Pagine

lunedì 23 dicembre 2024

Natale al museo

Anche quest’anno la tradizione è rispettata, da trent’anni (mia figlia Camilla di 10 mesi mise la prima statuina) padre e figlia si uniscono nella realizzazione del presepe.


 A volte la rappresentazione è classica, costruita con legno, muschio ecc. altre volte ci sbizzarriamo puntando su presepi “alternativi”, come tre anni fa con le bottiglie di plastica (ne ho parlato qui).

Questa volta abbiamo costruito la scena allestendo una sorta di museo, dove la Sacra Famiglia è al centro della rappresentazione circondata da manufatti che ci riportano al concetto museale, installazioni, dipinti, sculture.

Parenti e amici che hanno visto il presepe ci hanno rivolto, all’unanimità, la stessa domanda: “cosa rappresenta?” condito il tutto da uno sguardo perplesso e dal movimento oscillante della testa …

Ho deciso cosi di completare l’opera aggiungendo al presepe una descrizione, come si fa in un museo davanti ad un’opera.

La stessa cosa voglio farla in questo post, alle immagini aggiungo la descrizione, la reazione di chi lo guarderà sarà probabilmente la stessa di chi lo ha osservato dal vivo, resta però il piacere di aver realizzato qualcosa di diverso, l’aver condiviso con mia figlia l’idea iniziale (scaturita esclusivamente da Camilla) che è l’essenza stessa del presepe, oltre alla realizzazione materiale di tutti i manufatti presenti, statuine escluse.

Con questa “stramberia”, definizione usata da mia moglie, auguro a tutti un sereno Natale. 











Presepe concettuale

La rappresentazione di questo presepe parte da un concetto moderno, la visita ad un museo.

I personaggi che occupano la scena classica della Natività sono, grazie ad un salto temporale, proiettati nel XXI secolo mantenendo al contempo i piedi saldamente ancorati al loro tempo.

L’esposizione occupa tre “sale” una piccola in alto a sinistra, un’altra delle stessi dimensioni a destra mentre il nucleo della mostra è nella grande sala al centro ad un livello inferiore rispetto alle altre due.

Nella grande stanza centrale è assoluta protagonista la Natività classica che differisce da quella canonica dal fatto di essere in posizione elevata rispetto ai visitatori, invece di essere inserita all’interno di una capanna ribassata all’altezza del terreno.

Di fronte alla sacra famiglia troviamo un’installazione che rappresenta ciò è normalmente nascosto sotto uno strato di luci e colori, di addobbi e regale, siamo d’innanzi all’essenza stessa del Natale, lo spirito che emerge nonostante l’aspetto non  intrigante.

A sinistra due dipinti, in fondo la geografia dell’anima, Terre Emerse, il tentativo di riportare l’anima al di sopra delle miserie del corpo.

Sempre a sinistra in primo piano troviamo Materia, la forma originale del tutto composta dal bianco e dal nero, dal bene e dal male, parte integrante del tutto.

A destra in fondo la rappresentazione pittorica del lato profano del Natale, l’albero che regala illusioni con i suoi regali colorati.

Davanti ad esso un paesaggio marino che fa intravedere l’orizzonte lontano, tanto distante da spingerci a credere che oltre lì orizzonte ci sia ciò che veramente cerchiamo.

Nelle due piccole sale rialzate abbiamo due sculture, a sinistra un’altra raffigurazione dell’albero di Natale, questa è costruita riciclando pezzi in disuso, una chiara allusione alla necessaria pratica del riciclo dove nulla è irrimediabilmente perduto, l’opportunità di una nuova occasione.

Infine a destra la scultura più enigmatica, lo specchio rovesciato della società che corre in una direzione e al contempo viaggia in quella opposta, crediamo di salire mentre nella realtà stiamo scendendo, un viaggio attorno ad un punto fisso, la convinzione di evolverci mentre stiamo semplicemente percorrendo la stessa strada, più e più volte. 




domenica 15 dicembre 2024

Realismo oltre ..

Tigran Tsitoghdzya – Mirror V, 2017 - Olio su tela cm 190 x 127 



Ci stiamo avvicinando al Natale e per questo motivo cercherò di essere buono, o perlomeno di essere meno cattivo di quello che potrei essere se assecondassi ciò che “sento”.

Chi mi conosce sa cosa penso dell’iperrealismo, movimento artistico nato, e morto, negli anni settanta del secolo scorso, deceduto artisticamente ma in salute fuori dai confini dell’arte.

Sicuramente questo è un mio problema, anche se non sono solo a pensarla cosi anzi, ma questa è un’altra questione.

Il punto è un altro, la forzatura di chi cerca di inserirlo tra le “tecniche” artistiche contemporanee, motivando il proprio pensiero arrampicandosi sui famosissimi specchi.

Articoli che titolano: “Giotto era iperrealista” ignorando che cercare di essere realisti in pittura nulla ha a che fare con l’iperrealismo.

Un altro titolo dice: “Iperrealismo, più reale della realtà”, penso che si commenti da solo, se è diverso dalla realtà non è “iper”.

L’ultima variante del sensazionalismo iperrealista è l’articolo dedicato alla sovrapposizione di immagini (apparente) di Tigran Tsitoghdzya, nella foto, i casi sono due o l’artista armeno, di cui è innegabile la tecnica sopraffina, ha dato vita ad un capolavoro dipingendo ciò che non è assolutamente reale oppure ha solo copiato da una riproduzione fotografica.

In entrambi i casi l’arte è l’iperrealismo non possono convivere, se parte da una sua concezione originale basata su un disegno è un conto, se, al contrario, è la realizzazione di un quadro che è la copia di una fotografia mi chiedo qual è il bisogno di perdere tempo e denaro per fare ciò che ho già.

Con questo post non mi farò certo molti amici, ma non è questo il motivo del mio scrivere, semmai cerco un confronto (che su questo argomento è già attivo) partendo da posizioni diverse, senza che nessuno debba cambiare opinione, magari cogliendo l’occasione di “sentire” altre campane, fastidiose se non siamo abituati ad ascoltarle ma magiche nel momento in cui ne comprendiamo l’essenza.

 

giovedì 5 dicembre 2024

Se andassimo su un'isola deserta ...

Il post di Alberto del blog "Alberto Bertow Marabello" dedicato, a modo (geniale) suo, ai nostri libri preferiti, mi ha riportato alla mente un "gioco" di tanti anni fa.

Antonella Avataneo - L'isola d'Elba

Chi non ha mai partecipato al giochino: “vai su un’isola deserta e puoi portarti solo un libro, un film e un “disco” (inteso come album, un brano sarebbe troppo poco)?

Considerata la mia passione e l’argomento del blog aggiungerei un’opera d’arte (pittura o scultura) anche se il post va oltre la scelta che potremmo fare e si chiede cosa ne sarebbe delle nostre scelte se non ci fosse altro a disposizione?

L’isola deserta è un luogo stranamente visto positivamente da molti, è vero che ci garantisce una certa tranquillità, io ne sarei entusiasta, almeno all’inizio considerando il fastidio che mi provoca la presenza di molta gente, ma alla lunga …

La riflessione che voglio fare riguarda la limitata possibilità di scelta che la suddetta isola (luogo metaforico) ci può offrire.

Rileggere più e più volte lo stesso libro, o pochi libri, guardare a ripetizione uno o pochi film, ascoltare sempre gli stessi brani o trovarsi davanti ogni santo giorno lo stesso quadro o la medesima scultura.

Limitando la fruizione si rafforza l’affinità o alla lunga rende insopportabile ciò che amavamo alla follia?

Nella vita di tutti i giorni abbiamo accesso ad infinite serie di brani musicali, di letture di ogni genere e a tantissimi film, le opere sono meno facili da reperire se non in riproduzioni fotografiche, ci affezioniamo ai classici, rendiamo immortale ciò che più ci piace e al contempo scopriamo sempre cose nuove.

Il giochino dell’isola dunque vale per quello che in fondo è nato, ci permette di raccontare cos'è che più ci piace, ma se proviamo a giocare ora diremmo le stesse cose che avremmo detto dieci anni fa? o trenta anni fa?


domenica 1 dicembre 2024

Segnali (ignorati) dal passato

José Clemente Orozco – Moderna migrazione dello spirito, 1932-34 – Affresco – Dartmouth College Hanover, New Hampshire

 

Quando l’artista vede il proprio contemporaneo con occhio critico e proietta lo sguardo nel futuro.

Questo è quello che possiamo dire di Orozco, sganciamoci definitivamente dalle posizioni politiche che sfruttano l’artista, immergendoci cosi nell’artista stesso, liberi da fastidiosi preconcetti.

L’immagine, di rara potenza, di Cristo che si ribella all’utilizzo della sua immagine per scopi che con lui nulla hanno a che fare, Cristo creatore che si fa distruttore delle icone simbolo di una modernità corrotta, politica e religiosa, una società alla deriva che non è più in grado di reggersi autonomamente.

Cristo viene ritratto nell’istante in cui, impugnando un’ascia, abbatte la croce che cade al suolo mischiandosi ad armi, e oggetti che rappresentano la società moderna, la montagna di “rifiuti” si innalza immensa, alle spalle del protagonista lasciando intravedere uno scorcio di un tramonto cupo, tutt’altro che bene augurante.

Era forse in atto un cambiamento epocale? Forse è quello che si augurava lo stesso pittore messicano, quello che accadrà nei quindici anni successivi all’opera ci conferma che era in atto una discesa verso gli inferi.

Il corpo di Cristo è in trasformazione, il corpo in disfacimento e, al contempo, in fase rigenerativa, auspica il risveglio delle coscienze, a quasi un secolo di distanza questo “murales” mantiene tutta la sua freschezza, è quanto mai attuale, un monito costante.

Ma la natura umana sembra perennemente immune agli avvertimenti, forse perché non in grado di gestirsi o probabilmente perché esegue perfettamente il compito che gli è stato assegnato, ma questa è un’altra storia.