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sabato 30 dicembre 2023

Un’autentica opera d’arte

L’album d’esordio del poliedrico e geniale musicista britannico è senza dubbio il punto più alto di una carriera che ha "viaggiato" costantemente su livelli eccellenti.

Siamo nel 1973, Mike Oldfield, allora diciannovenne, rivoluziona il panorama musicale proponendo una visione nuova in un panorama in costante evoluzione.

Sono due i brani all’interno del “33 giri”, Tubular bells (part. I) e Tubular bells (Part.2) entrambi sono prevalentemente strumentali, ad eccezione di inserimenti di voci “elaborate” e cori diretti dallo stesso Oldfield.

Il mito racconta che Mike Oldfield ha suonato da solo tutti gli strumenti nella registrazione dell’album, mito fino ad un certo punto perché in effetti la maggior parte della strumentazione è utilizzata da lui ma non vanno ignorati altri musicisti che hanno collaborato alla realizzazione del disco.

L’album inizialmente viene accolto timidamente ma l’uscita nelle sale nello stesso anno del celebre film L’esorcista, della cui colonna sonora fa parte il primo brano dell’album, lo proietta al primo posto nelle vendite del Regno Unito.

La musica di Tubular bells (o quantomeno l'intro del primo pezzo) porta inevitabilmente al film di William Fredkin, cosi come è innegabile che lo stesso percorso si possa fare al contrario,  musica e film sono legati indissolubilmente l’uno all’altro.

Ma “l’opera d’arte”, che da il titolo al post, non è legata solamente ai brani di Oldfield, se si parla di capolavoro non possiamo non riferirci alla copertina realizzata dal fotografo Trevor Key, su suggerimento dell’allora addetta stampa di Oldfield Sue Steward (almeno per quanto riguarda lo sfondo marino).

Le “campane tubolari” piegate a triangolo sono nate da un'intuizione di Key dopo che lo stesso Mike ne aveva danneggiate alcune durante la registrazione dell’album, il risultato è visivamente e concettualmente perfetto.

Oggi, nel 2023, il "tubo" di Key proietta lo sguardo al futuro, una visione che si spinge oltre il nostro contemporaneo, se pensiamo che è stato realizzato cinquant'anni fa ...

Sembra che dopo aver visto la cover Oldfield abbia voluto ridurre al minimo le scritte che citavano il titolo e l’autore dell’album, oltre ad averle volute colorate di arancione, questo per evitare di distogliere lo spettatore dall’immagine.

In questo caso musica e grafica viaggiano sui binari dell’eccellenza, se aggiungiamo le suggestioni cinematografiche che ci accompagnano il triangolo artistico è completato.

A seguire vi propongo l’album per intero, l’intro ci porta direttamente al film ma non dobbiamo fermarci a questo, l’intero disco è una scoperta continua, soprattutto se sappiamo andare, con la mente, indietro nel tempo, cercando di “vedere” in quale contesto si è inserito questo capolavoro.


venerdì 22 dicembre 2023

L'essenza come risultato dell'assenza (della superficialità)

L’essenza, il fulcro, la sostanza, tutto ciò che veramente conta, la struttura portante di qualsiasi componente dell’universo, sia che si tratti di materia, di spirito, di un’idea.

Spesso, se non sempre, quest’essenza è ammantata, rivestita di superficialità, un modo utilizzato per renderla più comprensibile ma anche più appetibile, più interessante

Il Natale ne è l’esempio più evidente, luci, colori, immagini bucoliche, coprono (o forse sarebbe meglio dire abbelliscono) il vero significato di questo giorno (periodo) tutto è reso più godibile, più interessante dalla vasta proiezione cromatica, dal sempre attraente richiamo culinario, dai numerosi, e a volte inutili, regali.

Non è mia intenzione demonizzare tutto questo, anch’io sono nella mischia e non mi comporto diversamente, solo che penso sia interessante fermarsi, anche solo per un istante, a chiederci cosa ci sia sotto lo strato di superficialità.

A volte l'essenziale può essere riconoscibile in quanto la veste esteriore è più leggera, in altre occasioni dobbiamo scavare a fondo per trovarne l'anima, in ogni caso se volgiamo lo sguardo in profondità, senza arrenderci al primo "inganno" visivo, l'essenza di ogni cosa si rivela.

Ognuno percepisce l’essenza in modo personale, i regali sono importanti, ancora più importante il contatto umano che nasce da questa festività (al netto dei contrasti inevitabili in certe famiglie) per chi è credente l’essenza del (Santo) Natale è legata alla religione, d’altro canto è questa la base da cui parte il tutto.

Come augurio a tutti voi, di un Natale sereno, voglio proporre una mia visione personalissima dell’essenza natalizia, o più in generale dell’essenza di ogni cosa che ci circonda.


L'essenza del Natale (Part.1) Essenza delle forme - Acrilico su cartoncino,  cm 21 x 30


L'essenza del Natale (Part.2) Essenza della materia - Legno, lamiera carbonizzata, alluminio, cm 29 x 18 x 17


L'essenza del Natale (Part.3) Essenza del tempo - Fotografia 


venerdì 15 dicembre 2023

E se ... L'accesso ai materiali avrebbe potuto cambiare la storia dell'arte?

Mi chiedo: nei secoli passati le difficoltà nel reperire e nel "costruire" i materiali, che in seguito avrebbero dato vita all'opera d’arte, non erano un freno al concetto artistico? Alla proiezione di un’idea personale?

Duccio di Buoninsegna – Maestà (part.) 1308-11 – Tempera su tavola cm 214 x 412 – Museo dell’Opera del Duomo, Siena.


Il pittore-pittrice (anche se al tempo le seconde non potevano esercitare, almeno ufficialmente) come avrebbe potuto dare vita ad autentiche rivoluzioni senza la facilità nel reperire supporti e colori?

É una questione culturale e sociale oppure è proprio la rivoluzione dei materiali, accessibili a costi contenuti, che ha dato vita alla pittura dall'impressionismo in poi?

Sono un appassionato d'arte in generale e di quella contemporanea in particolare, per questo mi sarebbe facile sostenere l’ipotesi contraria, ma è innegabile che oggi sia più facile sperimentare, azzardare, rischiare, proprio per il limitato danno economico nel caso di un'opera non riuscita.

Se pensiamo ai costi esorbitanti e alla necessità di personale impegnato a trasformarli in colori, cosa poteva fare un artista senza una commissione? Era sicuramente complicato realizzare opere con sfondi dorati, con il celebre blu oltremare (i lapislazzuli costavano un autentico occhio della testa) senza che qualcuno ne chiedesse la realizzazione finanziando materiali e bottega.

Ai giorni nostri chiunque si può permettere una tela e dei colori in tubetto (costi accessibili e nessuno a libro paga per crearli) sperimentare è facile ed economicamente praticabile, non riuscire nell’impresa non è un dramma, ci si può riprovare.


Hans Hartung – Untitled, 1948 – Olio su tela cm 97,2 x 146 – MoMA (Museum of Modern Art) New York

Non so se a dare la svolta epocale che ha visto, dalla seconda metà dell’ottocento, l’arte trasformarsi in modo deciso, sia stata solo la nascita della fotografia (imprescindibile) e una visione futuribile data dalle rivoluzioni in atto ma è innegabile che i grandi artisti del passato non erano da meno, magari limitati dalle pressioni (clero e nobiltà) che tenevano le redini della società.

Se molti pittori avessero avuto accesso pressoché illimitato a ciò che serve per “creare” con la pittura quello che conosciamo della storia dell’arte sarebbe immutato o l’evoluzione avrebbe preso strade diverse?

Come sempre i miei quesiti non hanno risposte certe, e probabilmente neppure le cercano, il mio è un modo di vedere il passato da prospettive diverse. Quello a cui assistiamo oggi è frutto ovviamente di esperienze passate, ma se queste ultime fossero state differenti …

domenica 10 dicembre 2023

Simboli e rappresentazione di uno stato d'animo, Giovanni Segantini

Per comprendere questo dipinto dobbiamo conoscere, almeno per sommi capi, l’infanzia di Giovanni Segantini e il rapporto conflittuale con la maternità.

Giovanni Segantini  - Le cattive madri, 1894 olio su tela 120 x 225 - Österreichische Galerie Belvedere di Vienna


Nato ad Arco, località tirolese allora appartenente all’impero austriaco, e influenzato dalla quotidianità della vita in montagna, perde la madre a soli sette anni, il padre decide di affidarlo alla figlia avuta in un precedente matrimonio, il distacco è traumatico, infatti la donna viveva a Milano, la scelta, come possiamo bene immaginare, non è stata delle migliori.

L’allontanamento dalla famiglia e dall’ambiente in cui era cresciuto, la convivenza con un’estranea che non si prende cura del fratellastro sono motivi sufficienti per dare vita ad un sentimento contrastante verso la figura materna.

Va inoltre presa in considerazione l’influenza che un piccolo poema scritto da Luigi Illica, intitolato Nirvana, ha su Segantini, autentico divoratore di libri. Lo scritto di Illica a sua volta si ispira ad un poema del monaco medievale Alberico da Settefrati.

Nelle pagine del religioso di Settefrati, da cui il nome, raccontano di alcune donne che hanno rinunciato al loro naturale ruolo di madre che sono relegate in una sorta di purgatorio ghiacciato dove espieranno la loro colpa.

È altresì doveroso contestualizzare il tutto, Segantini nasce nel 1858 e realizzerà l’opera in questione nel 1894.

Le colpe di una madre assente, come nel caso di quella del pittore, sono praticamente nulle ma probabilmente non è cosi per il piccolo Giovanni che forse avrebbe potuto prendersela più con il padre che lo ha allontanato, anche se viste le precarie condizioni economiche della famiglia Segantini (forse è il caso di parlare di estrema povertà) il gesto del padre aveva una certa logica.

Il dipinto è la rappresentazione del luogo evocato da Illica e Alberico, in quanto si tratta di una landa spoglia e fredda, dove il ghiaccio e la neve la fanno da padrone.

Ma tutto il resto è partorito dalla percezione del pittore dove le sue amate montagne emergono maestose, infatti sullo sfondo appare con tutta la sua forza una catena montuosa che si allontana sulla destra, unico punto dove il sole riesce ad illuminarne le vette.

A "colpire" l'osservatore è senz’altro l’albero in primo piano, spoglio apparentemente senza vita, dal tronco partono due rami che cercano di prendere strade differenti ma che sembrano piegati dai freddi venti, lo sforzo da vita ad un arco che si contrappone alla “curva” opposta realizzata dalla donna che, imprigionata dall’albero stesso, cerca disperatamente di liberarsi.

La donna, seminuda, cerca di divincolarsi dalla morsa mentre sotto il braccio destro appare la testa di un bambino che tenta di raggiungere il seno materno, una scena dove il simbolismo dell’opera raggiunge il suo apice.

Nella parte sinistra, in secondo piano, troviamo un altro aspetto quasi sconvolgente nella sua profondità, una donna, anch’essa imprigionata da un albero, ode la voce del proprio bambino che, collegato alla madre tramite le radici, cerca di emergere dai ghiacci dell’oblio.

Questo è il percorso in tre fasi necessario per espiare la colpa e tornare a rivedere la “luce”. Il figlio che emerge dal ghiaccio è il primo passo, il secondo è rappresentato dalla scena in primo piano, mentre dietro alla donna a sinistra vediamo altre due madri che avendo affrontato i primi due passaggi si incamminano verso la redenzione, il Nirvana appunto, citato dal poemetto di Illica.

Segantini però probabilmente cerca un riscatto in quanto figlio abbandonato, più che una redenzione delle madri sembra che sia il desiderio dei figli di avere a loro volta una possibilità.

Opera complessa che potrebbe fare discutere, in un tempo (il nostro) dove il revisionismo applicato al politicamente corretto, impedisce di collocare qualsiasi cosa nel proprio tempo, se davanti a questo dipinto non abbandoniamo il nostro punto di vista e ci immergiamo in quello di fine ottocento, rischiamo di perderci in oscure varianti mentali che storpiano la narrazione fino a cadere nell’errore di darne un giudizio.

Nel 1897, due anni prima della prematura scomparsa, l’artista tirolese realizza una copia monocroma su cartoncino che rende ancor più tragica la costruzione in immagini di una profonda sofferenza.

In quest’opera oltre alla testa del bambino che emerge dalla neve e la donna prigioniera dell’albero, già presenti nel dipinto originale, notiamo due donne che avanzano liberamente senza alcun vincolo, chiara rappresentazione dell’avvenuta espiazione e del viaggio verso una nuova vita.

Opera monocroma su cartoncino (cm 40 x 74) custodita alla Kunsthouse di Zurigo


martedì 5 dicembre 2023

Un'altra occasione sprecata?

Yayoi Kusama, l’artista giapponese definita dai media “la più amata al mondo” (come sempre l’importante è esagerare, se pensiamo che questa definizione sarebbe un valido sostegno ad una tesi contraria ...) dal 17 novembre è “presente” a Bergamo nell’ambito di: “Bergamo-Brescia capitali della cultura 2023”.


Il successo di pubblico è stato immediato, già nei primi giorni di maggio, quando ha preso il via la prevendita, i biglietti sono andati a ruba al punto che la prevista conclusione della mostra (?) prevista per il 14 gennaio 2024, è stata posticipata al 24 marzo.

Anche in questo caso il tagliandi d’ingresso, all'inizio c'erano a disposizione più di 22 mila e con la proroga sono diventati il triplo, sono andati esauriti.

Tutto bene e tutto bello, almeno secondo gli organizzatori, ma di artistico e culturale in questa … mostra, che mostra non è, non vi è traccia.

All’interno del Palazzo della Ragione troviamo solamente un’installazione, che di per se è tutt’altro che insignificante, ma che è la sola opera esposta, cosa che viene volutamente tenuta nascosta, o perlomeno relegata in secondo piano (altrimenti come giustificare il prezzo d’ingresso?)

E non è la quindicina di euro a spostare gli equilibri di un bilancio economico famigliare, ma a lasciare perplessi è il fatto che all’interno dell’installazione ci si può rimanere solo per 60 secondi.

Sicuramente interessante il lavoro della Kusama, “ Fireflies on the Water”, un’esperienza intima e profonda ma che necessita di molto più tempo.

All’interno della sala ci si trova in un ambiente buio circondato da specchi, al centro uno specchio d’acqua che vuole trasmettere il senso di quiete, appese al soffitto 150 luci a rappresentare le lucciole del titolo, un ambiente dove i riflessi dell’acqua e degli specchi moltiplicano le luci. Tutto poeticamente magico ma che non può essere tale se il tempo a disposizione è di un misero minuto.

Ogni visitatore entrerà nello spazio creato dall’artista giapponese ma non riuscirà nemmeno a guardarsi attorno che verrà invitato ad uscire per permettere ad altri di vivere la stessa (inutilmente vuota) esperienza.

Cultura zero, arte poca, business tanto, si ha la sensazione di essere al cospetto di un’occasione buttata al vento, un evento messo in atto esclusivamente a fini di lucro.

A confermare l’assenza di ogni pretesa che vada oltre il “parco a tema” ci sono gli articoli di alcune testate, nazionali e locali, che galleggiano in superficie, un esempio  sono queste righe che svelano il valore di questo avvenimento: ”un’occasione di vivere un’esperienza intensa da poter poi condividere sui social”.

Il sindaco di Bergamo, Gori, ha dichiarato, riguardo alla corsa al biglietto: “non si era mai vista una cosa simile per una manifestazione d’arte”, peccato che quella messa in scena a Bergamo sia si una manifestazione ma di “arte” c’è poco o nulla.

Peccato perché Yayoi Kusama ha moltissimo da dire, artista a tutto tondo che, ha saputo dirigere il proprio pensiero cavalcando l’onda lunga del “pop” ma evitando di ripetere metodo e concetti cari alla Pop Art dei decenni scorsi.

Philippe Daverio ha sempre insistito sul fatto che per godere di un’opera d’arte fosse necessario tutto il tempo utilizzato normalmente per visitare un’intera mostra, pensare che siano sufficienti 60 secondi per entrare nel mondo creato dalla Kusama è un’assurdità.

Ma forse oggi è questo che vuole il visitatore medio, una mostra celebre (se i biglietti sono introvabili meglio perché il vanto sui social acquisisce valore) un tempo ridotto che non richiede impegno intellettuale e la possibilità di scattare qualche foto (da alcune ricerche sembra che le mostre dove è vietato fare selfie sono meno appetibili) ingredienti che permettono di dare vita a “piatti” multicolore ma senza alcun sapore.