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giovedì 30 maggio 2024

Onestà intellettuale cercansi

Un canale su Youtube, dedicato all’arte, pubblica un video dove si discute sul “senso” dell’arte contemporanea, il proprietario del canale ospita uno storico dell’arte (o sedicente tale) in quelle che sono diventate (tristemente) la moda di questi ultimi anni, le famigerate Live.

Manolo Valdés - Recent Works

Il titolo, “Comprendere l’arte contemporanea” mi incuriosisce, mi aspettavo una visione “altra” su un argomento sempre molto discusso.

L’ospite inizia con una frase perentoria “l’arte contemporanea non ha alcun senso”, e motiva la sua affermazione sostenendo che chiunque si recasse in un museo d’arte contemporanea “Il MoMA di New York o la Tate di Londra (curioso che non sia uscito dalla banalità citando i luoghi più celebri, lasciando il sospetto che non ne conoscesse altri) quando esce proverà sempre una sensazione di vuoto, non potrebbe essere altrimenti perché nei suddetti musei non c’è nulla”.

Chi visita una esposizione d’arte contemporanea normalmente parte da due posizioni differenti ma entrambe a seguito di una logica, entra perché è attirato da ciò che si appresta a vedere o con la curiosità di vedere ciò che non lo attira ma con la curiosità di capire perché per alcuni è cosi interessante. Nel caso uno entrasse senza interesse o curiosità ci porta ad una domanda: Non aveva nulla di meglio da fare?

Gli appassionati dell’arte dei giorni nostri non hanno bisogno di qualcuno che gli spieghi il senso, resta dunque la persona curiosa che cerca di capire quello che non apprezza.

Senza scomodare i due celebri musei sopracitati basterebbe entrare in un piccolo spazio di provincia dedicato alle opere degli ultimi decenni per capire che se uno esce con una sensazione di vuoto è perché il vuoto ce l’ha dentro, l’arte contemporanea può non piacere, sa essere spiazzante, incomprensibile, destabilizzante, ma ci spinge sempre a porci delle domande.

Alla fine del percorso potremmo trovarci in una situazione di scombussolamento, sommersi da informazioni apparentemente incomprensibili, magari storditi, un’overdose di “dati” da decifrare, possiamo dire che non ci è piaciuto ma non potremo mai affermare che di quello che abbiamo visto non è rimasto nulla.

Il vuoto semmai è in queste “lezioni”, che “influencer” improvvisati alla ricerca del famoso quarto d’ora di celebrità, buttano nel mucchio l’esca della superficialità aspettando che qualcuno, insofferente all’approfondimento, abbocchi.

sabato 25 maggio 2024

La forza della mente

"Non si sottomette un fiume con la forza, devi arrenderti alla corrente e usare la sua potenza come fosse tua. Il tuo intelletto ti ha portato lontano nella vita, ma non ti porterà oltre, silenzia il tuo ego e il tuo potere aumenterà".

(cit. dal film "Doctor Strange")


Simona Cristofari - Onda


lunedì 20 maggio 2024

Maestri senza luce

“ … se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa”.

Pieter Bruegel (il vecchio) – La parabola dei ciechi, 1568 – Tempera su tela, cm 86 x 154 – Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli.


Il passo dal vangelo di Matteo è il soggetto di questo interessante dipinto di Pieter Bruegel (il vecchio)

Rappresentazione della cecità umana dove la spiritualità lascia il posto alla miopia di un materialismo sempre più presente, l’avanzare affidandosi a chi è altrettanto cieco, in questo modo l’umanità sarà destinata a cadere inesorabilmente, un destino che sembra ormai segnato.

Il paesaggio luminoso sullo sfondo dove spicca una chiesa che a sua volta è parte di un piccolo gruppo di abitazioni che partono dall’estrema sinistra e si allontanano lievemente dalla scena.

Il centro della scena è naturalmente occupato dal corteo di ciechi diretti, l’uno dietro l’altro, nella medesima direzione, aggrappati a chi sta davanti si dirigono verso un fosso dove è già caduto il primo della fila.

Cromaticamente spento il dipinto incarna la miseria umana, i colori freddi e cupi riflettono l’incapacità di scegliere la strada da percorrere, ci si aggrappa agli altri senza valutare se questi ultimi sono in grado di “vedere” dove vanno.

Coperti da pesanti abiti invernali dove si notano i mantelli svolazzanti, mossi dal freddo vento dell’inverno ma anche simbolo di una superficiale leggerezza, i personaggi mostrano la loro cecità tramite le cavità oculari completamente vuote, questo non da adito a fraintendimenti, la cecità è assoluta e irreversibile.

Il dipinto è realizzato con la tecnica della tempera su tela, questo permette di vedere la grana della tela stessa, è infatti strano che il pittore fiammingo abbia deciso di realizzare l’opera utilizzando una tela al posto di una tavola, cosa che faceva regolarmente se non utilizzava la pittura ad olio.

mercoledì 15 maggio 2024

L'inizio del mito

La Tour Eiffel, simbolo riconosciuto di Parigi e della Francia, quante volte è stata ritratta dal giorno della sua realizzazione?

Georges Surat – Tour Eiffel, 1889, olio su tela cm 24 x 15,2 – The Fine Arts Museum, San Francisco


La ovvia risposta ci dice che è impossibile quantificare i dipinti che l’hanno immortalata, chiediamoci allora chi lo ha fatto per primo.

Il celebre monumento è stato inaugurato il 31 marzo del 1889, quest’opera di Georges Surat è dello stesso anno, il dipinto però sembra non essere compiuto, a ben guardare il quadro è finito ma la torre no, manca ancora la parte finale, in linea di massima un quinto dell’intera costruzione, il pittore dunque ne ha fatto un ritratto prima del completamento, alcuni studi sostengono che la tela sia stata realizzata nel gennaio dello stesso anno (la data del dipinto non permette di andare ulteriormente a ritroso nel tempo).

Verosimilmente Surat è stato il primo in assoluto a dare vita ad una riproduzione della torre.

Ad avvalorare questa ipotesi vi è il fatto che quasi a nessuno piacque la costruzione, addirittura più di trecento intellettuali dell’epoca si schierarono ufficialmente contro tale monumento, anche gli artisti contemporanei non ne erano entusiasti, in pratica chi non la osteggiava si limitava ad ignorarla.

Non era però il caso di Surat che era attratto dalla crescente “visione” industriale, le fabbriche e i sobborghi che nascevano attorno ad esse furono il soggetto di molti dipinti del pittore parigino.

L’artista non si limita a rappresentare il grande monumento in modo realistico, lo dipinge vestito a festa, utilizzando la tecnica che lo ha reso immortale ne traccia un profilo gioioso, come se un’infinità di coriandoli annunciassero un nuovo modo di pensare, un lettura del suo contemporaneo che si fa meno cupa e più speranzosa, una boccata d’ossigeno in vista di un esaltante futuro.

venerdì 10 maggio 2024

Anche gli incapaci possono scrivere la storia

Louis Leroy, giornalista di punta del quotidiano satirico “Le Charivari” (che tra gli altri vedeva anche Félix Tournachon, noto come Nadar, tra i suoi caricaturisti) ha il privilegio di scrivere la storia dell’arte grazie alla propria incompetenza e all’arroganza tipica di chi pensa, a torto, di essere al di sopra di tutto e di tutti.

Camille Pissarro – Geléee Blanche, 1873 – Olio su tela cm 65 x 93 – Museo d’Orsay, Parigi  


Nel 1874, per la precisione dal 15 aprile al 15 maggio, a Parigi va in “scena” la mostra della “Società anonima di pittori scultori e incisori”, la rassegna artistica si tiene proprio nello studio del fotografo Nadar, collega di Leroy.

La recensione del critico de “La Charivari” è diretta e senza fronzoli, davanti al dipinto di Claude Monet “Impression solei levant”, si lascia andare a dichiarazioni che passeranno alla storia, “…Impressione, ne ero proprio certo, mi stavo dicendo che nel momento che ero impressionato doveva esserci una certa impressione in esso […] che libertà e che facilità di lavorazione, un disegno preliminare per un modello di carta da parati è più rifinito di questo paesaggio marino”.

Naturalmente la sua ampia visione non si ferma all’opera di Monet, riferendosi a tutto il resto afferma: “Questi sedicenti artisti si definiscono degli intransigenti, degli impressionisti. Prendono delle tele, del colore e dei pennelli, buttano giù a caso qualche tono e firmano il tutto …”.

Partendo dall’impressione del titolo del quadro di Monet e utilizzando il termine stesso in modo dispregiativo, Leroy, suo malgrado da il nome ad uno dei più importanti movimenti artistici, gli Impressionisti.

A volte non serve essere seri e competenti, non è necessario saper fare il proprio lavoro e nemmeno avere una mente aperta e una visione ancor più ampia, con un po' di fortuna si può passare alla storia per la propria stupidità o anche solo per il fatto che si voglia dire qualcosa pur non avendone le capacità.

Questo esempio, e ce ne sono moltissimi altri, è servito a rendere più cauti gli stroncatori contemporanei? Naturalmente la risposta è no, altrimenti non dovremmo assistere alle innumerevoli prediche di chi volge il proprio sguardo solo al passato.

lunedì 6 maggio 2024

E se fosse ora di passare oltre (l'immobilismo dei cultori dell'accademia)?

“Elle a chaud au cul” foneticamente è questo il risultato di “L.H.O.O.Q.” il titolo del ready-made conosciuto come la “Gioconda con i baffi”.

La traduzione letterale dal francese dice: “Lei ha caldo al culo” che può essere rimodulato in: “Lei si concede facilmente”.

Un continuo gioco di parole che conduce al pensiero primario dell’artista francese, sganciarsi dal conformismo imperante, seguire una via nuova, e cosa c’è di più conformista (artisticamente) della Gioconda di Leonardo?

L’opera in questione (Duchamp ne ha realizzate varie copie) è semplicemente una riproduzione fotografica della “Monna Lisa” esposta al Louvre con la sola aggiunta di un vistoso paio di baffi e un pizzetto, l’obbiettivo di Duchamp era quello di mettere in luce l’opera più celebre e “dare scandalo” stravolgendone il senso, lo stesso artista dichiarò: “Ho cercato di rendere quei baffi veramente artistici”.

Ma, come saprà chiunque conosca, anche superficialmente, Duchamp, servono dei particolari ragionamenti per entrare nel concetto espresso dalle sue opere, troppo facile estremizzare visivamente l’essere disponibile della Gioconda, sfruttata fino a farle perdere ogni parvenza artistica fino a renderla una sterile attrazione turistica, serviva un particolare percorso per arrivare alla meta, se fosse stato immediato si sarebbe rivelato a sua volta conformistico.

La moda (fuori moda) di ritoccare la Gioconda è, aimè, in grande spolvero, ma al contrario di quello che fece Duchamp è tutto esplicito, si comprende al primo sguardo, dalla Monna Lisa con il telefonino a quella con la mascherina (le vicende degli ultimi anni non hanno certo sviluppato la fantasia) la Gioconda rocker, quella vampiro ecc. tutto banalmente trito e ritrito.

Duchamp, è sempre bene ricordare che siamo nel 1919, da una scossa ulteriore al conservatorismo dell’epoca, legato ad un accademismo stagnate  che non vuole accettare che il tempo scorre e che vi è una impellente necessità di cambiamento.

La “Gioconda con i baffi” non ha lo stesso impatto mediatico di “Fontain” ma trasmette il medesimo messaggio, probabilmente perché il primo è rimasto un unicum nel panorama artistico mentre la seconda si è via via inflazionata a causa delle continue ripetizioni. Il fatto che il grande pubblico gradisca ancora queste rivisitazioni conferma che, come più di un secolo fa, c’è un impellente bisogno di cambiamento.