé in Francia un dipinto commissionato in Italia?
Il costo di un dipinto dell’artista di Vinci era molto elevato cosi come il prestigio che una tale opera dava al committente, è dunque difficile pensare che dopo averlo ordinato venga rifiutato.
Insomma, la tela esposta a Parigi chi rappresenta?

L'opera commissionata dal Giocondo si presume non sia stata consegnata perché Leonardo ha dovuto lasciare Firenze senza averla completata, cosa che fece in seguito, dopo alcuni anni.

Il dipinto esposto al Louvre, dopo attenti studi effettuati con le più moderne tecnologie, risulta essere un'opera iniziata e completata in brevissimo tempo, praticamente senza interruzioni. Questo dimostra che stiamo parlando di due quadri differenti, il ritratto della Gherardini non può essere quello esposto nel museo francese.
Tante sono le ipotesi, molteplici le interpretazioni “storiografiche” che critici e storici dell’arte propongono, spesso divergenti tra loro, è dunque tutt'altro che semplice potersi districare tra le innumerevoli ipotesi che vanno al di la (oltre che esserne correlate) dell’enigma “popolare” legato all’espressione, e di conseguenza al riconoscimento del soggetto di un’opera il cui valore artistico, concettuale e soprattutto culturale, non è quantificabile.
 
Nell’immagine: Leonardo da Vinci – La gioconda o Monna Lisa, 1503-06 ca. Olio su tavola, cm. 77 x 53. Musee du Louvre, Parigi
 

mercoledì 20 dicembre 2017

Le strade dell'insondabile, Paul Klee.

Autore:   Paul Klee
(Munchenbuchsee, 1879 - Muralto Locarno, 1940)
 
Titolo dell’opera: Strada principale e strade secondarie – 1929
 
Tecnica: Olio su tela
 
Dimensioni: 83 cm x 97 cm
 
Ubicazione attuale:  Museum Ludwig, Colonia.





Potrebbe essere la mappa di un’ideale città, questo per via delle indicazioni del titolo.

Ma si può “vedere” anche un concetto morale, la strada principale scorre verso l’orizzonte, è perfettamente levigata, senza ostacoli, le strade secondarie, al contrario, appaiono più o meno sconnesse, frammentate, senza una direttiva precisa al punto che spesso si incrociano con altre vie, anche questo è un modo per arrivare ma necessita di più energie e tempo.

Un dipinto che si avvicina alle arti applicate, come non trovare similitudini con certi tessuti, certi tappeti a noi contemporanei.

Le forme e i colori di quest’opera ricordano anche una distesa di campi vista dall’alto, oggi è facile trovare immagini che rappresentano una visione aerea della realtà ma non dimentichiamo che nella seconda decade del 900 questo modo di ritrarre la terra era inusuale, praticamente sconosciuto ai più, questo a dimostrare una visione materiale, artistica e spirituale proiettata al futuro.

Le opere di Klee sono tutto e niente, possiamo trovarci qualsiasi cosa e al contempo rimanere svuotati mentalmente davanti a ciò che non riusciamo a comprendere.

Questo quadro ne è l’esempio, mille e più interpretazioni non bastano per comprenderne il significato, ammesso che ci sia un significato preciso, sono molte le probabilità che quest’opera lasci all’osservatore il compito di decifrarne i contenuti.

venerdì 15 dicembre 2017

La velocità del progresso e la proiezione nel pensiero futuro, William Turner.


Autore:   William Turner
(Londra, 1775 - Londra, 1851)
Titolo dell’opera: Pioggia, vapore e velocità – 1844
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 91 cm x 122 cm
Ubicazione attuale:  National Gallery, Londra.



Per comprendere a fondo questo dipinto, in particolare il soggetto, dobbiamo partire dal contesto storico. Siamo alla metà del diciottesimo secolo dove prevalgono soggetti religiosi, scene mitologiche o patriottiche, ritratti della nobiltà o del clero fino al paesaggio puro, realisticamente percepibile.
In quest’opera non vi è nulla di tutto questo, il protagonista del dipinto è il treno, un convoglio trainato da una locomotiva.
Il quadro provoca aspre critiche legate sia al modo in cui Turner ha realizzato il quadro ma soprattutto per il soggetto ritratto.
La locomotiva nasce meno di vent’anni prima ed è l’emblema di un progresso inarrestabile, il simbolo di un’industrializzazione che avanza a grandi falcate.
All’epoca è opinione diffusa che il treno sia qualcosa di pericoloso, viaggiare con questo mezzo portava a gravi malattie al cervello, chi scendeva dal treno aveva delle allucinazioni perché “aveva visto troppe cose troppo rapidamente” e se il viaggio era troppo lungo i danni fisici avrebbero portato a menomazioni permanenti.
Quasi scontata la reazione negativa davanti alla celebrazione di un soggetto simbolo del “male”, fisico e psicologico.
Turner vuole, al contrario, celebrare il “futuro” e inserisce la macchina a vapore in un paesaggio dove la città si fonde con la campagna, il treno, l’uomo e la natura sono un tutt’uno, si corre verso un avvenire migliore.
Al di la delle critiche del momento quest’opera farà da apripista ad un tematica cara agli impressionisti francesi che faranno del treno e delle stazioni un’attrazione artistica e naturalmente positiva. Infatti mentre a Londra la diffidenza del pubblico stenta a sciogliersi a Parigi il “pensiero” di Turner viene assorbito velocemente grazie a pittori come Pizarro e Monet che durante una visita nella capitale britannica vedono il quadro e portano immediatamente in Francia l’idea iconografica di Turner.

domenica 10 dicembre 2017

La trasformazione del quotidiano, Marcel Duchamp.


Autore:   Marcel Duchamp
(Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968) 
 
Titolo dell’opera: Porte Bouteilles – 1959
 
Tecnica: Ferro zincato
 
Dimensioni: 59,2 cm x 36,8 cm
 
Ubicazione attuale:  Collezione privata.




 
« … un oggetto ordinario elevato alla dignità di oggetto d’arte dalla pura scelta dell’artista»

Cosi si esprimeva André Breton riguardo all'opera “Fontana” di Marcel Duchamp, il famoso orinatoio, di produzione industriale, che l’artista francese ha trasformato in opera d’arte togliendolo dal luogo per cui era adibito e mettendolo su un piedistallo dopo avergli dato un nome.

Lo scolabottiglie è il seguito e al contempo l’anticipatore di quell'opera, infatti nel 1914, in una lettera che lo stesso Duchamp da New York aveva spedito alla sorella Suzanne a Parigi, chiedeva di recuperare lo scolabottiglie dal ripostiglio, firmarlo e metterlo nel suo studio.

Non se ne fece nulla, la sorella si dimenticò di adempiere a ciò che chiedeva Marcel e tutto venne momentaneamente dimenticato.

Dopo la celebre “Fontana” nascono cosi i “ready-made” (oggetto confezionato, prefabbricato) oggetti tolti dalla collocazione originaria e riposizionati al di fuori del proprio “abitat” naturale per la sola decisione dell’artista. Il concetto artistico diviene cosi l’unico parametro di giudizio per queste opere.

Lo scolabottiglie ha tutte le caratteristiche per essere un “ready-made”, proviene da una produzione industriale di serie ed è stato acquistato in un grande magazzino, viene privato del compito per la quale è stato costruito ed è utilizzato solamente come oggetto artistico senza altre funzioni.

A completare il percorso di trasformazione prende il nome di “Portabottiglie” che lo rappresenta come opera d’arte anziché come oggetto comune in una cantina.

L’opera però non può “vivere” di vita propria, non bastano l’artista e l’oggetto "trasformato", questo tipo di opera d’arte necessita dell’osservatore senza il quale torna ad essere un comune oggetto di uso quotidiano. A completare la metamorfosi concettuale è indispensabile il contesto, il luogo di esposizione che può essere una galleria, un museo, uno spazio artistico.

Senza queste quattro combinazioni il “ready-made” non esiste, non può dichiararsi “opera d’arte” e torna ad essere un comune manufatto con un compito “utilitaristico” anziché puramente estetico-artistico.

L’oggetto originale di cui si parlava nella lettera scritta alla sorella è andato perduto, questa è una delle repliche che l’artista a “trasformato” per recuperare l’idea iniziale del 1914.


martedì 5 dicembre 2017

Quando il particolare "illumina" la scena, Jean August Dominique Ingress

Autore:   Jean August Dominique Ingress
 (Montauban, 1780 - Parigi, 1867)
 
Titolo dell’opera: Ritratto di monsieur Bertin– 1832
 
Tecnica: Olio su tela
 
Dimensioni: 116 cm x 69,5 cm
 
Ubicazione attuale:  Musee du Louvre, Parigi.


Voglio soffermarmi sul particolare di un dipinto, si tratta del “Ritratto di monsieur Bertin” di Jean Auguste Dominique Ingres.
L’opera ritrae il ricco editore del Journal des débâts, Louis-François Bertin.
La scena colpisce per l’estremo naturalismo al punto che i visitatori del Salon a Parigi, del 1883, rimasero stupefatti dal realismo assoluto. Uno degli osservatori definì il lavoro: “piena e completa obbedienza alla natura”.
Ma di questo notissimo dipinto, oltre all’insieme semplicemente meraviglioso, colpisce il particolare della seggiola.
Il riflesso di una finestra è ricreato con grande maestria, ricorda vividamente il realismo della pittura fiamminga, in particolare l'interpretazione sublime di  Jan Van Eyck.
In quel piccolo punto focale si espande la scena che altrimenti risulterebbe ristretta, quasi imprigionata dalla figura del protagonista. Inoltre la parete alle spalle di Bertin non permette nessuna possibile distrazione facendo si che il noto personaggio occupi l'intero "quadro".
Il riflesso della finestra diventa cosi un punto di fuga, uno spiraglio che lascia all'osservatore la possibilità di immaginare cosa sta succedendo intorno all’artista e al suo modello. Una piccola variante "visiva" al ritratto, assoluto protagonista dell'opera.

Jean August Dominique Ingress - Ritratto di Bertin, 1832 - Olio su tela cm. 116x69,5
Musee du Louvre, Parigi

giovedì 30 novembre 2017

Peggy Guggenheim e la "miopia" delle élite burocratiche.


Quando nel 1940, l’esercito tedesco si appresta ad invadere la Francia, Peggy Guggenheim, illuminata mecenate e arguta collezionista, cerca in tutti i modi di portare in salvo la propria collezione di dipinti.


Delvaux: L'aurora (L'Aurore), luglio 1937 - Olio su tela, 120 x 150,5 cm
Collezione Peggy Guggenheim, Venezia


Si rivolge al museo del Louvre che accetta di conservarli temporaneamente nei propri magazzini ma, dopo pochi giorni, inaspettatamente il museo cambia idea. Il consiglio direttivo del Louvre ritiene che “non vale la pena salvare opere di questo (basso) livello” sostenendo che i dipinti in questione non erano meritevoli di essere preservati dall’eventuale distruzione da parte del nemico tedesco che aveva scatenato un’offensiva contro l’arte moderna (definita “degenerata”) anche nella stessa Germania

.


Alla fine la collezionista americana riesce lo stesso a portare in salvo le opere di artisti come Picasso, Brancusi, Kandinsky, Malevich, Ernst, Magritte, De Chirico, Braque,,Arp, Chagall, Legèr, Balla, Dalì, Klee, Delvaux,Duchamp, Tanguy, Van Doesburg, Mondrian, Lissitzky, Mirò e molti altri.

Come spesso è accaduto nei secoli e come succede tutt’ora nelle stanze della "critica", gli esperti burocrati del Louvre hanno mostrato scarsa lungimiranza, hanno dimostrato quanto la cecità della presunzione tende a volgersi verso il passato inciampando nel presente e ignorando il futuro.

sabato 25 novembre 2017

La struttura delle forme e dei colori, Paul Cézanne.


Autore:   Paul Cézanne
(Aix-en-Provence, 1839 - Aix-en-Provence, 1906)
 
Titolo dell’opera: Mont Sainte-Victor – 1885-95
 
Tecnica: Olio su tela
 
Dimensioni: 73 cm x 92cm
 
Ubicazione attuale:  Barnes Foundation, Merion.





Colori intensi, i gialli, i blu, i viola e i rossi danno vita alla montagna che fa da sfondo al paesaggio di campagna.

Cezanne, per ricreare le zone d’ombra, ha sostituito le sfumature e i toni cromatici con i colori stessi che danno forma alla struttura luminosa del monte.

L’insieme appare ordinato ed efficiente grazie all'organizzazione geometrica che, pur mantenendo la fedeltà descrittiva del paesaggio, si trasforma in un’interpretazione dello stesso grazie alla personale concezione delle forme.

Il pittore provenzale ritrarrà spesso questo scorcio ricreando ogni volta una visione intima e variabile.

I soggetti ridotti a forme puramente geometriche, abbinate all’intensità dei colori, che prendono il sopravvento sulla realtà, danno vita ad un percorso artistico che negli anni a venire darà vita agli ideali cari al cubismo e ai fauvs.

lunedì 20 novembre 2017

La nascita della pittura astratta, Alphonse Allais.


Alphonse Allais, scrittore e umorista francese, amava divertirsi e divertire con le parole e con le immagini, ha sempre voluto prendere in giro le accademiche convinzioni, e convenzioni, del suo tempo sdrammatizzando temi troppo seriosi.

Nel 1882 alla prima mostra parigina delle “Incoherent Art”, gruppo presieduto da Jules Levy che ospita nella propria abitazione l'esposizione artistica, Allais viene attratto dalla lavagna di Paul Bilhaud, lo sfondo completamente nero è intitolato “Combattimenti di Negri in una cantina durante la notte”.

L’ispirazione è immediata, partendo dall’opera di Bilhaud Allais da vita alle sue “Monochromes” pitture monocromatiche su carta dove, con estremo senso dell’ironia, crea un nuovo modo di intendere la pittura.

Il primo quadro è esposto l’anno dopo, il foglio completamente bianco titola: “Prima comunione di giovinette anemiche nella neve”.

Prende vita cosi la prima opera astratta della storia, anticipando quelli che saranno i maestri dell’astrattismo di inizio novecento, da Kandinskij a Klee.

Seguiranno altre monocromie che saranno raccolte nel celebre “Album Primo-Avvilesque” che mostra i dipinti dalle differenti colorazioni affiancati alle brillanti didascalie, chiude l’album la sua opera più conosciuta “Marcia funebre composta per il funerale di un grand’uomo sordo”, basta questo titolo per esprimere la geniale interpretazione umoristica di un altrettanto geniale uomo d’arte.


 

 

 
 


mercoledì 15 novembre 2017

La "vetta" artistica che pochi possono raggiungere, Rogier Van der Weyden.


Autore:   Rogier Van der Weyden (Rogier de la Pastour)
 (Tournai, 1399 circa – Bruxelles, 1464)
 
Titolo dell’opera: Maria Maddalena che legge – 1435 ca.
 
Tecnica: Olio su mogano trasferito da un altro pannello
 
Dimensioni: 62,2 cm x 54,4 cm
 
Ubicazione attuale:  National Gallery, Londra.





Il dipinto è la parte più ampia di una pala d’altare, non si conoscono le cause che hanno portato allo smembramento dell’opera “Madonna con bambino e quattro santi”.

Si può risalire all’idea originale grazie ad un disegno conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma.

Il centro visivo del quadro è senza dubbio la Maddalena, riconoscibile per il piccolo vaso d'unguento appoggiato a terra, immersa nella lettura di un manoscritto, il volume è avvolto in un panno, infatti nel 400 i libri erano oggetti rari ed estremamente preziosi, erano conservati accuratamente e solo poche persone potevano usufruirne.

La figura della protagonista è realizzata con meravigliosa perfezione, l’espressione assorta nella lettura è sicuramente il particolare più intenso e poetico.

Le vesti sono accuratamente descritte, il broccato della sottoveste della donna ci mostra il talento e la padronanza tecnica di Van der Weyden. Spesso la Maddalena viene rappresentata con vesti eleganti e di grande pregio a ricordare il passato di ricca cortigiana.

Oltre alla figura in piedi accanto alla protagonista si nota, davanti alla stessa, un drappeggio rosso da cui spuntano le dita di un piede, evidentemente il personaggio è inginocchiato e dalle fonti attualmente controllabili si tratta di san Giovanni Evangelista: questo frammento della pala però è andato perduto.

Sullo sfondo vi è una finestra attraverso la quale si intravede un interessante paesaggio, notiamo un corso d’acqua e alcune persone che camminano sull’argine, sul lato del fiume vicino alla finestra c’è un uomo intento a scoccare una freccia dal proprio arco.

Il paesaggio esterno lascia qualche dubbio riguardo alla paternità di Van der Weyden, infatti mentre la luminosa bellezza degli interni e dei suoi abitanti conferma la “mano” del pittore belga, ciò che viene ritratto al di fuori della casa probabilmente è opera di qualche assistente.

venerdì 10 novembre 2017

Il viaggio nell'arte ... interiore.

Le opere d’arte sono sempre il frutto dell’essere stati in pericolo, dell’essersi spinti, in un’esperienza, fino al limite estremo oltre il quale nessuno può andare. 
(Rainer Maria Rilke)

 Senza aver mai “visitato” i propri confini, sia quelli "alti" che, soprattutto, quelli "bassi", è praticamente impossibile riuscire a costruire un concetto artistico che in fondo è la base dell’opera d’arte.

Senza un viaggio interiore nelle più oscure profondità non si hanno quelle conoscenze ed esperienze necessarie che completano il bagaglio dell’artista e del suo essere “umano”.

E’ comunque possibile che, pur non avendo “viaggiato” cosi a lungo si possa raggiungere quella consapevolezza di se sufficiente per “creare” arte?

Nell’immagine: Emil Nolde – Natura morta con maschere III, 1911  cm. 74 x 78. The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City

domenica 5 novembre 2017

Agguato al sistema naturale delle cose, George Catlin.

Autore:   George Catlin
(Wilkes-Barre, 1796 - Jersey City, 1872)
 
Titolo dell’opera: Imboscata ai fenicotteri – 1857 ca.
 
Tecnica: Olio su tela
 
Dimensioni: 48 cm x 67,5 cm
 
Ubicazione attuale:  Carnegie Museum of Art, Pittsburgh.





Un’immensa colonia di fenicotteri colora di bianco e di rosso il paesaggio, dai numerosi nidi sbucano i piccoli becchi affamati dei cuccioli.

Un stormo sorvola la zona in formazione creando linee e disegni perfetti sullo sfondo grigio del cielo.

Tutto appare tranquillo, sereno, ogni volatile ha un compito preciso che contribuisce allo sviluppo della colonia stessa.

Ma nell’angolo in basso a destra, nascosto dietro ad un cespuglio, troviamo un cacciatore pronto ad approfittare dell’istante, il nutrito gruppo di fenicotteri è infatti ignaro del pericolo e di conseguenza non ha attivato nessun piano di difesa.

E’ evidente che Catlin utilizzi la presenza del cacciatore per mostrare quanto la natura, forte nel suo equilibrio, rischi di cadere quando c’è di mezzo la mano del’uomo.

Il cacciatore nascosto simboleggia inoltre la viltà umana che approfitta delle debolezze altrui per raggiungere il proprio scopo, è infatti difficile se non impossibile, che un qualsiasi cacciatore affronti la preda “giocandosela” alla pari.

Il pittore americano crea questa composizione facendo attenzione alle pose dei fenicotteri, ogni singolo uccello compie gesti differenti dando una sensazione di continuo movimento e vitalità, scongiurando il rischio, con soggetti come questo, che il quadro possa apparire statico, noioso.

L’accurata attenzione ai particolari, dal primo piano fino all’orizzonte, si unisce ad una simbologia morale formando cosi un’opera che fa meditare e al contempo predispone ad una serena osservazione strettamente artistica.