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sabato 6 marzo 2021

Sul palcoscenico dell'arte c'è chi recita un copione e chi improvvisa

Qualche tempo fa definii l’arte “recitazione”, come tutti i tentativi di etichettarla anche questo è un pretesto per ampliare una discussione, non necessariamente tra più individui, che va nella direzione opposta a quella di trovare una risposta (impossibile da “catturare” e fondamentalmente non necessaria).

Questa fotografia di Man Ray del 1920, custodita al Philadelphia Museum of Art, conduce proprio in quella direzione, si tratta del ritratto di Rrose Sélavy.

Chi conosce Rrose Sélavy sa già che la recitazione è palese, chi al contrario non ha idea di chi sia può limitarsi al commento estetico e stilistico della signora in questione e di Man Ray, autore della fotografia.

Rrose Sélavy è la firma che troviamo in calce su molte opere, un nome che altro non è che lo pseudonimo utilizzato da Duchamp per dare l’ennesima svolta al suo concetto di arte.

Non bastava un nome femminile per modificare il concetto di alcuni suoi lavori, era necessario dare un volto al lato “altro” della sua arte.

Il nome, l’immagine (che possiamo trovare anche su una boccetta di profumo) sono i pilastri su cui poggia quella che possiamo definire la “grande recitazione” di un artista che va ben oltre l’oggetto artistico.

“Duchamp come Rrose Sélavy”, questo è il titolo della fotografia, certificano il tentativo, peraltro riuscito, di concepire l’arte in maniera totalmente rivoluzionaria, uscire dai consueti canoni per dare vita ad un mondo mai visto prima, ma se vogliamo scombinare i piani prestabiliti dalle abitudinarie concezioni già assimilate dal comune senso artistico, estetico, culturale e sociale, non possiamo presentarci con gli abiti consueti, dobbiamo per forza “travestirci”, e di conseguenza recitare una parte che finora non ha mai visto la luce.

4 commenti:

  1. Bellissimo, non conoscevo questa storia di Rrose Sélavy, però ci sta a pennello.
    Diciamo che l'unica cosa di cui ha proprio bisogno l'arte è lo spazio e quindi ogni recinto in qualche modo la comprime troppo.
    E quindi è comunque da abbattere

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    1. Ciao Alberto, lo spazio infinito di cui ha bisogno l'arte è l'apertura mentale, una visione a 360 gradi di chi l'arte la "cerca", quando qualcuno cerca di erigere dei confini tra ciò che è arte e quello che non lo non fa altro che impedirne l'espansione, materiale e spirituale.
      Grazie, buona giornata.

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  2. Recitare una parte può servire a far vedere agli altri qualcosa che altrimenti non saprebbero vedere ma, probabilmente, anche chi recita scopre punti di vista nuovi, se sa immedesimarsi bene!
    Ciao Romualdo :-)

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    1. Ciao Anna, Duchamp è un maestro nella recitazione, Rrose Sélavy ne è un esempio, tutta la sua storia artistica si basa sulla realtà vista con occhio irreale, ma in fondo anche quando l'artista vuole raccontare sé stesso cercando di essere obbiettivo non può esimersi dal mettere in scena una "recita".
      Buona serata.

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